Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2828 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 09/02/2010), n.2828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

R.R., elettivamente domiciliato in ROMA VIA S. TOMMASO

D’AQUINO 90, presso lo studio dell’avvocato BATTEZZATI ALESSANDRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ZACCAGNINI PIERO EMILIO, delega

in atti;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 10/2004 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 26/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Prato R. R. impugnava l’avviso di accertamento relativo a maggiorazione delle imposte Irpef, Ilor, Ssn e sanzione per l’anno 1997, fatto notificare dall’agenzia delle entrate, ufficio di quella città, e con il quale l’amministrazione comunicava di avere accertato un reddito complessivo di importo superiore, a fronte di quello dichiarato, sulla scorta dei parametri di aumento applicati, con un’imposta da pagare in misura maggiore, per l’uso di un appartamento; di un’autovettura ad uso promiscuo, intestata alla società Maglificio Duerre sas, di cui era socio accomandatario;

l’acquisto di un grosso immobile di pregio. Egli faceva presente che tale avviso era da annullare, in quanto l’autovettura considerata costituiva bene strumentale della società; il fabbricato era stato acquistato con un mutuo bancario, che copriva l’intero prezzo; alcune somme costituivano utili di partecipazione per gli anni precedenti ed altri anticipo di quelli futuri, corrisposti dalla società a titolo di mutuo; pertanto i presupposti dell’atto impositivo erano carenti.

Instauratosi il contraddittorio, l’ufficio eccepiva che i coefficienti applicati dovevano ritenersi regolari ed efficaci, sicchè il reddito complessivo accertato col metodo sintetico era risultato decisamente maggiore di quanto dichiarato in denunzia, per la più rilevante capacità reddituale dimostrata dall’inciso; e perciò chiedeva il rigetto del ricorso introduttivo.

Il giudice adito lo rigettava con sentenza n. 49 del 2003.

Avverso la relativa decisione R. proponeva appello, cui l’amministrazione resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale della Toscana, la quale, con sentenza n. 10 del 30.4.2004, ha rigettato il gravame, osservando che tutti gli elementi positivi vagliati dal giudice di prima istanza indubbiamente denotavano una maggiore potenzialità contributiva in capo all’appellante, per il quale l’applicazione dei parametri previsti dai decreti ministeriali di settembre e novembre 1992 si dimostrava corretta.

Contro questa decisione R.R. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

L’agenzia delle entrate non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e 6 nonchè insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 in quanto la CTR non ha considerato che egli aveva fornito la prova di avere contratto un mutuo con una banca per potere pagare il prezzo del fabbricato acquistato in località (OMISSIS). Nè il giudice di seconda istanza poteva ritenere che l’importo di L. 300.000.000 fosse simulato in difetto, dal momento che si trattava di una deduzione svolta d’ufficio, per non essere stata mai enunciata da nessuna delle parti, con ciò quindi cadendo nel vizio di extrapetizione.

Il motivo è infondato.

Il giudice dell’impugnazione ha tenuto fermo il prezzo indicato nell’atto pubblico, limitandosi correttamente ad osservare che ad esso andava rapportata la capacità contributiva, indipendentemente dall’accensione del mutuo. Quest’ultimo, infatti, oltre a mantenere fermo il parametro di valutazione, costituisce pur sempre un peso che il contribuente dovrà elidere attraverso il proprio reddito. Nè, finalmente, risulta chiarito in qual modo un mutuo, liberamente contratto, possa incidere sulle capacità reddituali del contribuente.

2) Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 3 e 5 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 121 bis oltre che contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, giacchè il giudice di seconda istanza non ha considerato che la previsione inerente alla detrazione del 50% dei costi di gestione dell’autovettura intestata alla società Maglificio Duerre, e usata per uso promiscuo dall’amministratore accomandatario, non poteva fare presumere che l’altra metà fosse a carico di questi, e che essa denotasse maggiore capacità contributiva nei suoi confronti, trattandosi piuttosto solo di semplice presunzione, e cioè la prima, che non ne consente altra su di essa.

La censura non ha pregio.

Il giudice di appello ha esattamente ritenuto che, trattandosi di vettura ad uso promiscuo, e dovendosi quindi fare riferimento soltanto al 50% della deducibilità dei costi di manutenzione del veicolo usato in tal modo da R.R., allora scattava la presunzione, in virtù della quale il residuo non poteva che fare carico all’inciso, nei cui confronti quindi necessariamente scattava la prova presuntiva che parte dell’utilizzo del veicolo serviva per la produzione del reddito individuale del contribuente. Si trattava ovviamente di presunzione semplice, che tuttavia questi non aveva superato con prova contraria.

3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 3 e 5, artt. 2728 e 2729 c.c., oltre che carente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 poichè il giudice di appello non ha considerato che nel bilancio sociale, chiuso agli inizi del 1997, figurava la distribuzione di utili da partecipazione a favore di R., e che perciò non potevano essere computati con tale esercizio. Quanto a quelli costituenti anticipazione degli altri futuri, essi erano stati oggetto di mutuo della società, come peraltro annotato in bilancio, senza che alcuna presunzione potesse operare, nel senso che tutti i soci ne avessero beneficiato, trattandosi di “praesumptio de praesumpto”.

La doglianza non va condivisa.

Appare opportuno premettere che il potere dell’ufficio impositore di determinare sinteticamente il reddito sulla scorta di elementi e circostanze di fatto certi, utilizzabili anche dal Ministero dell’economia per la fissazione di coefficienti presuntivi ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, consentiva il riferimento ai redditometri contenuti nei decreti ministeriali del 1992, poichè il potere in concreto disciplinato era quello di accertamento, sul quale il momento della elaborazione non veniva ad incidere. Inoltre va rilevato in genere che, posto che, rimanendo sul piano dell’accertamento e delle prove, l’applicabilità dei cosiddetti redditometri contenuti in decreti ministeriali doveva ritenersi comunque insita nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 allora gravava sul contribuente, che contestava l’applicazione di tali coefficienti, l’onere di dimostrare in concreto che il proprio reddito effettivo era diverso ed inferiore a quello scaturente dalle presunzioni adottate dall’ufficio (V. pure Cass. Sentenze n. 12731 del 2002, n. 11611 del 2001, n. 8372 del 2001).

Peraltro con riguardo all’accertamento in rettifica del reddito complessivo dichiarato da R.R., il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 pur stabilendo che le rettifiche vanno compiute distintamente (salvo il caso di accertamento così detto sintetico e globale) per le singole categorie di reddito che compongono quello complessivo, espressamente prevede la possibilità dell’ufficio di basarsi su presunzioni, il che da propriamente luogo ad un accertamento con metodo induttivo, non diverso da quello disciplinato dall’art. 39, relativamente a redditi di impresa o lavoro autonomo o professionale, ancorchè con più articolate previsioni, che si correlano alla maggiore o minore gravità delle omissioni del contribuente (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 4834 del 03/05/1991, n. 5863 del 14/06/1999).

Pertanto, alla luce di quanto più sopra enunciato, la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato e giuridicamente corretto su tale punto.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese di questa fase, non si fa luogo ad alcuna statuizione, stante la mancata costituzione dell’intimata.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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