Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28289 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. lav., 04/11/2019, (ud. 20/06/2019, dep. 04/11/2019), n.28289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Gugliemo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17288-2015 proposto da:

MULTISERVICE SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

G. PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato VALERIA BIANCHI;

– ricorrente –

contro

C.R., S.M.L., domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO CATERINA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1057/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 09/01/2015 R.G.N. 143/2014.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. La Corte di appello di Torino, in riforma della

sentenza di primo grado, ha accolto le domande proposte da

C.R. e S.M.L. ed ha condannato la Multiservice

società cooperativa al pagamento in loro favore delle differenze

retributive a ciascuno spettanti, come indicate nei conteggi depositati

sin dal primo grado e mai contestati. Ha invece rigettato le domande

riconvenzionali avanzate dalla società Multiservice avendo accertato

l’esistenza di una giusta causa di dimissioni.

2. La Corte territoriale, verificata l’ammissibilità del gravame, rispondente ai criteri stabiliti dall’art. 434 c.p.c.,

comma 1, ha ritenuto che i lavoratori avessero tempestivamente

depositato, nella memoria in replica alla domanda riconvenzionale, la

documentazione attestante che il c.c.n.l. invocato, autotrasporto merci e

logistica, era stato sottoscritto dalle 00.SS. dei lavoratori e dei

datori di lavoro maggiormente rappresentative nel settore

cooperativistico e che era l’unico contratto da prendere a riferimento

per stabilire il trattamento minimo da erogare. Inoltre ha ritenuto che

l’aver corrisposto retribuzioni insufficienti integrasse una giusta

causa di dimissioni. Riconosciuto pertanto l’inquadramento di entrambi i

lavoratori, appartenenti al sesto livello del c.c.n.l. UNCI, nel

corrispondente livello del c.c.n.l. dell’autotrasporto merci e

logistica, la Corte di merito ha escluso che il C. potesse

essere invece inquadrato, come richiesto, nel quinto livello avendo

accertato che non era stata offerta la prova, neppure allegata, dello

svolgimento delle relative mansioni. Ha quindi condannato la società al

pagamento delle somme da ciascuno chieste nel ricorso evidenziando che

la correttezza dei conteggi depositati non era stata affatto contestata.

3. Per la cassazione della sentenza ha proposto

ricorso la Multiservizi società cooperativa fondato su due motivi cui

hanno resistito C.R. e S.M.L. con

controricorso. La Multiservice ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c. insistendo nelle conclusioni già prese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

4. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione della L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 3, comma 1 e del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 7, comma 4 convertito in L. 28 febbraio 2008, n. 31 anche in relazione agli artt. 3,36 e 39 Cost., oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

4.1. Sostiene la ricorrente che il giudice di appello avrebbe

erroneamente applicato il c.c.n.l. autotrasporti in luogo di quello

delle cooperative, individuato nel regolamento della società, e

sottolinea che, peraltro, le parti avevano tardivamente prodotto il

documento al quale avevano affidato la prova dell’applicazione del

c.c.n.l. invocato. Osserva la cooperativa che l’esigenza di produrre la

documentazione in questione era insorta già prima della proposizione

della domanda riconvenzionale ed evidenzia che, in ogni caso, la nota

depositata atteneva al regime contributivo applicabile e non anche alla

retribuzione da corrispondere.

5. Con il secondo motivo di ricorsala società denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 421 e 115 c.p.c. anche in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..

5.1. In contrasto con il principio secondo il quale il giudice deve

giudicare secundum allegata et probata, la Corte di merito,

diversamente dal giudice di primo grado, ha ritenuto sufficiente a

dimostrare l’avvenuta sottoscrizione, da parte di organizzazioni

comparativamente più rappresentative, del contratto collettivo invocato

dai lavoratori la produzione di un documento generico senza che fosse

mai stata allegata la incongruità della retribuzione percepita e la sua

inidoneità a soddisfare l’esigenza, tutelata dall’art. 36 Cost.,

di assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e

dignitosa tenendo conto anche della natura della prestazione, delle

modalità di svolgimento e della professionalità acquisita. Obietta

infine che la Corte sarebbe incorsa nella denunciata violazione dell’art. 421 c.p.c. non avendo esplicitato le ragioni dell’esercizio dei poteri officiosi.

6. Le censure, da esaminare congiuntamente in ragione

dell’obiettiva connessione, investendo entrambe per diversi aspetti la

scelta della Corte di appello di ritenere applicabile alla fattispecie

il contratto collettivo autotrasporti in luogo di quello delle

cooperative, sono infondate e devono essere rigettate.

