Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28282 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 11/12/2020), n.28282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. REGGIANI Eleonora – Consigliere –

Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15849-2017 proposto da:

D.C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SAVOIA, 33,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VESCUSO, rappresentata e

difesa dall’avvocato VITTORIO SELLITTI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, ADER –

AGENZIA DELLE ENTRATE, RISCOSSIONE (già EQUITALIA SERVIZI DI

RISCOSSIONE SPA) in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliate in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che le rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 11376/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI, depositata il 15/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. MARGHERITA TADDEI.

 

Fatto

RITENUTO

Che:

– D.C.M. articola un solo motivo per la cassazione della sentenza della CTR Campania n. 11376/45/2016 che confermava la sentenza della CTP di Napoli, n. 11825/2015 di rigetto del ricorso della stessa De Capua contro la cartella di pagamento n. (OMISSIS) del valore di Euro 189.976,23 per imposta di registro, interessi, diritti e sanzioni, relativa alla decisione del Tribunale di Nola n. 1136/2012. In particolare la sentenza qui impugnata precisa che la cartella di pagamento contiene tutti gli elementi necessari ad una precisa identificazione della pretesa erariale, ivi compresi gli estremi del titolo giudiziale, costituito da “una sentenza civile emessa da Tribunale, anno 2012, n. 1136”; che la notifica dell’avviso di liquidazione relativo al predetto titolo era regolarmente avvenuta a mani della ricorrente non patendo, in tal modo, censure; che la sentenza relativa al ricorso del coobbligato solidale, “tenuto al pagamento della medesima imposta di registro relativa allo stesso titolo giudiziale” prodotta dalla parte a rinforzo alle proprie censure, aveva “una valenza soggettiva limitata” in ragione della mancata definitività della pronuncia.

Resiste l’Ufficio con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

In relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, avuto riguardo all’intervenuta definitività della sentenza n. 6901/2016 emessa in esito al ricorso proposto dal coobbligato solidale D.C.V., relativo allo stesso carico erariale. La contribuente reitera, inoltre, l’eccezione di applicazione del principio contenuto nella decisione relativa al giudizio di appello proposto dal coobbligato D.C.V., conclusosi con l’annullamento della sentenza di primo grado e dell’avviso di accertamento, affermando che nelle more dell’esame del ricorso per cassazione, il principio di valutazione, invocato in appello come elemento ispiratore e regolatore dell’intera vicenda controversa, disatteso dalla CTR perchè non consolidato, in questa sede poteva essere invocato nella pienezza della sua rilevanza, essendo passato in giudicato con effetto estensibile anche nei suoi confronti.

L’Agenzia delle Entrate e l’Ader riscossioni hanno contro dedotto l’impossibilità di estendere il giudicato favorevole al coobbligato in solido essendosi pronunciato il giudice su eccezione concernente vizio di rito, avente natura personale.

Il ricorso non è fondato.

L’estensione del giudicato in relazione alla sentenza pronunciata nei confronti del coobbligato in solido D.C.V., già rivendicato quale principio cui attenersi nella decisione relativa all’appello proposto dalla contribuente, era stata disattesa dalla CTR a causa” della limitata valenza soggettiva della pronuncia e del mancato passaggio in giudicato della stessa” all’epoca nella fase di appello. Nell’odierno giudizio la ricorrente ha provato il giudicato, formatosi per mancata impugnazione, nelle more della pronuncia in Cassazione, riproducendo la motivazione della sentenza del D.C., del seguente tenore: “”…la forma della…notifica non soddisfa le esigenze di compiutezza previste ed imposte dalla norma di riferimento, mancando l’ultimo atto importante in ipotesi di irreperibilità relativa….non trascurabile appare anche la circostanza secondo la quale essendo, come nella specie, la cartella non susseguente ad uno specifico atto impositivo, e costituendo il primo atto con il quale l’Ufficio esercita la pretesa tributaria, essa cartella deve essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, con ogni elemento indispensabile onde consentire al contribuente il necessario controllo in ordine alla correttezza della imposizione (Cfr. Cass. S.U. n. 11722/2010).

Alla stregua delle suesposte considerazioni la Commissione accoglie l’appello….”.

Sono, dunque, due i profili che hanno indotto la CTR ad uno pronuncia di accoglimento dell’appello del D.C. e sui quali si è formato il giudicato: uno formale e personale derivante dallo stato di irreperibilità relativa del coobbligato; l’altro attinente alla oggettiva fattispecie impositiva, riguardante l’inadeguata motivazione della cartella.

