Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2829 del 06/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 06/02/2018, (ud. 10/10/2017, dep.06/02/2018),  n. 2829

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Roma, respingendo le opposte impugnazioni, ha confermato la pronuncia di primo grado cui il Tribunale di Roma, respinte le eccezioni pregiudiziali, aveva rigettato nel merito la domanda proposta dagli odierni ricorrenti che, quali dipendenti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, avevano agito per il riconoscimento della qualifica di Vice Dirigente D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 17-bis dagli stessi rivendicata sul presupposto di avere maturato cinque anni di anzianità, alla data del 5 luglio 2002, nell’area 3^, fasce retributive F3, F4 e F5, corrispondenti alle posizioni economiche C2, C3 e C3 super del comparto Ministeri, ex direttori amministrativi di 8^ e 9^ qualifica del previgente ordinamento.

2. La Corte territoriale, richiamato la L. n. 15 del 2009, art. 8 con cui è stata fornita l’interpretazione autentica del predetto art. 17-bis, richiamata altresì la sentenza n. 14656 del 2011 delle Sezioni Unite di questa Corte, ha ritenuto, in estrema sintesi, che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17-bis, inserito dalla L. n. 145 del 2002, art. 7, comma 3, poi modificato dal D.L. 115 del 2005, art. 14-octies conv. in L. n. 168 del 2005, aveva rimesso esclusivamente alla contrattazione collettiva il compito di istituire l’area della vice dirigenza, dettando i criteri ai quali le parti contraenti avrebbero dovuto attenersi per individuare quali dipendenti potessero essere inquadrati in detta area e che, in assenza di disciplina negoziale, non poteva sorgere alcun diritto a favore di coloro che vantano i requisiti di legge, posto che tali requisiti non costituiscono la sola condizione prevista dalla legge, essendo invece indispensabile l’intervento della disciplina negoziale ad opera delle parti sociali. Ha altresì escluso che potesse ravvisarsi un inadempimento dell’Amministrazione per avere omesso di inquadrare i dipendenti in possesso dei requisiti nell’area della vice dirigenza, trattandosi di un’area non venuta ad esistenza in difetto della specifica disciplina contrattuale istitutiva.

3. Per la cassazione di tale sentenza gli originari ricorrenti hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, cui resiste la Presidenza del Consiglio dei Ministri con controricorso, seguito da memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo i ricorrenti, lamentando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, , dell’art. 17 bis, comma 1, come introdotto dalla L. 15 luglio del 2002, n. 145 e dell’atto di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale del personale non dirigente relativo al quadriennio 2002-2005 e al biennio economico 2002 – 2003 (art. 360 c.p.c., n. 3), assumono che l’istituzione di una specifica area per le professionalità più elevate nella pubblica amministrazione era contemplata dal predetto art. 17-bis con una disposizione avente efficacia immediatamente precettiva e cogente nei confronti della contrattazione collettiva. Il diritto alla categoria di vice dirigente – sostengono i ricorrenti – nasceva direttamente dalla legge e doveva essere riconosciuto anche in mancanza di una disciplina contrattuale collettiva integrativa. Negare al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17-bis carattere immediatamente precettivo, come pure subordinarne l’applicazione ad una fonte secondaria, qual è la contrattazione collettiva, produrrebbe – ad avviso dei ricorrenti – l’effetto paradossale per cui sarebbe sufficiente alla contrattazione collettiva rinviare a tempo indeterminato la configurazione dell’area oppure omettere completamente di provvedere al riguardo, come avvenuto nella specie, per vanificare l’operatività della stessa legge, con stravolgimento del sistema di gerarchia delle fonti.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti collettivi (art. 360 c.p.c., n. 3), rappresentano che era stata la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, nell’atto di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale del personale non dirigente relativo al quadriennio 2002-2005 e al biennio economico 2002-2003, a indicare come indispensabile la previsione dell’istituzione di un’area intermedia tra l’apicale delle aree funzionali e la diligenza, in attuazione di quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17-bis e che, nonostante tale atto di indirizzo, vi era stata una totale inerzia da parte dell’Amministrazione di dare corso a quanto affermato ufficialmente nell’atto di indirizzo e per tale motivo nessuna iniziativa era stata presa dall’Aran negli anni successivi.

