Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28281 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. II, 04/11/2019, (ud. 11/09/2019, dep. 04/11/2019), n.28281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARRATO Aldo – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14094/2015 proposto da:

LE CORTI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA

PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato MARIO CONTALDI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABRIZIO GAIDANO;

– ricorrente –

contro

BIPIELLE REAL ESTATE SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE GIGLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO FIORINI;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il

22/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/09/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Le Corti s.r.l. ha presentato ricorso articolato in due motivi avverso l’ordinanza della Corte di appello di Torino n. 58/2015 depositata in data 22 aprile 2015.

Bipielle Real Estate S.p.a. resiste con controricorso.

Bipielle Real Estate S.p.a., proprietaria di alcune porzioni del fabbricato sito in (OMISSIS), all’interno di un condominio minimo comprendente altre porzioni di proprietà della società Le Corti s.r.l., nel dicembre 2013 propose, dinanzi al Tribunale di Verbania, ricorso per l’autorizzazione all’esecuzione dei lavori di manutenzione delle parti comuni dell’edificio (copertura dell’edificio, dei terrazzi, delle facciate, del giardino e del cortile), versanti in condizioni di degrado, e per la nomina di un amministratore giudiziario ex art. 1105 c.c.. Il Tribunale di Verbania, con provvedimento del 17 aprile 2014, nominò un ingegnere amministratore dell’edificio e gli conferì l’incarico di provvedere, quale direttore dei lavori, all’individuazione e alla realizzazione delle opere necessarie e indispensabili per la conservazione delle parti comuni.

Avverso tale decreto, la Le Corti s.r.l. propose reclamo dinanzi alla Corte di appello di Torino. La Corte d’appello nominò un consulente tecnico d’ufficio e, con ordinanza del 22 aprile 2015, dispose l’esecuzione degli interventi da quest’ultimo individuati, elencati nelle pagine 9 e 10 del provvedimento impugnato, con compensazione delle spese di lite per il 40% e condanna della Le Corti s.r.l. a rimborsare alla Bipielle Real Estate S.p.a. la residua frazione di spese.

La trattazione del ricorso è stata fissata in Camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c..

La controricorrente ha depositato memoria in data 26 luglio 2019.

primo motivo di ricorso della Società Le Corti s.r.l. deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo richiesto la Bipielle Real Estate S.p.a., nel ricorso introduttivo, in via principale, che si autorizzassero i lavori di manutenzione straordinaria ritenuti necessari e, in via subordinata, che venisse nominato un amministratore giudiziario per accertare i lavori di manutenzione straordinaria necessari. Proposto reclamo dalla Le Corti s.r.l. avverso il provvedimento reso dal Tribunale di Verbania, la Bipielle Real Estate S.p.a. si era limitata a concludere davanti alla Corte d’appello per il rigetto delle avverse domande e per la conferma della pronuncia resa dal Tribunale. Secondo la ricorrente, la Corte di appello sarebbe perciò incorsa in un vizio di ultrapetizione, avendo disposto, in assenza della domanda di parte, “l’esecuzione di interventi su parti private ed interventi di puro decoro architettonico”.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione degli artt. 1105,1117 e 1137 c.c., nonchè l’omesso esame circa un fatto deciso per il giudizio, per travisamento dei risultati della c.t.u.. La Corte di Torino non avrebbe correttamente valutato le risultanze della CTU circa gli interventi da compiere (distinguendo le opere di manutenzione da quelle non strettamente indispensabili per la conservazione della cosa comune). Neppure i giudici del reclamo avrebbero tenuto conto del fatto che l’assemblea condominiale, svoltasi il 9 gennaio 2013, si era conclusa con una deliberazione contraria alla minoranza, non impugnata, sicchè la condomina Bipielle Real Estate S.p.a. non avrebbe potuto utilizzare il rimedio previsto dall’art. 1105 c.c., per ottenere una pronuncia del giudice che si sovrapponesse all’espressione di voto assembleare.

La controricorrente Bipielle Real Estate S.p.a. eccepisce in via pregiudiziale l’inammissibilità del ricorso.

HAI ricorso va dichiarato inammissibile.

Secondo consolidato orientamento di questa Corte, il provvedimento, con cui l’autorità giudiziaria nomina, ai sensi dell’art. 1105 c.c., comma 4, un amministratore della cosa comune, al fine di supplire all’inerzia dei partecipanti alla comunione nell’adozione dei necessari provvedimenti per la medesima res, è atto di giurisdizione volontaria, non avente, perciò, carattere decisorio nè definitivo, in quanto, piuttosto, revocabile e reclamabile a norma degli artt. 739,742 e 742 bis c.p.c., ed identica natura rivela il decreto che sia reso in sede di reclamo, con conseguente inammissibilità contro di esso del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7. L’impugnabilità con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., del decreto emesso ai sensi dell’art. 1105 c.c., comma 4, residua nelle sole ipotesi, del tutto diverse da quella qui denunciata, in cui il provvedimento, travalicando i limiti previsti per la sua emanazione, abbia risolto in sede di volontaria giurisdizione una controversia su diritti soggettivi (Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15548; Cass. Sez. 2, 22/03/2012, n. 4616; Cass. Sez. 2, 16/06/2005, n. 12881; Cass. Sez. 2, 29/12/2004, n. 24140).

