Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2828 del 06/02/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 2828 Anno 2018
Presidente: NAPOLETANO GIUSEPPE
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA

sul ricorso 21333-2012 proposto da:
COMUNE di PESCARA C.F. 00124600685, in persona del
Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, LARGO TRIONFALE 7, presso lo studio
dell’avvocato STEFANO FIORINI, rappresentato e difeso
dall’avvocato GABRIELE SILVETTI, giusta delega in
2017

atti;
– ricorrente-

3905

contro

DANDOLO ANTONIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA GIUNIO BAZZONI 3, presso lo studio dell’avvocato

Data pubblicazione: 06/02/2018

DANIELE VAGNOZZI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LORENZO PASSERI MENCUCCI,
giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 195/2012 della CORTE D’APPELLO

553/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato STEFANO FIORINI per delega verbale
Avvocato GABRIELE SILVETTI;
udito l’Avvocato FABIO NATALE per delega verbale
Avvocato LORENZO PASSERI MENCUCCI.

,

di L’AQUILA, depositata il 14/03/2012 R.G.N.

RG 21333/2012

FATTI DI CAUSA
1.

Dandolo Antonio agiva per il riconoscimento del diritto all’emolumento denominato

“indennità di buonuscita”, previsto dall’art.6, comma 4, dei contratti individuali di lavoro
stipulati con il Comune di Pescara in data 25 settembre 2003 e 22 maggio 2008, con i quali era
stato conferito al ricorrente l’incarico di Direttore Generale. In entrambi i contratti era presente
la clausola secondo cui, alla data di cessazione del rapporto, alla scadenza prevista dall’art.1
dei medesimi contratti, sarebbe spettata al Direttore Generale un’indennità di buonuscita in

superiore a sei mesi di servizio prestato.
2. Il Tribunale di Pescara, in accoglimento della domanda, condannava il Comune convenuto a
corrispondere al ricorrente la complessiva somma di Euro 67.837,61 per il titolo rivendicato, in
relazione all’incarico di Direttore Generale ricoperto nel periodo 15 settembre 2003- 5 febbraio
2009, oltre interessi legali.
3. La Corte di appello dell’Aquila respingeva l’appello proposto dall’Ente locale e confermava la
pronuncia di primo grado, sulla base – in sintesi – delle seguenti considerazioni:
– tale indennità, al di là del nOmen utilizzato dalla parti contraenti, costituisce un compenso
aggiuntivo, determinato in modo convenzionale; essa è del tutto compatibile con le prestazioni
a carico dell’Inpdap; pertanto, è errato l’assunto del Comune di Pescara secondo cui tale
l’indennità sarebbe spettata al ricorrente soltanto alla data di cessazione dal servizio, ai sensi
del d.P.R. 1032 del 1973;
– non può indurre ad una soluzione diversa la norma di cui al comma 2 dell’art. 6, avente
oggetto la clausola di recesso in caso di cessazione anticipata del mandato del sindaco, poiché
la mancata riproposizione di tale clausola nel contratto del 2008 costituisce espressione di una
consapevole rivalutazione che le parti contraenti avevano effettuato circa gli interessi sottesi
alla fattispecie negoziale e comunque essa non interferisce con la qualificazioni dell’indennità in
questione come distinta da quella, di natura previdenziale, regolata dall’art. 3 dei contratti
individuali;
– neppure rileva l’obiezione di nullità della clausola in quanto prevedente un corrispettivo per
un’attività lavorativa non svolta dal dipendente: la ratio della previsione va rinvenuta nella
natura dell’incarico, di indubbia complessità, sotto il profilo delle relative responsabilità e al
contempo connotata dalla temporaneità;
– infine, è da rilevare che il conferimento dell’incarico era avvenuto in base a provvedimenti
della Giunta comunale dichiarati esecutivi ai sensi dell’art. 134 D. Lgs. n.267 del 2000, con
apposizione del prescritto visto di regolarità contabile di cui al successivo art. 151.

i

misura pari ad un dodicesimo del compenso previsto dall’art. 3 per ogni anno o frazione

