Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28295 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. III, 11/12/2020, (ud. 14/10/2020, dep. 11/12/2020), n.28295

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SESTINI Danilo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33564/2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

CAMILLUCCIA 273, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO DARDES,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE LOPES;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI RIONERO IN VULTURE, EDILIA SRL, P.D.,

C.M.A., (in proprio e n.q. di unica erede di R.C.,

C.A.E., C.A.), PRISMA soc. coop a r.l.,

EUROPRISMA SRL;

– intimati –

nonchè da:

COMUNE DI RIONERO IN VULTURE, in persona del Sindaco in carica,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROMANIELLO ROCCO MARIANO;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 518/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 16/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/10/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Melfi, con sentenza non definitiva in data 19.1997 n. 246, pronunciando sulla domanda proposta da S.A. e da C.M.A. in proprio e quale procuratrice di C.A.E. ed A. e di R.C., avente ad oggetto la condanna del Comune al risarcimento dei danni derivanti da imperita esecuzione dei lavori di demolizione delle parti pericolanti di un immobile attinto dal sisma verificatosi in (OMISSIS), disposti a seguito di ordinanza di sgombero e demolizione del Sindaco del Comune di Rionero del Vulture e di risarcimento dei danni conseguiti alla mancata predisposizione delle cautele necessarie ad impedire il deterioramento delle parti conservate dell’edificio, ha ritenuto: a) che era da considerare mera “emendatio” la modifica del petitum, avendo esteso i proprietari, dopo l’espletata c.t.u., la domanda risarcitoria anche ai danni da lucro cessante (perdita del finanziamento pubblico; perdita occasioni di guadagni locativi, altri danni); b) che il Comune era privo di legittimazione passiva (unico legittimato essendo l’Amministrazione statale per la quale il Sindaco aveva agito come Ufficiale di Governo) e, comunque, andava esclusa qualsiasi responsabilità diretta del Comune per l’emissione della ordinanza di sgombero e demolizione in relazione a tutte le voci di danno; c) che andava invece riconosciuta la responsabilità della ditta appaltatrice EDILIA s.r.l. per i soli “danni derivati dai lavori” quantificati in a Lire 75.000.000.

Rimessa la causa nuovamente in fase istruttoria dal Collegio, per rinnovo delle indagini peritali in punto di accertamento della delega conferita dai proprietari al Comune per il procedimento di ricostruzione del sisma, nonchè per la stima delle spese necessarie ai lavori di ricostruzione, e la verifica dell’attuale accessibilità al contributo pubblico per i danni derivanti dal sisma, il Tribunale di Melfi con sentenza definitiva n. 120/2001: 1) ha condannato il Comune al pagamento della somma di Lire 1.833.630.600 stimata dal CTU pari al “valore delle opere necessarie alla ricostruzione dell’immobile”; 2) ha subordinato la efficacia della condanna alla condizione della effettiva perdita del contributo statale o regionale; 3) ha fatto obbligo ai proprietari di esercitare il diritto di accesso presso gli uffici pubblici per accertare l’attuale accessibilità ai contributi pubblici previsti per il risanamento degli edifici colpiti dal sisma; 4) ha rigettato la domanda attorea contro P.D., direttore dei lavori di demolizione, chiamato in giudizio dal Comune ed indicato quale terzo responsabile.

Entrambe le sentenze, definitiva e non definitiva, erano impugnate dal Comune con appello principale, e dallo S. con appello incidentale.

