Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28294 del 04/11/2019
Cassazione civile sez. lav., 04/11/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 04/11/2019), n.28294
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28678-2015 proposto da:
HIPPOGROUP ROMA CAPANNELLE S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
DELLA GIULIANA 72, presso lo studio degli avvocati SAVERIO CASTELLI,
ALDO SIMONCINI, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,
presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e
difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3333/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 10/06/2015, R. G. N. 8421/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
10/07/2019 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’accoglimento del 4 motivo del
ricorso;
udito l’Avvocato SAVERIO CASTELLI;
udito STEFANO MUGGIA per delega verbale avvocato FILIPPO AIELLO.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 10.6.2015, la Corte d’appello di
Roma accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal I
settembre 2004 tra B.L. e la s.p.a. Hippogroup Roma Capannelle,
condannava la società all’immediata riammissione in servizio del
lavoratore con inquadramento nel IV livello del CCNL (attuale liv. D2)
di settore e al pagamento, in suo favore, delle differenze retributive
relative al periodo dal 16.3.2009 alla data della sentenza, da
determinarsi sulla base della media dei compensi percepiti, oltre
accessori di legge: così riformando la sentenza di primo grado, che
aveva invece rigettato la domanda del lavoratore.
Al di là della formale instaurazione nel
suindicato periodo di rapporti tra le parti in forza di due contratti di
lavoro autonomo (di incarico professionale e di fornitura di servizi,
in relazione ai quali non era stata svolta specifica allegazione e
deduzione) e di successivi dieci contratti di collaborazione coordinata e
continuativa a progetto, a norma del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 61 e 62,
la Corte territoriale riteneva l’esistenza, a far data dalla
stipulazione del primo contratto a progetto del 1.9.2004, di un rapporto
di lavoro subordinato, sugli essenziali elementi dell’eterodirezione
dell’attività del lavoratore e della sua soggezione al potere
disciplinare datoriale, in base alle scrutinate risultanze istruttorie.
Pure in forza di queste, essa riconosceva l’inquadramento professionale
corrispondente alle mansioni di cameraman svolte dal lavoratore e
rendeva le superiori statuizioni, in particolare liquidando il danno
subito dal predetto nel periodo intermedio (tra la cessazione della
prestazione in fatto e la pronuncia) in applicazione della normativa di
diritto comune e non della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5.
Con atto notificato il 30 novembre 2015, la
società ricorreva per cassazione con quattro motivi, illustrati da
memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.,
cui il lavoratore resisteva con controricorso. Ritenuta l’insussistenza
dei presupposti per la trattazione in adunanza camerale, la causa era
rinviata a nuovo ruolo e quindi rifissata all’odierna pubblica udienza.
Il controricorrente comunicava memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Nelle more decedeva l’avv. Aldo Simoncini, come dichiarato in udienza dal codifensore della ricorrente avv. Saverio Castelli.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61,artt. 2094,2222 c.c. e ss. in relazione all’art. 2697 c.c.,
per erroneo accertamento di un rapporto di lavoro subordinato tra le
parti, senza un’attenta nè corretta distinzione tra questo e il lavoro
autonomo professionale, alla luce delle scrutinate risultanze della
prova orale, deponenti per l’assenza di un penetrante potere direttivo
(tanto meno disciplinare, nè conformativo della prestazione) datoriale,
ma per la presenza di semplici direttive programmatiche rispettose
dell’autonomia del prestatore d’opera.
2. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 2094 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., art. 409 c.p.c.,
n. 3, per la natura effettivamente parasubordinata dei rapporti
instaurati tra le parti, corrispondenti alla volontà formalizzata a
norma del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 62,
congruente con la collaborazione, variabile e flessibile (appunto a
programma), necessaria alla società gestrice di ippodromi e di centri di
addestramento, nonchè di iniziative sportive, giochi e scommesse
ippiche.
3. Con il terzo, la ricorrente deduce nullità della sentenza per
omessa pronuncia su specifiche eccezioni e per vizio di ultrapetizione,
nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di
discussione tra le parti, in ordine all’inquadramento delle mansioni del
lavoratore al livello D2 (ex IV livello) del CCNL Società Corse
Cavalli.
