Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28295 del 04/11/2019
Cassazione civile sez. lav., 04/11/2019, (ud. 17/09/2019, dep. 04/11/2019), n.28295
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 13829-2014 proposto da:
– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli
avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO e VINCENZO STUMPO;
– ricorrente –
contro
A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE
FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERGIOVANNI ALLEVA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 745/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,
depositata il 26/11/2013, R. G. N. 759/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
17/09/2019 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CIMMINO Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO;
udito l’Avvocato GIORGIO ANTONINI.
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. A.P. era stato dipendente a tempo
determinato della società Terre Picene S.p.A. dal 20 settembre 2002 al
30 novembre 2005. Il Tribunale di Ascoli Piceno con sentenza del 23
aprile 2010 dichiarava la nullità della clausola di apposizione del
termine, la conversione a tempo indeterminato del rapporto fino dal 20
settembre 2002 e la conseguente prosecuzione senza soluzione di
continuità del medesimo rapporto di lavoro con inquadramento nel VI
livello del CCNL del commercio, con condanna della società al pagamento
delle retribuzioni a far data dal 10 giugno 2006 (data della
costituzione in mora).
2. In data 30 giugno 2010 l’ A. stipulava una
transazione con la società già datrice di lavoro nella quale, a fronte
della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro in pari data, la
società si impegnava a regolarizzare la sua posizione previdenziale ed a
pagare la somma di Euro 45.000,00 a definizione della controversia.
3. L’Inps a seguito dell’avvenuta regolarizzazione
contributiva per l’intero periodo lavorativo, con comunicazione dell’8
ottobre 2010 contestava la natura indebita della somma di Euro 16.511,21
percepita titolo di indennità di disoccupazione nel periodo dal
1.1.2005 al 1.1.2009 e ne chiedeva la restituzione.
4. A.P. adiva il Tribunale di Ascoli
Piceno al fine di ottenere l’accertamento negativo della fondatezza
della pretesa restitutoria dell’Inps.
5. La Corte d’appello di Ancona confermava la
sentenza del Tribunale che aveva accolto il ricorso dell’ A.,
ritenendo dovuto il trattamento di disoccupazione.
6. La Corte argomentava che nel periodo di
riferimento l’ A. non era mai stato reintegrato nel posto di lavoro e
neppure aveva ricevuto spettanze retributive, ricevendo soltanto
l’importo stabilito in transazione a titolo di danno non patrimoniale,
sicchè sussistevano i requisiti per la richiesta disoccupazione.
7. Per la cassazione della sentenza l’Inps ha
proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, cui A.P. ha
resistito con controricorso.
8. L’Inps ha depositato anche memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
9. La difesa del controricorrente ha preliminarmente eccepito la
nullità del ricorso per cassazione per carenza della procura speciale
nella copia notificata, essendo quella ivi apposta a margine priva della
sottoscrizione del legale rappresentante dell’istituto e per autentica
del difensore.
10. L’eccezione non è fondata.
L’orientamento di legittimità può dirsi in proposito ormai
consolidato nel senso che: “qualora l’originale del ricorso per
cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il
ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura
speciale e l’autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione
della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e
della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega
effetti invalidanti, purchè la copia stessa contenga elementi – come
l’attestazione dell’ufficiale giudiziario che la notifica è stata
eseguita ad istanza del difensore del ricorrente idonei ad evidenziare
la provenienza dell’atto dal difensore munito di mandato speciale” (v.
da ultimo Cass. n. 1981 del 26/01/2018 e precedenti conformi ivi richiamati).
11. Nel caso di specie, risulta dall’esame degli atti che la copia
notificata del ricorso reca a margine la procura speciale rilasciata al
difensore – pur mancante della riproduzione delle sottoscrizioni nonchè
in calce la sottoscrizione del difensore medesimo, le firme sono
regolarmente apposte nell’originale del ricorso e dall’attestazione
sulla ricevuta sottoscritta dall’ufficiale giudiziario risulta che il
ricorso è stato presentato per la notifica dal difensore cui il mandato
speciale è stato conferito. Non vi è pertanto motivo di dubitare che il
ricorso notificato provenisse dal difensore già munito di mandato
speciale.