La Corte d’appello di Potenza, con sentenza 16.10.2017 n. 518, dopo avere dato atto che in corso di causa era intervenuta la cessazione della materia del contendere tra Comune e C., essendo gli stessi addivenuti alla stipula di atto di transazione, e che le società intervenute volontariamente in giudizio allegando la qualità di proprietarie pro quota di parte dell’immobile – PRISMA soc. coop. ed EUROPRISMA s.r.l. avevano rinunciato alla domanda risarcitoria dalle stesse proposta:

A-) ha rilevato la contraddittorietà delle due sentenze di prime cure avendo la prima escluso e la seconda affermato la responsabilità del Comune per i danni;

B-) ha rigettato l’appello incidentale dello S. contro la sentenza non definitiva rilevando: 2.1- la sussistenza del difetto di legittimazione passiva dell’ente locale rispetto alla affermata responsabilità per adozione del provvedimento contingibile ed urgente, dovendo qualificarsi il Sindaco quale Ufficiale di Governo; 2.2- l’inconsistenza dei nuovi ed inammissibili fatti allegati dall’appellante incidentale, rispetto agli argomenti svolti nella sentenza non definitiva a sostegno della esclusa responsabilità del Comune, che determinavano la aspecificità ex art. 342 c.p.c., del relativo motivo di gravame;

2.3- la assenza di motivi di impugnazione rivolti al rigetto della domanda risarcitoria concernente tutti gli altri danni diversi da quelli “derivanti dalla esecuzione dei lavori” per i quali soltanto era stata condannata la impresa appaltatrice EDILIA s.r.l.;

C-) ha dichiarato inammissibile l’appello del Comune avverso la sentenza non definitiva, non essendo stata ritualmente formulata la riserva di gravame ai sensi dell’art. 340 c.p.c.;

D-) ha accolto l’appello del Comune avverso la sentenza definitiva, rilevando, da un lato, che era passata in giudicato l’accertamento, contenuto nella sentenza non definitiva, della esclusione della responsabilità del Comune in relazione alle ulteriori domande – da qualificarsi nuove – relative ai danni per la “perdita dei contributi pubblici” dovuti a negligente gestione della delega e “per i ritardi nei lavori di ricostruzione”, formulate dagli attori dopo il deposito della prima c.t.u.; dall’altro che la sentenza definitiva del Tribunale aveva condannato il Comune illegittimamente in relazione ad un fatto nuovo e diverso (danni corrispondenti alla spesa necessaria per la ricostruzione del fabbricato in conseguenza del negligente esercizio della delega conferita in data (OMISSIS) dai proprietari al Comune ai sensi della L. n. 219 del 1981) rispetto alla originaria “causa petendi” dedotta con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (danni derivati dalle modalità di demolizione del fabbricato), trattandosi di domanda nuova, proposta “dagli eredi C.” soltanto in comparsa conclusionale depositata il 13.5.1997 ed in quanto tale inammissibile, in ordine alla quale il mero silenzio od il difetto di immediata reazione del Comune non configurava un comportamento significante di accettazione del contraddittorio;

E-) ha ritenuto assorbito l’appello dello S. avverso la sentenza definitiva, concernente la asserita errata applicazioni di “condizioni di efficacia” della condanna pronunciata contro il Comune, atteso l’accoglimento dell’appello principale di quest’ultimo.

La sentenza di appello, non notificata è stata impugnata con ricorso principale per cassazione da S.A. che ha dedotto tre motivi di censura.

Resiste il Comune di Rionero sul Vulture con controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato ad unico motivo.

Non hanno svolto difese gli altri intimati.

Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione art. 342 c.p.c. – omesso esame di fatti decisivi per il giudizio – nullità della sentenza per omessa od insufficiente motivazione.

Sostiene il ricorrente principale che doveva ritenersi errata la pronuncia della Corte territoriale dichiarativa della inammissibilità, per difetto di specificità dei motivi di gravame, dell’appello incidentale proposto avverso la sentenza parziale n. 246/1997 emessa dal Tribunale di Melfi, essendo stati, invece, investiti con l’appello tutti capi della decisione che avevano rigettato le domande relative alle distinte voci di danno proposte nei confronti del Comune.

Il motivo è inammissibile non fornendo il ricorrente adeguata esposizione del “fatto processuale” come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Premesso, infatti, che anche nel caso di denuncia di vizio di nullità processuale, il ricorrente è tenuto ad assolvere ai requisiti di ammissibilità dei motivi di ricorso, prescritti dall’art. 366 c.p.c. (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; id. Sez. 1, Sentenza n. 9888 del 13/05/2016; id. Sez. 3, Ordinanza n. 6014 del 13/03/2018), va ribadito il principio per cui ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012).