3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto e di contratti collettivi nazionali (art. 360 c.p.c., n. 3) con particolare riferimento alla perdita di chances professionali. Si prospetta che la previsione normativa dell’istituzione della vicedirigenza, unitamente a tutti gli altri interventi regolamentari, aveva suscitato già da tempo nei ricorrenti una situazione di legittimo affidamento, la cui lesione comporta il riconoscimento della relativa tutela risarcitoria sotto l’aspetto della perdita di chances professionali.

4. Il quarto motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) in relazione alla mancata considerazione dell’atto di indirizzo per la contrattazione collettiva nazionale del personale non dirigente relativa quadriennio 2002-2005, biennio economico 2002-2003.

5. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, non è fondato.

6. Il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 17 bis, introdotto dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, art. 7, comma 3, poi novellato dal D.L. 30 giugno 2005, n. 115, art. 14-octies, conv. con mod., in L. 17 agosto 2005, n. 168, aveva contemplato l’area della “vicedirigenza”. In particolare, aveva previsto che la contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplinasse l’istituzione di un’apposita “separata” area della vicedirigenza nella quale fosse ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che avesse maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche 8^ e 9^ del precedente ordinamento; previsione questa estesa, nei limiti della compatibilità, al personale dipendente dalle altre amministrazioni soggette alla disciplina dettata dal cit. D.Lgs. n. 165 del 2001 con riferimento a posizioni “equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri”.

6.1. Successivamente, per l’interpretazione autentica dell’art. 17-bis intervenne la L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 8, che previde che l’art. 17-bis si interpreta nel senso che la vicedirigenza è disciplinata esclusivamente ad opera e nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento, la quale ha facoltà di introdurre una specifica previsione costitutiva al riguardo. E aggiunse che il personale in possesso dei requisiti previsti dall’art. 17-bis potesse essere destinatario della disciplina della vicedirigenza soltanto a seguito dell’avvenuta costituzione di quest’ultima da parte della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento.

6.2. Nella vigenza di tale disciplina, la giurisprudenza di questa Corte (S.U. n. 14656 del 2011) ebbe a precisare che l’art. 17-bis, nel prefigurare una nuova qualifica dei dipendenti pubblici, quella di “vicedirigente”, ne aveva demandato “la disciplina dell’istituzione”, e quindi innanzi tutto l’istituzione, alla contrattazione collettiva, in piena sintonia con il riparto delle fonti di disciplina del rapporto quale definito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, che assegna appunto in generale alla contrattazione collettiva la regolamentazione del rapporto lasciando agli atti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei principi generali fissati da disposizioni di legge, solo la definizione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e dei modi di conferimento della titolarità dei medesimi, la determinazione delle dotazioni organiche complessive.

6.3. Si trattava quindi, in sostanza, di una disciplina che, nell’immediato, non era autoapplicativa perchè presupponeva la prevista istituzione della categoria da parte della contrattazione collettiva. Il ruolo determinante della contrattazione collettiva era poi confermato dalla disposizione di interpretazione autentica dell’art. 17-bis. Pertanto, il personale in possesso dei requisiti previsti dal predetto articolo avrebbe potuto essere destinatario della disciplina della vicedirigenza soltanto a seguito dell’avvenuta costituzione di quest’ultima da parte della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento.