4. Con il quarto, essa deduce violazione della L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5, per la non corretta liquidazione del danno risarcibile al
lavoratore nel periodo intermedio (tra la cessazione della prestazione
in fatto e la pronuncia della Corte d’appello) sulla base delle
retribuzioni maturate e non dell’indennità omnicomprensiva prevista
dalla norma denunciata, applicata dalla giurisprudenza di legittimità in
senso estensivo ad ogni contratto lavorativo a termine, convertito in
un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in esito
all’accertata nullità del termine.
5. I primi due motivi, relativi alla violazione delle norme
suindicate per non corretta qualificazione del rapporto tra le parti
come di lavoro subordinato anzichè di collaborazione parasubordinata a
progetto, possono essere congiuntamente esaminati, per ragioni di
evidente connessione.
5.1. Essi sono infondati.
5.2. E’ noto che il contratto di lavoro a progetto, disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61,
integri una forma particolare di lavoro autonomo, caratterizzato da un
rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente
personale, riconducibile ad uno o più progetti specifici, funzionalmente
collegati al raggiungimento di un risultato finale determinati dal
committente, ma gestiti dal collaboratore senza soggezione al potere
direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione (Cass. 6 settembre 2016, n. 17636).
E che ai fini della distinzione fra lavoro subordinato e autonomo,
anche nel caso di contratto di lavoro a progetto, debba attribuirsi
maggiore rilevanza alle concrete modalità di svolgimento del rapporto,
da cui sia ricavabile l’effettiva volontà delle parti (iniziale o
sopravvenuta), rispetto al nomen iuris adottato dalle parti (Cass. 21 ottobre 2014, n. 22289).
D’altro canto, in tema di qualificazione del rapporto di lavoro in
generale, la prolungata esecuzione ed il nomen iuris, pur essendo
elementi necessari di valutazione, non costituiscono fattori assorbenti,
occorrendo dare prevalenza alle concrete modalità di svolgimento del
rapporto di lavoro (Cass. 1 marzo 2018, n. 4884;
e con specifico riferimento ad una qualificazione del rapporto di
lavoro, operata dalle parti, come contratto di collaborazione coordinata
e continuativa: Cass. 8 aprile 2015, n. 7024).
5.3. Occorre allora ribadire che, ai fini della distinzione tra
lavoro subordinato e lavoro autonomo, l’elemento della subordinazione
(ossia della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e di
controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità d’essere del
rapporto, desumibile da un insieme di circostanze che devono essere
complessivamente valutate da parte del giudice del merito; e ciò in
particolare nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o
intellettuale e indipendentemente da una iniziale pattuizione scritta
sulle modalità del rapporto (Cass. 26 agosto 2013, n. 19568).
Tra le circostanze da valorizzare, speciale importanza ha il vincolo di
soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e
disciplinare del datore di lavoro, il quale discende dall’emanazione di
ordini specifici (e non soltanto di direttive di carattere generale, ben
compatibili con il semplice coordinamento sussistente anche nel
rapporto libero professionale: Cass. 16 novembre 2018, n. 29646), oltre che dall’esercizio di una assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative (Cass. 8 febbraio 2010, n. 2728).
Una tale valutazione di fatto è poi rimessa in via esclusiva al
giudice del merito e, se immune da vizi giuridici e adeguatamente
motivata, è insindacabile in sede di legittimità, ove è censurabile
soltanto la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare
al caso concreto (Cass. 25 febbraio 2019, n. 5436).
5.4. Ebbene, la Corte territoriale ha esattamente applicato i
suenunciati principi di diritto, focalizzando la distinzione tra
collaborazione coordinata e continuativa a progetto e rapporto di
subordinazione nell’effettivo, e non formale, margine di autonomia (pg. 5
della sentenza).