Tanto premesso, la Corte d’appello, nella propria motivazione (cfr. sentenza appello pag. 9), ha riportato le statuizioni emesse dal Tribunale evidenziando come, oltre all’assorbente decisione del difetto di legittimazione passiva del Comune, avendo agito il Sindaco quale Ufficiale di Governo sia nell’emanare la ordinanza di sgombero e demolizione, sia nell’affidare tali lavori in appalto alla ditta EDILIA s.r.l. (avendo ritenuto irrilevante a tal fine il riferimento alla qualità di rappresentante dell’ente locale contenuto nel contratto di affidamento dei lavori, trattandosi di atto meramente esecutivo dell’ordinanza contingibile ed urgente), il rigetto della domanda risarcitoria nei confronti del Comune era stata rigettata anche “nel merito” in relazione ai pretesi danni “per ritardo nella esecuzione dei lavori”, “per danno architettonico ” e “per la perdita dei contributi pubblici”.

Il Giudice del gravame ha quindi esaminato i motivi di appello incidentale, rilevando che lo S.: 1- nulla aveva argomentato in ordine al difetto di legittimazione passiva dell’ente locale e comunque la impugnazione su tal capo era infondata, risultando dall’atto introduttivo del giudizio che l’attore aveva convenuto l’ente locale ma facendo valere, invece, una responsabilità imputabile esclusivamente alla Amministrazione statale competente, trattandosi di inammissibilità della domanda rilevabile ex officio in quanto inerente a condizione di ammissibilità dell’azione; 2- aveva invece allegato fatti di responsabilità (volontà del Comune di mantenere il possesso dell’edificio destinato ad uso scolastico; “culpa in eligendo” nell’affidamento dell’appalto; stipula del contratto di appalto da parte del Sindaco quale rappresentante del

Comune) o nuovi ed inammissibili, o inconferenti rispetto alle “rationes decidendi” della sentenza del Tribunale ed in tal senso definiti “aspecifici”; 3- non aveva svolto alcuna critica pertinente al rigetto nel merito delle rimanenti pretese risarcitorie.

Orbene il ricorrente si è limitato a trascrivere in parte il motivo di appello incidentale con il quale contestava la decisione del Tribunale sul difetto di legittimazione passiva, assumendo che la questione era oggetto di eccezione in senso stretto e non rilevabile ex officio: adempimento del tutto inutile ed inconferente rispetto alla distinta statuizione di aspecificità oggetto di impugnazione. Ha inoltre aggiunto di avere impugnato unitamente alla sentenza parziale anche la sentenza definitiva, ribadendo i motivi con i quali asseriva sussistere la responsabilità del Comune per “mala electio” della ditta appaltatrice, per autonoma e diretta assunzione contrattuale, per occultamento della delega ed assunzione diretta dei lavori di ricostruzione, e reiterando la richiesta di risarcimento dei danni ulteriori non riconosciuti dal Tribunale (ricorso pag. 27).

Difetta pertanto del tutto la individuazione degli argomenti in fatto e diritto volti a contestare specificamente la ragioni in diritto che avevano portato il Tribunale a rigettare tutte le domande risarcitorie proposte contro il Comune: dal motivo di ricorso non è dato, infatti, evincere in alcun modo se e quali critiche siano state rivolte all’apparato motivazionale della sentenza parziale impugnata, sicchè la censura non è in grado di inficiare la pronuncia di inammissibilità dei motivi di gravame per difetto di specificità, che deve ritenersi, pertanto, esente dal vizio di legittimità denunciato.