L’impugnato decreto, al fine di ovviare alla inazione dei comproprietari, ha individuato quali fossero i lavori considerati necessari per la conservazione, la manutenzione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, senza ingerirsi nella gestione condominiale nè sovrapporsi alla volontà assembleare.

Nè la ricorrente ha proposto specifico motivo avverso la statuizione relativa alle spese, al contrario dotata dei caratteri della definitività e della decisorietà, e perciò impugnabile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost..

In materia di comunione, non sono invero proponibili azioni giudiziarie relativamente alle spese ed all’amministrazione delle cose comuni (in questa compresi gli atti di conservazione) prima che venga sollecitata e provocata una deliberazione dell’assemblea dei comproprietari, alla quale spetta ogni determinazione al riguardo, sia che si tratti di spese voluttuarie o utili, che di spese necessarie, distinguendo la legge (ai fini della prescrizione, rispettivamente, della deliberazione a maggioranza semplice e di quella a maggioranza qualificata) unicamente tra spese di ordinaria amministrazione (art. 1105 c.c.) e spese concernenti innovazioni o atti di straordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.). Peraltro, mentre la deliberazione di maggioranza è impugnabile davanti al giudice, in via contenziosa, ove lesiva dei diritti individuali dei partecipanti dissenzienti, resta salva la possibilità, una volta convocata l’assemblea, in caso di omessa iniziativa della medesima e di mancata formazione di una volontà di maggioranza o di omessa esecuzione della deliberazione, di rivolgersi al giudice, non già in sede contenziosa, ma, come nella specie avvenuto, di volontaria giurisdizione, ai sensi dell’art. 1105 citato, comma 4 (Cass. Sez. U, 19/07/1982, n. 4213; Cass. Sez. 3, 08/09/1998, n. 8876).

La ricorrente rivolge al decreto impugnato censure sotto forma di vizi in iudicando o in procedendo, dirette a rimettere di discussione la sussistenza, o meno, della necessità dei provvedimenti adottati dalla Corte d’Appello, in sede di reclamo, per l’amministrazione delle cose comuni, nonchè a denunciare la non corrispondenza fra il “chiesto” ed il “pronunciato”. Come invece già ribadito, il decreto emesso in sede di reclamo in ordine ai provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune a norma dell’art. 1105 c.c., u.c., viene reso all’esito di un giudizio camerale plurilaterale tipico, e consiste in un provvedimento privo di efficacia decisoria, siccome non incidente su situazioni sostanziali di diritti o “status”. Non avendo carattere decisorio e definitivo, tale decreto non è, come pure già detto, ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., mentre può essere revocato o modificato dalla stessa corte d’appello, per un preesistente vizio di legittimità o per un ripensamento sulle ragioni che indussero ad adottarlo (restando attribuita al tribunale, giudice di primo grado, la competenza a disporre la revisione del provvedimento emesso in sede di reclamo, sulla base di fatti sopravvenuti: cfr. Cass. Sez. 1, 01/03/1983, n. 1540), ai sensi dell’art. 742 c.p.c., atteso che quest’ultima disposizione si riferisce, appunto, unicamente ai provvedimenti camerali privi dei caratteri di decisorietà e definitività (cfr. Cass. Sez. 1, 06/11/2006, n. 23673).

Il decreto con cui la Corte d’Appello pronuncia sul reclamo in ordine ai provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, in definitiva, non costituisce comunque “sentenza”, in quanto non contiene alcun giudizio in merito ai fatti controversi. Trattasi, dunque, di provvedimento non suscettibile di acquisire forza di giudicato, atteso che la pronuncia resta pur sempre inserita in un provvedimento non decisorio sul rapporto sostanziale, e non può pertanto costituire autonomo oggetto di impugnazione per cassazione, anche quanto alla assunta ultrapetizione, avendo la pronuncia sull’osservanza delle norme processuali necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo è preordinato (arg. da Cass. Sez. 1, 05/02/2008, n. 2756; Cass. Sez. 1, 01/02/2016, n. 1873; Cass. Sez. 6-1, 07/07/2011, n. 15070; Cass. Sez. 6-2, 18/01/2018, n. 1237).

III. Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore della controricorrente

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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