Essa ha quindi compiuto un accertamento in fatto, sulla base delle
scrutinate risultanze istruttorie, congruamente argomentato (per le
ragioni esposte al paragrafo 3 delle pgg. 5, 6 e 7 della sentenza),
pertanto insindacabile in sede di legittimità.
6. Il terzo motivo, relativo ai vizi di error in procedendo e di
motivazione suindicati in ordine all’inquadramento delle mansioni del
lavoratore, è pure infondato.
6.1. Anche qui la Corte territoriale ha correttamente accertato (al
punto 4 di pg. 8 della sentenza) l’attività (di cameraman)
concretamente svolta dal lavoratore e individuato la qualifica prevista
dal contratto collettivo di categoria, in esito al cd. procedimento
trifasico, consistente nel raffronto tra il risultato della prima
indagine e della seconda (Cass. 27 settembre 2010, n. 20272; Cass. 28 aprile 2015, n. 8589; Cass. 27 settembre 2016, n. 18943).
Senza con ciò omettere alcuna pronuncia su eccezioni della società
datrice (disattese dall’accertamento in fatto), nè incorrere in vizio di
ultrapetizione, avendo la Corte capitolina pronunciato sulla domanda di
inquadramento nel livello D2 (ex IV livello) del CCNL di settore, cui è
seguita quella delle relative differenze retributive, mantenuta nei due
gradi di merito.
6.2. Neppure si configura, infine, il vizio di motivazione come denunciato, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5, non essendo stato allegato un fatto storico (ma
piuttosto contestata una valutazione giuridica) di cui sia stato omesso
l’esame: tanto meno secondo il prescritto paradigma deduttivo, secondo
cui il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia
stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
7. Il quarto motivo, relativo ad error in iudicando per non
corretta liquidazione del danno risarcibile al lavoratore nel periodo
tra la cessazione della prestazione in fatto e la sentenza d’appello
sulla base delle retribuzioni maturate e non dell’indennità
omnicomprensiva ai sensi della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, è invece fondato.
7.1. La questione devoluta riguarda dunque l’applicabilità o meno dell’indennità omnicomprensiva istituita dalla L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5 anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo. La
norma in esame prevede che, nei casi di conversione del contratto a
tempo determinato, il giudice condanni il datore di lavoro al
risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità omnicomprensiva da
un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione
globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. n. 604 del 1966, art. 8.
La lettura comparativa con il comma 4 dello stesso articolo rivela
immediatamente come il quinto richiami esclusivamente l’istituto del
“contratto a tempo determinato”, senza alcuna sua regolamentazione
specifica; al contrario del quarto, che indica invece analiticamente,
per ciascuna ipotesi, la disciplina di riferimento. Sicchè, il comma 5
contiene una formulazione unitaria, indistinta e generale di “casi” di
“conversione del contratto a tempo determinato” senza alcuna
specificazione normativa di riferimento, nè aggiunta di ulteriori
elementi selettivi.
7.2. Sulla base di tale piana constatazione interpretativa, questa
Corte già da tempo ha adottato una lettura estensiva della formula “casi
di conversione del contratto a tempo determinato”, comprensiva anche
dei contratti di lavoro temporaneo, non preclusa da una “indicazione”,
contenuta nella sentenza 9 novembre 2011, n. 303 della Corte costituzionale,
in quanto “non vincolante e limitata ad un inciso, peraltro riguardante
il contratto di somministrazione, in una sentenza focalizzata su altro
problema” (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404).
Ed infatti, nello scrutinio di legittimità costituzionale della L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5, alla stregua di previsione irragionevolmente riduttiva del
risarcimento del danno integrale già conseguibile dal lavoratore,
illegittimamente estromesso alla scadenza del termine, sotto il regime
previgente e (per quanto qui interessa) “con effetti discriminatori nei
confronti di una serie di lavoratori… in situazioni comparabili”, la
Consulta ha escluso (al p.to 3.3.3. del Considerato in diritto) una
“indebita omologazione, da parte del modello indennitario delineato
dalla normativa in esame, di situazioni diverse” per le “ulteriori
disparità di trattamento segnalate dal Tribunale di Trani”, attesa
“l’obiettiva eterogeneità delle situazioni”, preclusiva
dell’assimilabilità del “contratto di lavoro subordinato con una
clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine)… ad altre
figure illecite”: quali la somministrazione irregolare di manodopera
(specificamente rilevante nei due arresti di legittimità citati), la
cessione illegittima del rapporto di lavoro e quella dell’utilizzazione
fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata (qui appunto
rilevante).