Tanto a prescindere dalla stessa carenza di interesse del ricorrente ad impugnare la statuizione della sentenza di appello sul difetto di specificità del motivo di gravame, non essendo stata del pari censurata la pronuncia della Corte d’appello, confermativa della decisione di prime cure, in ordine al difetto di “legitimatio ad causam” dell’ente locale, con riferimento a tutte le richieste risarcitorie degli attori, non avendo svolto il ricorrente alcuna censura in relazione a tale statuizione, di carattere evidentemente dirimente, con la quale la Corte territoriale ha ritenuto infondato il motivo di appello incidentale rivolto ad affermare che la questione di legittimazione fosse demandata alla sola eccezione di parte e non fosse pertanto rilevabile ex officio, ed ha accertato alla stregua dell’esame del contenuto dell’atto di citazione in prime cure, la intrinseca discrasia tra la “causa petendi” ed il soggetto erroneamente indicato quale destinatario del “petitum” formale.

Se infatti non viene investita la autonoma “ratio decidendi” della sentenza di appello che accerta la errata proposizione della domanda nei confronti di soggetto non legittimato passivamente, risulta del tutto irrilevante verificare se fossero o meno puntuali gli altri motivi di gravame volti a criticare il rigetto anche nel merito delle pretese risarcitorie, risultando le domande in ogni caso inammissibili, in quanto proposte nei confronti di soggetto privo di “legitimatio ad causam”.

Inammissibile è altresì la censura per vizio di “error facti”, formulata cumulativamente con il dedotto vizio di nullità processuale, non essendo in alcun modo evidenziato il fatto la cui considerazione sarebbe stata omessa dalla Corte territoriale, nè tanto meno la allegata “insufficienza logica” della statuizione impugnata.

Secondo motivo: violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c.; omesso esame di fatto decisivi per il giudizio – nullità della sentenza per omessa o comunque insufficiente motivazione

Terzo motivo: violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. – nullità della sentenza per violazione del giudicato interno – omesso esame di fatti decisivi omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il ricorrente impugna la sentenza di appello nella parte in cui, accogliendo la eccezione di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, formulata dal Comune appellante, in cui sarebbe incorso il primo Giudice nella sentenza definitiva n. 120/2001, aveva ritenuto “nuova” e dunque inammissibile, la domanda formulata solo nella comparsa conclusionale depositata in primo grado e volta ad estendere la condanna risarcitoria a tutti i danni evidenziati nella prima c.t.u. anche conseguenti al “ritardo nella ricostruzione”, in quanto la domanda giudiziale “già ab origine esprimeva doglianza relativa a tutti i danni subiti dagli attori”.

Il ricorrente principale ancora contesta la sentenza del di appello per violazione del giudicato interno, in quanto la questione della inammissibilità delle ulteriori domande risarcitorie, che secondo la Corte territoriale integravano “mutatio libelli” incidendo su distinte “causae petendi” e sulle quali il Comune non avrebbe accettato il contraddittorio, era da considerare invece preclusa dal giudicato interno formatosi con la sentenza definitiva di primo grado, atteso che il Tribunale aveva espressamente esaminato tale questione, ritenendo che la modifica della domanda in relazione a tutte altre voci risarcitorie emerse dalle risultanze delle due consulenze tecniche, integrasse una mera “emendatio libelli”, come tale esente da preclusioni e consentita anche in comparsa conclusionale.

I motivi, che per la stretta connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono da ritenere, il secondo, inammissibile, per difetto di interesse e comunque non raggiungendo il “minimum” di sufficienza nella descrizione del fatto ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3; il terzo infondato.

La Corte territoriale ha accolto l’appello principale del Comune avverso la sentenza definitiva n. 120/2001 in base a due distinte “rationes decidendi”, e cioè:

1) la illegittimità della pronuncia di condanna del Tribunale (resa nella sentenza definitiva), in quanto avente ad oggetto una domanda nuova, tardivamente formulata dalla parte attrice (con la comparsa conclusionale depositata in data 13.5.1997, nel giudizio parzialmente definito con la sentenza parziale n. 246 pubblicata in data 3.9.1997), e sulla quale – avuto riguardo alla disciplina processuale applicabile ratione temporis, previgente la riforma della L. n. 353 del 1990 – non vi era stata accettazione del contraddittorio da parte del Comune;