In ordine al giudicato, le Sezioni Unite di questa Corte, con la decisione n. 26041 del 23/12/2010,avuto riguardo all’avviso di liquidazione, prodromico all’emissione della cartella, hanno già affermato che “nel giudizio di cassazione, il giudicato esterno è, al pari del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata; tale elemento non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando, quindi, della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del “ne bis in idem”, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 c.p.c., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che potevano essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato, i quali, comprovando la sopravvenuta formazione di una “regula iuris” cui il giudice ha il dovere di conformarsi, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso”. E con la decisione n. 24664/2007 che: “Posto che il giudicato va assimilato agli “elementi normativi”, cosicchè la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito. “(SSUU Sentenza n. 24664 del 28/11/2007). Per altro verso, avuto riguardo ai limiti del giudicato, è stato anche affermato che ” Il processo tributario è un processo costitutivo rivolto all’annullamento di atti autoritativi, sicchè il parziale annullamento ottenuto dal condebitore impugnante, incidendo su un unico atto impositivo che sorregge il rapporto, esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui sia stato notificato. Ne consegue, giusta l’art. 1306 c.c., comma 2, che il coobbligato solidale può far valere in giudizio contro l’ente impositore il giudicato a lui favorevole formatosi nel diverso giudizio tra detto Ufficio e l’altro condebitore, sempre che la sentenza non sia fondata su ragioni personali e non siano intervenute preclusioni processuali a carico del soggetto che intende esercitare questo diritto, non essendo tale efficacia extrasoggettiva del giudicato rilevabile d’ufficio. (31807/2019)” che “… la sentenza resa tra creditore e condebitore solidale è opponibile al creditore da parte di altro condebitore ove ricorrano le seguenti condizioni: 1) la sentenza sia passata in giudicato; 2) non si sia già formato un giudicato tra il condebitore solidale che intende avvalersi del giudicato e il creditore; 3) ove si tratti di giudizio pendente, la relativa eccezione sia stata tempestivamente sollevata (non dovendo il giudicato essersi formato prima della proposizione del giudizio di impugnazione nel corso del quale viene dedotto); 4) il giudicato non sia fondato su ragioni personali del condebitore solidale.” e che” In tema di limiti soggettivi del giudicato tributario, ove, in presenza di più coobbligati solidali, uno solo di essi impugni l’avviso di accertamento, mentre la sentenza che respinga il ricorso non ha effetti nei confronti degli altri, ex art. 1306 c.c., comma 1, al contrario, la pronunzia favorevole, con la quale venga annullato, anche parzialmente, l’unico atto impositivo, esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui lo stesso sia stato notificato, poichè il processo tributario è di natura costitutiva e volto all’annullamento di atti autoritativi e, pertanto, di essa potrà giovarsi anche il condebitore rimasto processualmente inerte per opporsi alla pretesa di pagamento. (Nella specie, la S.C. ha riformato la decisione impugnata che, nonostante la avvenuta rideterminazione, con sentenza passata in cosa giudicata, del valore attribuito, ai fini del pagamento delle imposte di registro, catastale ed ipotecaria, ad un compendio immobiliare oggetto di compravendita, aveva escluso che di tale giudicato potesse avvantaggiarsi il venditore, rimasto estraneo a quel processo, in sede di impugnazione della cartella esattoriale). (3204/2018).

Alla luce dei suddetti principi, passando all’esame del giudicato che ci riguarda, rileva che la mancata notifica dell’avviso di liquidazione, prodromico all’emissione della cartella, è un fatto che attiene solo alla vicenda processuale di D.C.V.; la ricorrente ha ricevuto l’atto di liquidazione prodromico alla cartella, a mani proprie, con regolare notifica, sicchè ella si è trovata nella condizione di conoscere compiutamente la causa e le ragioni dell’imposizione e di impugnare l’atto, cosa che non è avvenuta. Ne consegue che anche sotto il profilo attinente la censura della motivazione della cartella, atto omologo a quello impositivo per il solo coobbligato, la fattispecie processuale è affatto diversa, avendo la cartella notificata alla contribuente, preceduta da regolare notifica dell’atto impositivo, natura meramente riscossiva, inidonea all’estensibilità del giudicato relativo all’avviso di liquidazione (cass. n. 4818/2015).

Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di causa che si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte:

– Rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 7000,00 oltre spese in misura forfettaria ed accessori di legge se dovuti.

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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