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4. Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Pescara ha proposto ricorso affidato a
quattro motivi. Resiste Dandolo Antonio con controricorso.
5. Il Comune di Pescara ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il Comune di Pescara, dopo avere trascritto il contenuto dei due
contratti individuali di lavoro stipulati con il Dandolo nel 2003 e nel 2008, espone che il

dimissioni presentate dal Sindaco in carica, ristretto agli arresti domiciliari per provvedimento
dell’autorità giudiziaria, con conseguente anticipato scioglimento del Consiglio Comunale onde
far luogo a nuove elezioni, cosicché il Dandolo riprese servizio presso la Prefettura di Bologna
avanzando contestualmente la richiesta tesa a ottenere l’indennità di cui all’art. 6, comma 3
del contratto individuale di lavoro. Tanto premesso, l’Amministrazione ricorrente denuncia
violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1371 c.c. per avere la Corte
territoriale omesso di interpretare la casistica prevista in caso di cessazione del rapporto di
lavoro instaurato dal Direttore Generale, atteso che l’art. 6, al primo comma, disciplina
l’esercizio della facoltà di revoca da parte del sindaco del rapporto fiduciario, mentre al terzo
comma prevede la corrispondente facoltà di recesso dell’incaricato e, al quarto comma,
contempla l’ipotesi della risoluzione consensuale del rapporto. Rileva che, nel primo contratto,
stipulato il 25 settembre 2003, era stata inserita una clausola (il secondo comma) che si
riferiva all’ipotesi della cessazione anticipata del mandato del sindaco, riconoscendo al
Direttore generale, in tale eventualità, il diritto all’indennità correlata al tempo residuo per il
quale il rapporto lavorativo avrebbe dovuto continuare; in tal caso, sarebbe spettata al
Direttore Generale un’indennità pari ad una mensilità per ogni anno o frazione di anno
superiore a sei mesi residuale rispetto alla scadenza del contratto prevista dall’art. 1 del
medesimo contratto; al sesto comma, invece, si riconosceva il diritto del Direttore Generale a
conseguire l’indennità di buonuscita allorquando il rapporto fosse proseguito sino alla scadenza
naturale. Soggiunge l’Ente ricorrente che la clausola di cui al secondo comma era stata
soppressa in sede di stipulazione del secondo contratto individuale, avvenuta il 22 maggio
2008, e che di conseguenza il Dandolo non poteva reclamare l’indennità connessa all’anticipata
risoluzione del rapporto avvenuta per fatto oggettivo (cessazione del mandato elettorale del
sindaco prima della scadenza naturale del contratto), mentre l’ultimo comma dell’art. 6 aveva
continuato a riguardare l’ipotesi dell’incarico giunto a scadenza per fine mandato elettorale,
tant’è che l’indennità ivi prevista era denominata “di buonuscita”, a differenza di quella di cui al
comma 2 del precedente contratto individuale, commisurata al lasso temporale in relazione al
quale si era verificata l’impossibilità di continuare a rendere la prestazione.

2

rapporto lavorativo si protrasse sino al 5 maggio 2009, quando cessò in dipendenza delle

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2. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 108 e 110 del D.Lgs.
n. 267 del 2000 (Testo Unico sulle leggi dell’ordinamento degli enti locali). Il terzo motivo
denuncia violazione e falsa applicazione delle norme imperative contenute nell’art. 2 Legge
n.335 del 1995, dell’art. 157 dell’Accordo quadro nazionale in materia di trattamento di fine
rapporto di previdenza complementare dei dipendenti pubblici del 29 luglio 1999, dell’art.1
DPCM del dicembre 1999 relativo al trattamento di fine rapporto e istituzione dei fondi
pensione di pubblici dipendenti, nonché omesso rilievo della nullità della clausola di cui

sensi degli articoli 1346, 1418 e 1419 c.c., ove interpretata come attributiva di un elemento
retributivo ulteriore rispetto al compenso, determinato in misura complessiva, spettante al
Direttore Generale nei termini regolati dall’art. 3 dei contratti individuali.
3. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui
agli artt. 1418, secondo comma, 1325 c.c. ovvero art. 1347 c.c. poiché, nei termini di cui
all’interpretazione offerta dalla Corte territoriale, si sarebbe in presenza di un’erogazione priva
di giustificazione causale e perciò tale da imporre una prestazione illecita a carico della
Pubblica Amministrazione, in violazione dei principi costituzionali di buon andamento, efficienza
e trasparenza della Pubblica Amministrazione.
4. Con il quinto punto, non avente ad oggetto un motivo di gravame, si denuncia carenza di
fondamento della domanda giudiziale formulata in via subordinata in primo grado, volta al
risarcimento del danno, il cui esame era rimasto assorbito nell’accoglimento della domanda
principale.
5. Merita accoglimento il primo motivo, restando assorbito nel relativo accoglimento l’esame
dei restanti.
6.