2) il passaggio in giudicato – in conseguenza della pronuncia di inammissibilità per difetto di specificità dei motivi di gravame – della statuizione del Tribunale, resa nella sentenza parziale n. 246/1997, che aveva ritenuto il Comune convenuto in proprio quale ente locale, privo di “legitimatio ad causam” passiva in ordine ad asseriti danni derivati dalla adozione ed esecuzione dell’ordinanza contingibile ed urgente di demolizione delle parti percolanti dell’edificio, e che aveva altresì escluso qualsiasi responsabilità del Comune.

Orbene il ricorrente principale viene ad impugnare soltanto la prima delle due autonome “rationes decidendi”, dovendo allora appena ribadirsi il principio di diritto secondo cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle “rationes decidendi” rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012; id. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 11493 del 11/05/2018; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16314 del 18/06/2019; id. Sez. 1 -, Ordinanza n. 18119 del 31/08/2020; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 13880 del 06/07/2020).

Assume, pertanto, carattere recessivo l’argomento, svolto dal ricorrente con il terzo motivo, secondo cui, avendo il Giudice di appello ritenuto inammissibile l’appello principale proposto dal Comune avverso la sentenza non definitiva n. 246/1997 (in difetto di rituale riserva di appello formulata dal procuratore del Comune ex art. 340 c.p.c.), sarebbe passata in giudicato l’affermazione del Tribunale che aveva reputato ammissibile la estensione della pretesa risarcitoria in quanto mera “emendatio libelli” contenuta nella comparsa conclusionale.

La omessa impugnazione del capo della sentenza non definitiva relativo alla “emendatio libelli” viene, infatti, ad essere travolta dal giudicato “a monte” sul difetto di legittimazione passiva del Comune (convenuto in proprio anzichè come organo dell’Amministrazione statale competente) in ordine a tutte le domande risarcitorie formulate sia quelle originariamente formulate nell’atto di citazione, sia quelle formulate – a seguito delle risultanze della prima c.t.u. nella comparsa conclusionale depositata in data 13.5.1997 in primo grado, sia ancora quelle per i danni concernenti l’asserito negligente esercizio della delega, formulate a seguito delle risultanze della seconda c.t.u. poi recepita nella sentenza definitivo di primo grado, e considerate anch’esse nuove e quindi inammissibili dalla Corte d’appello in quanto riferite ad autonoma causa petendi rispetto a quella fatta valere con l’atto introduttivo.

Inoltre va osservato che il ricorrente viene a censurare anche la inesatta rilevazione da parte del Giudice di appello del contenuto della domanda originaria formulata dagli attori in primo grado, sostenendo che la stessa già ricomprendeva implicitamente la estensione della richiesta risarcitoria a tutti i danni oggetto delle indagini degli ausiliari.

Come è noto la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda, è attività riservata al Giudice di merito ed insindacabile se non nei ridotti limiti in cui: a) l’errore ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del Giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; b) l’errore si traduca in un vizio del ragionamento logico decisorio, ma anche in tal caso, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, deducibile come vizio di nullità processuale; c) ove poi l’errore coinvolga la qualificazione giuridica dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo, allora in tal caso, la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, od al vizio di “error facti”, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Orbene, come è stato precisato da questa Corte, “l’interpretazione e la qualificazione dell’eccezione (come della domanda) rientra tra i poteri del giudice di merito, il quale non è condizionato in tale compito dalla formula adottata dalla parte, dovendo tener conto del contenuto sostanziale dell’eccezione (o della pretesa), così come desumibile dalla situazione dedotta in causa: la suddetta interpretazione non è censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata, tuttavia le censure concernenti il difetto motivazionale non possono risolversi in una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice, ma devono indicare quale sia il vizio logico del ragionamento decisorio” (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5945 del 10/05/2000).