7. D’altronde, anche in precedenza la giurisprudenza di questa Corte aveva evidenziato che ragioni di ordine logico-sistematico portavano ad escludere, in relazione al pubblico impiego privatizzato, una diretta e completa trasposizione – per effetto del richiamo operato dalla D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2 – dell’art. 2095 c.c. e della disciplina normativa della categoria (legale) dei quadri di cui alla L. n. 190 del 1985. Nei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche il diritto al riconoscimento della categoria di quadro postula la previsione del contratto collettivo applicabile, sia l’ulteriore statuizione secondo cui al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dopo la cosiddetta privatizzazione, non è applicabile la disciplina prevista in materia di categorie e qualifiche per il settore privato, con la relativa individuazione dei quadri (art. 2095 c.c. e L. n. 190 del 1985), stante la specialità del regime giuridico previsto per il primo, soprattutto con riferimento al sistema delle fonti, cosicchè la contrattazione collettiva può intervenire senza incontrare il limite dell’inderogabilità delle norme concernenti il lavoro subordinato privato (cfr. in tali sensi: Cass. n. 6063 del 2008, Cass. 5 luglio 2005 n. 14193).

8. Nelle more del giudizio, come noto, il D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 13, conv. con modificazioni in L. 6 luglio 2012, n. 95, ha abrogato del D.Lgs. n. 546 del 2001, art. 17-bis.

9. Tale norma abrogativa ha formato oggetto di ordinanze di rimessione alla Consulta. La Corte costituzionale, con sentenza n. 214 del 2016, ha dichiarato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3,24,97,101 Cost., art. 102 Cost., comma 1, art. 103 Cost., comma 1, art. 111 cost., commi 1 e 2, art. 113 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 5, comma 13, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 135, che abroga, a distanza di anni, la disciplina relativa all’istituzione, attraverso la contrattazione collettiva, di un’apposita area separata della vice dirigenza nella quale ricomprendere il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, con cinque anni di anzianità in tali posizioni o nelle corrispondenti qualifiche 8^ e 9^ del precedente ordinamento.

9.1. Il Giudice delle leggi ha affermato, in sintesi, per quanto rileva nella presente sede, che:

– la portata generale dell’intervento abrogativo costituisce una conferma di come la disposizione denunciata mirasse a conseguire una riduzione di spesa delle amministrazioni pubbliche; “…lo scopo del D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 13, era quello di ridurre, nel contesto di necessità e urgenza determinato dalla grave crisi finanziaria che aveva colpito l’Italia tra la fine del 2011 e la prima metà del 2012, le spese delle amministrazioni pubbliche. Tale conclusione si fonda, anzitutto, sulla coerenza dell’impugnato comma 13 rispetto al menzionato scopo…In tale modo, l’impugnato comma 13 si inseriva anche nell’ambito del più ampio intervento, attuato con lo stesso D.L. n. 95 del 2012, diretto, tra l’altro, a “garantire il contenimento e la stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte a garantire la razionalizzazione, l’efficienza e l’economicità dell’organizzazione degli enti e degli apparati pubblici” (così il preambolo del decreto)”;

– con il censurato comma 13, il legislatore ha eliminato l’istituto della vicedirigenza con riguardo, sia a tutto il comparto Ministeri, sia a tutte le altre amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2, (al cui personale la disposizione dell’art. 17-bis, comma 1 sull’istituzione della vicedirigenza si applicava, ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, “ove compatibile”), attribuendo all’intervento abrogativo portata generale;

– non sussiste neppure violazione dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, non essendovi un’aspettativa legittima (i dipendenti avevano ottenuto un giudicato amministrativo che aveva riconosciuto la fondatezza della pretesa azionata con l’impugnazione del silenzio sull’atto di diffida con il quale era stata sollecitata l’emanazione della direttiva contrattuale prevista dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, art. 10, comma 3, per l’istituzione dell’area della vicedirigenza), poichè la sentenza passata in giudicato non aveva riconosciuto ai ricorrenti la qualifica di vicedirigenti, ma aveva soltanto affermato che essi avevano un interesse giuridicamente tutelato a che fosse adottato l’atto di indirizzo all’ARAN di cui alla L. n. 145 del 2002, art. 10, comma 3, cioè il provvedimento amministrativo che doveva precedere la fase della contrattazione collettiva alla quale il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17-bis demandava l’istituzione dell’area della vicedirigenza; il riconoscimento della titolarità del detto interesse (di natura “strumentale” e non “finale”) all’adozione dell’atto di indirizzo dell’attività negoziale della citata parte pubblica “non escludeva affatto, come reputano invece il rimettente e i funzionari intervenienti, che la previsione dell’istituzione dell’area della vicedirigenza – questione lasciata del tutto impregiudicata dalla sentenza – restasse nella piena disponibilità del legislatore. Quest’ultimo, perciò, in virtù del generale principio della modificabilità della legge anteriore a opera di quella posteriore, ben poteva – come ha fatto modificare l’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche nel senso di non prevedere più l’istituzione della detta area, abrogando la disposizione che l’aveva stabilita (ciò che, del resto, per quanto detto, ben avrebbe potuto fare anche dopo che l’atto di indirizzo all’ARAN fosse stato adottato)”;