L’inesistenza di un vincolo interpretativo nel passo della sentenza
della Corte costituzionale appena illustrato, già ritenuta da questa
Corte nei precedenti richiamati, deve essere qui ribadita. E non
soltanto per l’ovvia considerazione del limitato effetto (processuale)
della pronuncia di rigetto sulla questione rimessa, in assenza di alcuna
decisione sulla legge; ma anche per l’inidoneità dell’argomentazione a
costituire dato ermeneutico impegnativo, in riferimento alla
(in)applicabilità dell’art. 32, comma 5 L. cit. alle diverse fattispecie
illecite richiamate in via esemplificativa, in funzione di mera
esclusione della prospettata disparità di trattamento per obiettiva
eterogeneità delle situazioni. Sia pure non esplicitato dalle due
sentenze citate, questo è stato l'”altro problema” sul quale la
“sentenza” si è “focalizzata”, senza una più puntuale definizione del
perimetro della norma, in quanto eccedente la questione di
costituzionalità prospettata.
7.3. Tanto chiarito, occorre allora assumere come dato acquisito,
per indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato in
diritto vivente, la necessità (e, al tempo stesso, la sufficienza) di
verificare, per l’inclusione nella L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5 della fattispecie in esame, la sussistenza delle due sole
condizioni: a) di natura a tempo determinato del contratto di lavoro; b)
di presenza di un fenomeno di conversione.
Tale approdo interpretativo (oltre che nelle citate Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404, in numerose successive, tra le quali: Cass. 1 agosto 2014, n. 17540; Cass. 20 ottobre 2017, n. 24887; Cass. 3 aprile 2018, n. 8148; Cass. 12 giugno 2019, n. 15753, in materia di prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, ai sensi della L. n. 196 del 1997, art. 3,
comma 1, lett. a) e di somministrazione a termine) è stato ribadito con
l’inequivoca affermazione della rilevanza, a fini di applicazione
dell’indennità in questione, del duplice presupposto della natura a
tempo determinato del contratto di lavoro dedotto in giudizio e della
sua “conversione”, estensibile all’accertamento di ogni ragione che
comporti la stabilizzazione del rapporto, anche se derivante da una
deviazione dalla causa o funzione ad esso propria, come nell’ipotesi di
nullità del termine finale apposto al contratto di formazione e lavoro
per mancato adempimento dell’obbligo formativo (Cass. 21 giugno 2018, n. 16435),
o addirittura di illegittimità di un contratto di lavoro autonomo a
termine, convertito in contratto a tempo indeterminato, poichè la
predetta indennità consegue a qualsiasi ipotesi di riconoscimento di un
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato in sostituzione di
altra fattispecie contrattuale a tempo determinato (Cass. 3 agosto 2018, n. 20500).
7.4. Occorre allora verificare l’applicabilità dei suenunciati
principi di diritto al contratto di lavoro a progetto, che, si
ribadisce, è disciplinato dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 61
alla stregua di una particolare forma di lavoro autonomo,
caratterizzato da un rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa, prevalentemente personale, riconducibile ad uno o più
progetti specifici, funzionalmente collegati al raggiungimento di un
risultato finale determinati dal committente, ma gestiti dal
collaboratore nel rispetto del coordinamento con l’organizzazione del
primo e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione
dell’attività lavorativa, senza che si configuri una soggezione al
potere direttivo altrui e quindi senza vincolo di subordinazione: con la
conseguenza che il progetto concordato non può consistere nella mera
riproposizione dell’oggetto sociale della committente, e dunque nella
previsione di prestazioni a carico del lavoratore coincidenti con
l’ordinaria attività aziendale (Cass. 6 settembre 2016, n. 17636).