La censura concernente la errata interpretazione della volontà processuale espressa nell’atto di citazione deve, pertanto, evidenziare un vizio consistente nella alterazione del senso letterale o del contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (cfr. Corte Cass. Sez. L, Sentenza n. 2148 del 05/02/2004), venendo quindi in applicazione esclusivamente il criterio ermeneutico volto ad indagare il significato che emerge dal testo dell’atto, secondo il significato fatto palese dalle parole secondo la loro connessione logica, ed evincibile dalla complessiva lettura del contenuto dell’atto, avuto riguardo anche alla situazione dedotta in giudizio e dallo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria (cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 10840 del 10/07/2003; id. Sez. U., Sentenza n. 3041 del 13/02/2007), restando esclusi i criteri ermeneutici soggettivi ed oggettivi – previsti per gli atti negoziali, che implicano la ricerca della comune intenzione delle parti (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 4754 del 09/03/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 24847 del 24/11/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 25853 del 09/12/2014).

Tanto premesso, la Corte distrettuale ha illustrato ampiamente nella motivazione della sentenza impugnata le ragioni per le quali l’atto di citazione non avrebbe potuto – neppure in astratta ipotesi – prevedere “ab origine” la contestazione di fatti illeciti e la richiesta di risarcimento dei conseguenti danni (perdita di finanziamenti pubblici; ritardata ricostruzione; mancato uso del bene), derivati da negligente esercizio della delega per la ricostruzione dell’immobile danneggiato dal sisma conferita dai proprietari al Comune si sensi della L. n. 219 del 1981: l’atto di delega era stato, infatti, sottoscritto in data (OMISSIS) mentre l’atto di citazione risultava notificato oltre un anno prima, in data 25.5.1982, con la conseguenza che non poteva darsi, rispetto alle diverse domande risarcitorie, identità di “causa petendi”, dunque non essendo ravvisabile una mera “emendatio libelli” che presupponeva, invece, proprio la immodificabilità della “causa petendi” della pretesa (altro era la condotta illecita originariamente ascritta al Comune per imperita esecuzione dei lavori di parziale demolizione ed omesso apprestamento delle opere necessarie alla conservazione del residuo manufatto; condotta del tutto distinta era, invece, quella consistente nella violazione da parte del Comune dei doveri di diligenza nella esecuzione delle attività delegate dai proprietari ai sensi della L. n. 219 del 1981).

Su tale argomento il ricorrente non svolge alcuna critica, limitandosi soltanto ad allegare, senza fornire alcuna dimostrazione od elementi di riscontro, che la domanda risarcitoria iniziale doveva intendersi “implicitamente” comprensiva anche delle successive condotte dannose ascritte al Comune, omettendo del tutto di evidenziare in modo specifico quali parti del contenuto dell’atto di citazione introduttivo del giudizio, erano state inesattamente rilevate o male interpretate dal Giudice di appello e quale errore (relativo al significato lessicale della parola; alla connessione logica tra le parti del testo; alla volontà della parte, relazionata al petitum, che appaia oggettivamente incompatibile con una diversa scelta processuale) era stato da quello commesso nell’applicazione dell’indicato criterio ermeneutico, in tal modo non avendo il ricorrente neppure ottemperato al requisito di completezza della esposizione del fatto, come prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Anche la deduzione dell'”errore di fatto” va incontro alla pronuncia di inammissibilità, in mancanza di chiara individuazione dell’errore logico in cui è incorsa la Corte territoriale nell’esplicitare le ragioni per cui doveva ravvisarsi nel caso di specie la successiva proposizione di plurime domande contraddistinte da autonome “causae petendi”.

In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato, rimanendo in conseguenza assorbito l’esame del motivo di ricorso incidentale condizionato proposto dal Comune.

Essendo stato introdotto il giudizio di merito in data anteriore alle modifiche introdotte all’art. 92 c.p.c., dalla L. n. 263 del 2005, le spese del giudizio di legittimità possono essere interamente compensate tra le parti in considerazione dell’altalenante andamento degli esiti dei gradi di merito.

PQM

rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato.

Compensa integralmente le spese processuali.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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