La Corte di appello si è soffermata sull’interpretazione della relazione tra la

regolamentazione contenuta nell’art. 3 dei *contratti individuali, che disciplina il trattamento
economico spettante al Direttore Generale (commi 1, 2 e 3) e il trattamento previdenziale ed
assistenziale (comma 4), e quella contenuta nell’art. 6, che regola invece la facoltà di “revoca
e recesso”, nel cui contesto è disciplinata l'”indennità di buonuscita” (comma 4), rivendicata
dall’attuale resistente. La natura retributiva attribuita all’emolumento in questione lascia
impregiudicata la questione relativa all’interpretazione sistematica tra le diverse clausole anche
in relazione alla corretta individuazione dei presupposti giustificativi delle singole erogazioni,
una volta ritenuto il carattere retributivo e non previdenziale delle indennità previste dall’art. 6.
7. In punto di fatto, risulta per implicito dalla sentenza (ma la circostanza è pacifica tra le
parti) che l’incarico di Direttore Generale ebbe a cessare anticipatamente rispetto alla sua
scadenza naturale, che era fissata, ai sensi dell’art. 1 di entrambi contratti individuali, alla

3

all’ultimo comma art. 6 dei contratti di lavoro stipulati 25 settembre 2003 e 2 maggio 2008, ai

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“scadenza del mandato del Sindaco” e tale anticipata risoluzione avvenne a motivo delle
dimissioni rassegnate dal Sindaco, colpito da provvedimento restrittivo della libertà personale.
Atteso che nel primo contratto tale fattispecie era stata precisamente disciplinata dal comma 2
dell’art. 6, che contemplava una erogazione ad hoc commisurata al tempo residuo rispetto alla
scadenza naturale del contratto, a sua volta stabilita in coincidenza con la scadenza del
mandato del Sindaco, non appare supportata da una interpretazione logica, né sistematica
l’opzione interpretativa che, a fronte della eliminazione di tale clausola (secondo comma

la fattispecie concreta all’ipotesi di cui al quarto comma dell’art. 6, che già in precedenza
prevedeva l’erogazione della speciale “indennità di buonuscita” al completamento dell’incarico,
giunto alla sua naturale scadenza, ossia la correlava “alla data di cessazione del rapporto alla
scadenza prevista dall’art. 1” del contratto.
8.

L’interpretazione offerta lascia altresì priva di giustificazione causale un’erogazione

aggiuntiva rispetto al trattamento economico omnicomprensivo regolato dai primi tre commi
dell’art. 3 del contratto individuale, non chiarendo neppure se, nell’intenzione delle parti,
l’erogazione di cui si discute abbia natura premiale in ragione della permanenza nel tempo del
vincolo fiduciario, oppure carattere risarcitorio in ragione della cessazione anticipata
dell’incarico.
9. Alla luce del principio enunciato dall’art. 1363 c.c., il giudice non può, nella interpretazione
dei contratti arrestarsi ad una considerazione “atomistica” delle singole clausole, neppure
quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del “senso
letterale delle parole”, poiché anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della
dichiarazione negoziale, onde le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra
loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza (Cass. n. 8876 del 2006); la violazione del
principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto
nell’ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente
frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla
base della sola lettura di questi, per poi esaminare “ex post” le altre clausole, onde ricondurle
ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con
esso risultino inconciliabili (Cass. n. 9755 del 2011). Per contro, il ricorso al criterio del
comportamento “complessivo” delle parti, ai sensi dell’art. 1362, secondo comma, c.c.., è
possibile solo quando quelli letterale e del collegamento logico tra le varie clausole si rivelino
inadeguati all’accertamento della comune volontà delle parti (Cass. n. 16022 del 2002, n.
17879 del 2003, n. 12477 del 2004).

4

dell’art. 6) ad opera del secondo contratto (stipulato nel 2008), ha ricondotto sic et simpliciter

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10. In accoglimento del primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va dunque cassata con
rinvio alla Corte d’appello di Roma, designato quale giudice di rinvio, per riesame delle
disposizioni contenute nei due contratti stipulati inter partes. Il Giudice del rinvio dovrà
provvedere anche sulle spese del presente giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla

Roma, così deciso nella camera di consiglio del 10 ottobre 2017

Corte di appello di Roma, anche per le spese.

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