6.1. La Corte territoriale, nel ritenere che il contratto

collettivo dell’autotrasporto merci e logistica era stato sottoscritto

da organizzazioni sindacali che erano comparativamente più

rappresentative non è incorsa nelle denunciate violazioni di legge.

6.2. Occorre preliminarmente ricordare che, ai sensi del D.L. n. 248 del 2007, art. 7, comma 4, conv. con modif. dalla L. n. 31 del 2008,

nell’ambito delle società cooperative, ove si realizzi un concorso tra

contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito, al

socio lavoratore subordinato spetta un trattamento economico complessivo

non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali

sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente

più rappresentative nella categoria, quale parametro esterno e indiretto

di commisurazione ai criteri di proporzionalità e sufficienza della

retribuzione, previsti dall’art. 36 Cost. (cfr. Cass. 20/02/2019 n. 4951 e Cass. 21/02/2019 n. 5189 oltre che già Cass. 28/08/2013 n. 19832 e 04/08/2014n. 17583).

6.3. Tanto premesso va in primo luogo sottolineato che nel caso in

esame la Corte non è incorsa nella denunciata violazione della L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 3, comma 1 e del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 7, comma 4 convertito in L. 28 febbraio 2008, n. 31 anche in relazione agli artt. 3,36 e 39 Cost.

poichè esattamente, sulla base della documentazione prodotta e con

valutazione di merito a lui riservata ha verificato che l’unico

contratto applicabile era quello che risultava sottoscritto dalle

organizzazioni comparativamente più rappresentative su base nazionale

per i lavoratori e per i datori di lavoro, come individuate dalla

lettera del 1 giugno 2012 proveniente dal Ministero del Lavoro e delle

Politiche Sociali che precisava anche quali erano gli indici sintomatici

della maggiore rappresentatività utilizzati (numero complessivo delle

imprese associate e dei lavoratori occupati, diffusione territoriale,

numero di contratti collettivi nazionali stipulati e vigenti e dei

verbali di revisione). Nel ritenere ammissibile la produzione

documentale, successiva al deposito del ricorso introduttivo della lite,

la Corte di merito, senza incorrere nella violazione dell’art. 421 e 115 c.p.c., in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c.,

e senza alcuna inversione degli oneri della prova ha da un canto

rilevato che si trattava di documento che al momento dell’introduzione

del giudizio ancora non era stato formato ed ancora che la produzione

era del pari giustificata dal tenore della domanda riconvenzionale con

la quale era denunciata l’illegittimità delle dimissioni dando così atto

dell’indisponibilità del documento che ne consente la produzione

tardiva essendo oggettivamente impossibile disporne stante la formazione

successiva al deposito del ricorso (cfr. Cass. 23/12/2009 n. 5217 e 27/07/2006 n. 17178).

6.4. Va poi qui ribadito che la L. n. 142 del 2001,

nell’ottica di estendere ai soci lavoratori di cooperativa le tutele

proprie del lavoro subordinato, ha disposto all’art. 3, comma 1, che:

“Fermo restando quanto previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 36

le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore

un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e

qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti,

per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del

settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro

diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi

collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe

rese in forma di lavoro autonomo”.

6.5. la medesima legge, art. 6, comma 2, che, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 30 del 2003, art. 1,

comma 9, lett. f), ha poi stabilito che il rinvio ai contratti

collettivi nazionali operava solo per il “trattamento economico minimo

di cui all’art. 3, comma 1” ed ha escluso che il regolamento cooperativo

potesse contenere disposizioni derogatorie in peius rispetto a tale

trattamento minimo.

6.6. Il D.L. n. 248 del 2007, convertito in L. n. 31 del 2008,

art. 7, comma 4 ha quindi previsto che “Fino alla completa attuazione

della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative,

in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima

categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese

nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai

propri soci lavoratori, ai sensi della L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 3,

comma 1, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli

dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni

datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello

nazionale nella categoria”.

6.7. Si tratta di previsione che è stata adottata all’indomani del

Protocollo d’intesa, sottoscritto il 10 ottobre 2007 da Ministero del

lavoro, Ministero dello sviluppo economico, AGCI, Confcooperative,

Legacoop, CGIL, CISL, UIL, in cui il Governo assumeva l’impegno di

avviare “ogni idonea iniziativa amministrativa affinchè le cooperative

adottino trattamenti economici complessivi del lavoro subordinato,

previsti dalla L. 3 aprile 2001, n. 142, art. 3,

comma 1, non inferiori a quelli previsti dal contratto collettivo

nazionale di lavoro sottoscritto dalle associazioni del movimento

cooperativo e dalle organizzazioni sindacali per ciascuna parte sociale

comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nel settore di

riferimento” (cfr. Corte Cost. n. 51 del 2015).