12. A fondamento del ricorso l’Inps deduce la violazione e falsa applicazione del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 45, comma 3, convertito con modificazioni nella L. 6 aprile 1936, n. 1155 vigente ratione temporis, con riferimento agli artt. 2033 e 1372 c.c.
Sostiene che la soluzione adottata dalla Corte d’appello marchigiana si
porrebbe in contrasto con i principi normativi e giurisprudenziali in
tema di indennità ordinaria di disoccupazione e con quelli afferenti
all’efficacia (dichiarativa, ex tunc) della conversione del rapporto di
lavoro a tempo indeterminato a seguito dell’illegittima apposizione del
termine; sostiene che l’accertamento giudiziale circa la sussistenza di
un valido rapporto di lavoro a tempo indeterminato per lo stesso periodo
escluderebbe lo stato di disoccupazione, con conseguente indebita
erogazione del relativo trattamento.
13. Il ricorso non è fondato.
A mente del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 45,
l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo
l’assegnazione agli assicurati di un’indennità nei casi di
disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro. Occorre dunque che
sussista in esito alla perdita del lavoro uno stato di disoccupazione,
per tale intendendosi, secondo la previsione del D.Lgs. n. 181 del 2000, art. 1,
comma 1, lett. c), applicabile ratione temporis, “la condizione del
soggetto privo di lavoro, che sia immediatamente disponibile allo
svolgimento ed alla ricerca di una attività lavorativa secondo modalità
definite con i servizi competenti”.
14. L’evento coperto dal trattamento di disoccupazione è
l’involontaria disoccupazione per mancanza di lavoro, ossia quella
inattività, conseguente alla cessazione di un precedente rapporto di
lavoro, non riconducibile alla volontà del lavoratore, ma dipendente da
ragioni obiettive e cioè mancanza della richiesta di prestazioni del
mercato di lavoro (così Corte Cost. 16/07/1968, n. 103).
La sua funzione è quella di fornire in tale situazione ai lavoratori (e
alle loro famiglie) un sostegno al reddito, in attuazione della
previsione dell’art. 38 Cost., comma 2.
15. Tale presupposto si verifica anche nel caso di scadenza del
termine contrattuale, in cui la cessazione del rapporto non deriva da
iniziativa del lavoratore.
16. E’ stato altresì chiarito che la domanda per ottenere il
trattamento di disoccupazione “non presuppone neppure la definitività
del licenziamento e non è incompatibile con la volontà di impugnarlo”,
mentre “l’effetto estintivo del rapporto di lavoro, derivante dell’atto
di recesso, determina comunque lo stato di disoccupazione che
rappresenta il fatto costitutivo del diritto alla prestazione, e sul
quale non incide la contestazione in sede giudiziale della legittimità
del licenziamento” (v. anche Cass. 11.6.1998 n. 5850, Cass. n. 4040 del 27/06/1980).
17. Solo “una volta dichiarato illegittimo il licenziamento e
ripristinato il rapporto per effetto della reintegrazione” le indennità
di disoccupazione “potranno e dovranno essere chieste in restituzione
dall’Istituto previdenziale, essendone venuti meno i presupposti”, così
non potendo, peraltro, le stesse “essere detratte dalle somme cui il
datore di lavoro è stato condannato ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18” (v. Cass. 15.5.2000 n. 6265, Cass. 16.3.2002 n. 3904, Cass. n. 9109 del 17/04/2007, Cass. n. 9418 del 20/4/2007).
18. A tali assunti deve darsi continuità anche in relazione al caso
in esame, in cui all’esito della scadenza del termine contrattuale si è
determinata una situazione di disoccupazione del lavoratore, non
ostandovi il fatto che in presenza di una sentenza dichiarativa
dell’illegittimità del detto termine contrattuale e di conversione del
rapporto a tempo indeterminato ex tunc, sia intervenuta tra le parti una
transazione prevedente la risoluzione consensuale del rapporto di
lavoro, la regolarizzazione previdenziale e l’erogazione di un importo a
titolo di danno non patrimoniale.