– infine, la norma censurata, dettando la regola secondo cui la vicedirigenza non è più prevista nell’organizzazione del lavoro pubblico, ha operato sul piano delle fonti generali ed astratte, costruendo il modello cui la decisione del giudice deve riferirsi, senza quindi vulnerare le attribuzioni riservate alla funzione giurisdizionale.

10. In linea con la pronuncia del Giudice delle leggi, deve escludersi la fondatezza anche della domanda risarcitoria. Al riguardo, è sufficiente richiamare quanto affermato da S.U. n. 14656/2011.

10.1. Invero, a fronte del particolare potere di indirizzo originariamente previsto dall’art. 17 bis, “non c’era alcuna posizione tutelata – a livello di interesse legittimo – dei dipendenti pubblici perchè – come tuttora in riferimento al potere di indirizzo di cui all’art. 41 – si tratta di una disciplina tutta interna all’azione della parte pubblica nella formazione della contrattazione collettiva. Ed infatti l’atto di indirizzo di cui all’art. 41 si inserisce in un rapporto di mandato tra le pubbliche amministrazioni e l’ARAN che le rappresenta nelle trattative contrattuali, rapporto al quale sono estranei non solo le associazioni sindacali dei dipendenti, quali controparti contrattuali, ma anche i dipendenti stessi, i quali tutti non hanno alcuna situazione tutelata per orientare l’attività di indirizzo in un senso piuttosto che in un altro (in tali termini, SU, sent cit.).

10.2 L’art 17-bis si limitava ad individuare il livello della contrattazione collettiva facoltizzata ad introdurre tale figura professionale escludendo quindi ogni altro diverso livello contrattuale. Se quindi l’atto di indirizzo vale a regolare i rapporti tra rappresentato (le pubbliche amministrazioni) e rappresentante (l’ARAN), i dipendenti pubblici, che costituiscono la controparte contrattuale rappresentata dalle associazioni sindacali dei lavoratori, sono estranei al rapporto di mandato nella parte pubblica (per un’altra ipotesi di atto di indirizzo ministeriale, qualificato come orientativo di scelte della pubblica amministrazione e non già autoritativo, v. Cass., sez. un., 24 settembre 2010, n 20164). Ciò non toglie che situazioni soggettive tutelate possano sorgere già prima della stipulazione del contratto collettivo vuoi per responsabilità precontrattuale, vuoi per condotta antisindacale o discriminatoria; ma atterrebbero non già al rapporto di mandato e all’attività di indirizzo del rappresentato nei confronti del rappresentante, bensì alle relazioni intersoggettive tra le parti in sede di trattative contrattuali (sent. SU cit., in motivazione)

11 Per tali assorbenti considerazioni, il ricorso va respinto con onere delle spese a carico di parte soccombente. Al riguardo, deve segnalarsi che il ricorso per cassazione risulta avviato alla notifica il 29 settembre 2012, quanto l’art. 17-bis era stato già abrogato per effetto del D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 13, conv. con modificazioni in L. 6 luglio 2012, n. 95. Inoltre, ogni questione giuridica ancora controversa ha trovato risposta nella sentenza n. 214 del 2016 della Corte costituzionale. Sebbene questa sia intervenuta in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione, va rilevata la possibilità della parte ricorrente che riscontri il formarsi di un orientamento interpretativo a sè sfavorevole di rinunciare al ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 8000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2018

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