Si deve poi ritenere che la nozione di “specifico progetto” consista, tenuto conto delle precisazioni introdotte nella L. n. 92 del 2012,
art. 61 cit., in un’attività produttiva chiaramente descritta e
identificata, funzionalmente ricollegata ad un determinato risultato
finale (e dunque di un termine) cui partecipa con la sua prestazione il
collaboratore e con la precisazione della non necessaria inerenza del
progetto specifico ad un’attività eccezionale, originale o del tutto
diversa rispetto all’ordinaria e complessiva attività di impresa (Cass. 16 ottobre 2017, n. 24379; Cass. 26 aprile 2018, n. 10135).
Sicchè, il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69, comma 1 (ratione temporis applicabile, nella versione antecedente le modifiche della L. n. 92 del 2012, art. 1,
comma 23, lett. f)) si interpreta nel senso che, quando un rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa sia instaurato senza
individuare uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso,
non si proceda ad accertamenti volti a verificare se il rapporto si sia
esplicato secondo i canoni dell’autonomia o della subordinazione, ma
all’automatica conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo
indeterminato, sin dalla data di costituzione (Cass. 21 giugno 2016, n. 12820; Cass. 17 agosto 2016, n. 17127; Cass. 5 novembre 2018, n. 28156).
Nè un tale regime sanzionatorio contrasta con il principio di
“indisponibilità del tipo”, per il quale è stato escluso che il
legislatore o le parti possano imporre presunzioni o qualificazioni
contrattuali di autonomia che sottraggano alle indefettibili garanzie
del lavoro subordinato una fattispecie che come tale si realizza (Corte Cost. 25 marzo 1993, n. 121;
Corte Cost. 23 marzo 1994, n. 115), in quanto posto a tutela del lavoro
subordinato e non invocabile nel caso inverso, nemmeno essendo
sottratti al giudice i poteri di qualificazione del rapporto, ma
introdotta una sanzione consistente nell’applicazione al rapporto delle
garanzie del lavoro dipendente; neppure esso contrasta con l’art. 41 Cost.,
comma 1, traendo origine da una condotta datoriale di violazione di
prescrizioni di legge ed essendo coerente con la finalità antielusiva
perseguita dal legislatore (Cass. 4 aprile 2019, n. 9471).
Se allora le condizioni di applicabilità dell’indennità omnicomprensiva prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5 sono costituite dalla natura a tempo determinato del contratto
di lavoro e dalla presenza di un fenomeno di conversione, occorre
affermare, in coerente continuità con l’indirizzo interpretativo di
questa Corte, la loro ricorrenza anche nel caso in esame.
7.5. Posto che la temporaneità deve naturalmente essere intesa non
soltanto nel senso di predeterminazione cronologica espressamente
individuata dall’apposizione di un termine finale, ma di intrinseca
limitazione nel tempo di un’attività, destinata a cessare con il
raggiungimento di un obiettivo chiaramente predefinito, il contratto di
lavoro a progetto integra questa prima condizione.
Esso è, infatti, ontologicamente a tempo determinato, siccome da
ricondurre costitutivamente ad uno o più progetti specifici,
funzionalmente collegati al raggiungimento di un risultato finale: al
punto di essere contratto di lavoro a progetto in quanto
“finalisticamente a tempo”, o di non esserlo, così divenendo altro.
7.6. La perdita della caratteristica coessenziale del “progetto”
introduce la seconda condizione necessaria: la presenza di un fenomeno
di conversione.
E’ noto che l’espressione “conversione”, in materia di contratti di
lavoro a tempo determinato, sia utilizzata in dottrina e giurisprudenza
per descrivere il meccanismo in base al quale la nullità della clausola
di apposizione del termine non produce la nullità dell’intero
contratto, ma la sua elisione, secondo il meccanismo previsto dall’art. 1419 c.c.,
comma 2, comportante la conseguente trasformazione del rapporto di
lavoro a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, e cioè in
un contratto privo della clausola accidentale nulla. L’operatività di
questo meccanismo in alcuni casi si ricava dal sistema, in altri è
stabilito espressamente dalla legge (Cass. 17 gennaio 2013, n. 1148; Cass. 29 maggio 2013, n. 13404).
