Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28290 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. III, 22/12/2011, (ud. 23/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12250-2009 proposto da:

M.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DEI GOZZADINI 30, presso lo studio dell’avvocato PROSPERINI

ALBERTO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

LE ASSICURAZIONI ROMA MUTUA ASSICURATRICE COMUNALE ROMANA

(OMISSIS), in persona del suo Dirigente Dr.ssa Mo.Pa.

M., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA G. ANTONELLI 4, presso

lo studio dell’avvocato TORTORELLA MARCO, che le rappresenta e

difende, con procura speciale del dott.ssa GERVASIO Paola, Notaio in

Roma, del 20/04/2011, rep. n. 992, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

MA.FR.;

– intimato –

e contro

AMA AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE SPA, elettivamente domiciliata in

ROMA, LUNGOTEVERE ARNALDO DA BRESCIA 9, presso lo studio

dell’avvocato MANNOCCHI MASSIMO, che la rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2110/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/05/2008; R.G.N. 4521/2002.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/11/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;

udito l’Avvocato ALBERTO PROSPERI;

udito l’Avvocato MASSIMO MANNOCCHI;

udito l’Avvocato MARCO TORTORELLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ma.Fr. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’A.N.M.U. e l’Ascoroma (oggi Le Assicurazioni di Roma) chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla prolungata assenza dal lavoro del proprio dipendente M.D. a causa delle lesioni dallo stesso riportate a seguito dell’incidente stradale per cui è causa, avvenuto in (OMISSIS).

A sostegno della domanda l’attore esponeva che il sinistro si era verificato per colpa esclusiva del conducente di un autocarro di proprietà della stessa A.N.M.U. che, ad un incrocio, non aveva rispettato il segnale di stop cagionando la collisione con l’autovettura condotta dal M..

Si costituiva l’Ascoroma, assicuratrice dell’autocarro di proprietà dell’A.N.M.U. chiedendo il rigetto della domanda, mentre non si costituiva quest’ultima della quale veniva dichiarata la contumacia.

Nel corso del giudizio interveniva M.D. chiedendo la condanna solidale dei convenuti al risarcimento dei danni che asseriva di aver subito.

Il Tribunale di Roma, rigettate le eccezioni preliminari della convenuta Ascoroma, ricostruiva la dinamica del sinistro rilevando un concorso di colpa nella causazione dell’evento dannoso nella misura del 70% a carico del conducente dell’autocarro dell’A.N.M.U. e nella misura del 30% a carico del M..

Il Tribunale ravvisava un concorso di colpa di entrambi i conducenti in quanto il primo non aveva rispettato il segnale di “stop” ed il secondo non aveva tenuto una velocità particolarmente moderata in prossimità di un incrocio.

Condannava pertanto i convenuti al pagamento, in favore dell’attore della somma di L. 3.600.000, pari alla retribuzione di due mensilità e della somma di L. 28.759.976 in favore dello stesso M., corrispondente al danno complessivo da questi subito, decurtato del 30%.

Avverso tale sentenza ha proposto appello M.D. censurando la decisione del Tribunale sia sotto il profilo dell’an debeatur che del quantum.

La Corte d’Appello di Roma ha dichiarato la contumacia di Ma.

F. ed ha rigettato l’appello proposto da M.D..

Ha proposto ricorso per cassazione M.D. con sette motivi e presenta memoria.

Resisteva con controricorso Le Assicurazioni di Roma.

All’udienza del 10 maggio 2011 questa Corte ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti di Ma.Fr..

L’AMA s.p.a. ha presentato note d’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inadeguatezza dei quesiti, perchè gli stessi sono conformi al paradigma di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Con il primo motivo M.D. denuncia “Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Lamenta parte ricorrente che l’impugnata sentenza, dopo aver sostenuto che l’autovettura teneva una velocità eccessiva in relazione alle caratteristiche della strada, non indica poi quali siano tali caratteristiche.

Il motivo si articola in censure di merito ed è infondato.

Infatti, come costantemente affermato da questa Corte, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente e al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato e immune da vizi logici e da errori giuridici (Cass. 2 marzo 2004, n. 4186; Cass. 25 febbraio 2004, n. 3803; Cass. 30 gennaio 2004, n. 1758; Cass. 5 aprile 2003, n. 5375).

Tali vizi non sussistono nella fattispecie.

Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e art. 2054 c.c., comma 2 nonchè art. 1227, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, Parte ricorrente ritiene viziato il ragionamento in base al quale la Corte ha ridotto la colpa del conducente dell’autocarro al 70% perchè quest’ultimo “pur non rispettando il segnale di “Stop” ha invaso la corsia di marcia dell’autovettura di appena un metro”.

Sviluppa quindi le sue considerazioni in relazione alla “precedenza di fatto”.

Lamenta inoltre la violazione dell’art. 1227, comma 1 e art. 2056, comma 1 perchè il risarcimento viene diminuito per fatto colposo non del creditore danneggiato bensì del medesimo debitore-danneggiante.

Il motivo è infondato.

Nella fattispecie il giudice non si è avvalso della presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c., ma ha accertato in concreto tali colpe, ritenendo che quella del conducente del camion fosse il non rispetto dello stop e quella dell’attore la velocità eccessiva per la presenza dell’incrocio (tratta dalle tracce di frenata).

L’accertamento del concorso di colpa del danneggiato è giudizio di merito insindacabile in sede di legittimità, ma deve essere correttamente e adeguatamente motivato con riguardo sia all’entità della colpa del danneggiato stesso e alla relativa quantificazione percentuale, sia all’efficienza causale della sua negligenza rispetto alla produzione del danno (Cass., 29 settembre 2005, n. 19166).

Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e art. 342 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il ricorrente censura che la sentenza impugnata non avrebbe deciso sulla lagnanza relativa al valore tabellare dei punti di invalidità, in luogo di un valore maggiore.

Il motivo è infondato. Il giudice ha risposto su tale censura, rigettandola e quindi non sussiste il lamentato vizio di omessa pronunzia. Diversa questione è se la motivazione in fatto o in diritto possa non essere corretta o addirittura mancante.

Poichè il vizio di omessa pronuncia si concreta nel difetto del momento decisorio, per integrare detto vizio occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto: il che si verifica quando il giudice non decide su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte ovvero quando egli pronuncia solo nei confronti di alcune parti. Per contro, il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass., 18 febbraio 2005, n. 3388).

Con il quarto motivo si denuncia “Insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.

Si lamenta che la Corte, fatto proprio il dato tabellare elaborato dal Tribunale di Roma, omette di fornire una più esauriente spiegazione intorno alla valutazione equitativa per la quale occorre dar conto dei criteri all’uopo seguiti e della loro idoneità a favorire un ristoro satisfattivo.

Difetta, prosegue parte ricorrente, una compiuta motivazione dei secondi giudici manchevoli nell’indicare i criteri delle richiamate Tabelle del Tribunale di Roma. Censura altresì la sentenza impugnata per non aver tenuto conto di altre tabelle adottate nella pratica giurisprudenziale, tra cui le tabelle milanesi ed altre ugualmente più alte nella valutazione del punto di invalidità.

Il motivo è fondato.

Vanno applicate le tabelle del Tribunale di Milano.

La Corte di cassazione ha stabilito che nella liquidazione del danno alla persona, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, l’adozione della regola equitativa di cui all’art. 1226 c.c. deve garantire non solo l’adeguata considerazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi. E’ intollerabile ed iniquo, secondo il giudice di legittimità, che danni identici possano essere liquidati in misura diversa sol perchè le relative controversie siano decise da differenti uffici giudiziari. “Equità”, ha affermato al riguardo la Corte, vuoi dire non solo proporzione, ma anche uguaglianza.

Dall’affermazione di questo generale principio la Corte ha tratto la conclusione che, nei suoi compiti di giudice della nomofilachia, deve rientrare anche quello di indicare ai giudici di merito criteri uniformi per la liquidazione del danno alla persona, e tali criteri sono stati individuati nelle “Tabelle” di riferimento per la stima del danno alla persona elaborate dal tribunale di Milano, trattandosi del criterio più diffuso sul territorio nazionale. Da ciò consegue che, d’ora innanzi, sarà censurabile per violazione di legge la sentenza di merito che non dovesse applicare il suddetto criterio, ovviamente senza adeguatamente motivare lo scostamento da esso (Cass. SU 7 giugno 2011, n. 12408, nonchè Cass. SU 30 giugno 2011, n. 14402).

L’accoglimento del quarto motivo comporta l’assorbimento degli altri.

In conclusione, devono essere rigettati i primi tre motivi; accolto il quarto, assorbiti i restanti con il conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del ricorso per cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi; accoglie il quarto, dichiara assorbiti i restanti. Cassa e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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