19. Deve premettersi che l’Inps, sul presupposto
dell’inopponibilità all’istituto della transazione intervenuta tra le
parti in ordine agli effetti della risoluzione del rapporto per scadenza
del termine, non discute in causa in ordine alle ripercussioni del
contenuto dell’accordo transattivo, ma valorizza ai fini dell’esclusione
di una situazione di disoccupazione involontaria (e dunque della
spettanza della relativa indennità) la sentenza del Tribunale di Ascoli
Piceno del 23 aprile 2010 il cui contenuto è stato riferito nello
storico di lite, nonchè del comportamento del lavoratore che
colpevolmente non l’avrebbe posta in esecuzione.
20. Deve in proposito rilevarsi in primo luogo che l’impugnazione
giudiziale della legittimità del recesso datoriale costituisce un
diritto, ma non un obbligo del lavoratore, e che l’intervenuta
disoccupazione involontaria deve valutarsi alla stregua e al momento
dell’atto risolutivo. Diversamente opinando, non spetterebbe l’indennità
di disoccupazione ogni qual volta il lavoratore omettesse di impugnare
un licenziamento che pur si presentasse manifestamente illegittimo
oppure ogni qual volta transigesse la lite prima ancora della
(possibile) sentenza di reintegra.
21. Neppure può ritenersi idonea ad escludere l’indennità di
disoccupazione la mera ricostituzione de iure del rapporto, sia pure con
sentenza esecutiva, essendo necessario per garantire l’effettività
della tutela che a detta reintegra sia data effettiva attuazione, con la
realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la
sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege.
22. In coerenza con tali premesse, deve aggiungersi – in dissenso
rispetto alla soluzione adottata da questa Corte negli arresti n. 9109 e
9418 del 2007, resi all’esito della stessa udienza e relativi a
medesima vicenda, in cui è stata esclusa la spettanza dell’indennità
speciale di disoccupazione prevista dalla L. n. 1115 del 1968 per alcuni lavoratori che avevano ottenuto la declaratoria d’ invalidità del licenziamento e l’ordine di reintegra L. n. 300 del 1970, ex art. 18
– che neppure rileva in senso ostativo alla percezione dell’indennità
in discussione un’eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad
esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo un’esplicita
previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza
dell’evento protetto, nè sarebbe conferente il richiamo all’art. 1227 c.c.,
che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute
del fatto genetico d’una prestazione assistenziale prevista per legge.
Non vi è luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò
comporterebbe) circa le ragioni e l’imputabilità o meno di tale
eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi
circa l’esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e
stragiudiziali.
23. Invero, la causa della disoccupazione resta l’atto risolutivo
del rapporto, non la mancata strenua opposizione ad esso (che è un post
factum, in quanto tale eziologicamente ininfluente).
24. Anche qualora sia stata resa in sede di impugnativa del termine
contrattuale una sentenza di conversione ex tunc del rapporto di
lavoro, elemento ostativo alla percezione dell’indennità di
disoccupazione sarebbe dunque l’effettiva ricostituzione del rapporto,
nei suoi aspetti giuridici ed economici, che nel caso non si è
realizzata, atteso che la sentenza oggi impugnata ha accertato che il
lavoratore non è mai stato reintegrato e che per il periodo in
contestazione non ha ricevuto le proprie spettanze retributive.
25. Sulla base di tali premesse risulta ininfluente il
sopravvenire, nelle more della lite avente ad oggetto l’impugnativa del
termine contrattuale, della L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5, c.d. Collegato Lavoro, che – al più – può aver pesato sulla
trattativa che ha preceduto la conciliazione in sede sindacale, ma che
non ha inciso sulla (in)volontarietà dello stato di disoccupazione, nè
sulla materiale percezione di retribuzioni.
26. Segue il rigetto del ricorso.
27. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
28. L’esito del giudizio determina la sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
complessivi Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro
200,00 per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15%
ed accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà
atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019