Ed è ciò che accade anche per il contratto in esame, per esplicita previsione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 69,
comma 1, secondo il quale un rapporto di collaborazione coordinata e
continuativa, che sia instaurato senza l’individuazione di uno specifico
progetto, si converte automaticamente in rapporto di lavoro subordinato
a tempo indeterminato.
La conclusione raggiunta in via di coerente interpretazione
sistematica neppure è smentita dalla L. n. 183 del 2010, art. 50, che
anzi esplicitamente menziona la conversione. Esso prevede: “Fatte salve
le sentenze passate in giudicato, in caso di accertamento della natura
subordinata di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
anche se riconducibili ad un progetto o programma di lavoro, il datore
di lavoro che abbia offerto entro il 30 settembre 2008 la stipulazione
di un contratto di lavoro subordinato ai sensi della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1,
comma 1202 e seguenti, nonchè abbia, dopo la data di entrata in vigore
della presente legge, ulteriormente offerto la conversione a tempo
indeterminato del contratto in corso ovvero offerto l’assunzione a tempo
indeterminato per mansioni equivalenti a quelle svolte durante il
rapporto di lavoro precedentemente in essere, è tenuto unicamente a
indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo
compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità di
retribuzione, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.
E’ indubbio che la norma introduca un regime speciale finalizzato a limitare, in sede di prima applicazione della L. n. 183 del 2010
ed alle condizioni indicate, le conseguenze sanzionatorie in caso di
accertamento della natura subordinata del rapporto delle collaborazioni
coordinate e continuative, anche a progetto, già oggetto di un’offerta
di stabilizzazione ai sensi della L. n. 296 del 2006, art. 1,
comma 1202 ss. (cosiddetta “legge finanziaria 2007”); non potendo così
trarsene una regola generale nel senso di escludere, in difetto delle
condizioni di stabilizzazione eccezionalmente indicate, il contratto in
esame dalla soggezione al nuovo generale regime indennitario.
Il contenuto normativo dell’art. 50 in parola, che risponde a
finalità proprie e attende ancora un più compiuto chiarimento
interpretativo, si colloca pur sempre nell’alveo di una fondamentale
istanza legislativa di determinazione del risarcimento del danno in via
forfettizzata, congruente con la ratio di attribuzione al sistema del
lavoro temporaneo di un maggior grado di certezza e stabilità.
Per quanto qui interessa, esso stabilisce in particolare una
riduzione, per così dire premiale (dell’emersione delle collaborazioni
coordinate e continuative, anche se riconducibili ad un progetto o
programma di lavoro, in seguito alle procedure di stabilizzazione
suindicate), in misura di metà del massimo dell’indennità; non
diversamente dalla previsione del comma 6 dell’art. 32 cit., di
dimidiazione della misura dell’indennità del comma 5 (“In presenza di
contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali,
stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a
tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a termine
nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità
fissata dal comma 5 è ridotto alla metà), in funzione promozionale di
soluzioni sindacali del contenzioso rilevante sedimentatosi, in materia,
in alcuni settori produttivi.
Sicchè, non ci sono ragioni per dubitare che l’art. 50 L. cit. osti
all’applicabilità dell’indennità omnicomprensiva istituita dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 anche al contratto di collaborazione a progetto illegittimo.
8. Le superiori argomentazioni comportano l’accoglimento del quarto
motivo esaminato, con rigetto degli altri e la cassazione della
sentenza, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per la
regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte
d’appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà al seguente
principio di diritto, enunciato a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2:
“Il regime indennitario istituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5 si applica anche al contratto di collaborazione a progetto
illegittimo, in quanto fattispecie nella quale ricorrono le condizioni
della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della
presenza di un fenomeno di conversione”.
PQM
La Corte accoglie il quarto motivo, rigetta gli altri; cassa la
sentenza, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’appello
di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche alla
liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019