L’obiettivo condiviso dai firmatari del Protocollo è di contestare

l’applicazione di contratti collettivi sottoscritti da organizzazioni

datoriali e sindacali di non accertata rappresentatività, che prevedano

trattamenti retributivi potenzialmente in contrasto con la nozione di

retribuzione sufficiente, di cui all’art. 36 Cost., secondo l’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza in collegamento con l’art. 2099 c.c.”.

6.8. Come chiarito già da questa Corte nella sentenza n. 4808 del 2019, “L’art. 7 in esame, al pari della L. n. 142 del 2001, art. 3

richiama i trattamenti economici complessivi minimi previsti dai

contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e

sindacali comparativamente più rappresentative, quale parametro esterno e

indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo ai

criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti

dall’art. 36 Cost.,

di cui si impone l’osservanza anche al lavoro dei soci di

cooperative.”. La circostanza poi che “nel tempo sia stata attribuita

alla contrattazione collettiva, nel settore privato e poi anche nel

settore pubblico, il ruolo di fonte regolatrice nell’attuazione della

garanzia costituzionale di cui all’art. 36 Cost.,

non impedisce al legislatore di intervenire a fissare in modo

inderogabile la retribuzione sufficiente, attraverso, ad esempio, la

previsione del salario minimo legale, suggerito dall’OIL come politica

per garantire una “giusta retribuzione” (ed oggetto dell’art. 1, comma

7, lett. g) delle Legge Delega n. 183 del 2014,

in questa parte rimasta inattuata) oppure, come avvenuto nella materia

in esame, attraverso il rinvio alla contrattazione collettiva” (cfr.

Cass. ult. cit.).

6.7. Si è ancora osservato che “L’attuazione per via legislativa dell’art. 36 Cost., nella perdurante inattuazione dell’art. 39 Cost.,

non comporta il riconoscimento di efficacia erga omnes del contratto

collettivo ma l’utilizzazione dello stesso quale parametro esterno, con

effetti vincolanti (cfr. Corte Cost. n. 51 del 2015)” e che la L. n. 31 del 2008,

art. 7 presuppone un concorso tra contratti collettivi nazionali

applicabili in un medesimo ambito (“in presenza di una pluralità di

contratti collettivi della medesima categoria”) e attribuisce

riconoscimento legale ai trattamenti economici complessivi non inferiori

a quelli previsti dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle

associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative

nella categoria e quindi presumibilmente capaci di realizzare assetti

degli interessi collettivi più coerenti col criterio di cui all’art. 36 Cost., rispetto ai contratti conclusi da associazioni comparativamente minoritarie nella categoria.” La sentenza della Corte Cost. n. 51 del 2015

ha chiarito che “nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che,

meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei

settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato (D.L. n. 248 del 2007, art. 7

ndr.) si propone di contrastare forme di competizione salariale al

ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo,

ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.)

la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati

da associazioni comparativamente più rappresentative” (nello stesso

senso anche le già citate Cass. n. 17583 del 2014; n. 19832 del 2013).

6.8. Va allora rimarcato che la scelta legislativa di dare attuazione all’art. 36 Cost.,

fissando standard minimi inderogabili validi sul territorio nazionale, a

tal fine generalizzando l’obbligo di rispettare i trattamenti minimi

fissati dai contratti collettivi conclusi dalle associazioni datoriali e

sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, non fa

venir meno il diritto delle organizzazioni minoritarie di esercitare la

libertà sindacale attraverso la stipula di contratti collettivi, ma

limita nei contenuti tale libertà, dovendo essere comunque garantiti

livelli retributivi almeno uguali a quelli minimi normativamente

imposti. Parimenti, le singole società cooperative potranno scegliere il

contratto collettivo da applicare ma non potranno riservare ai soci

lavoratori un trattamento economico complessivo inferiore a quello che

il legislatore ha ritenuto idoneo a soddisfare i requisiti di

sufficienza e proporzionalità della retribuzione.

7. Nel caso in esame la Corte territoriale, nel ritenere dimostrata

l’esistenza dei presupposti per applicare la disciplina collettiva

rivendicata dai lavoratori, ha fatto corretta applicazione dei principi

su esposti e pertanto la sentenza deve essere in ogni sua parte

confermata non potendo trovare ingresso in questa sede censure che

investono accertamenti in fatto che si collocano al di fuori del vizio

di violazione di legge e nell’ambito del vizio motivazionale secondo lo

schema del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014).

8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.

8.1. le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,

comma 1 quater va dato atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di

contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma

dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di

legittimità che si liquidano in Euro 5000,00 per compensi professionali,

Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori

dovuti per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,

comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di

contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma

dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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