Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28277 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 30/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. D’ORIANO Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2825/2017 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– ricorrente –

contro

S.P.I.M. S.p.a., in persona del legale rapp.te p.t., elett.te

domiciliata in Roma, alla via Federico Confalonieri n. 5, presso lo

studio dell’avv. Manzi Luigi che lo rapp.ta e difende, unitamente

all’avv. Glendi Cesare, come da procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 864/5/16 della Commissione Tributaria

Regionale della Liguria, depositata il 20/6/2016, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30 settembre 2020 dalla Dott.ssa Milena d’Oriano;

 

Fatto

RITENUTO

Che:

1. con sentenza n. 864/5/16, depositata il 20 giugno 2016, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 145/13/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Genova, con compensazione delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione con cui l’Agenzia delle Entrate, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, aveva rideterminato il valore di un compendio ceduto dal Comune di Genova, costituito da quattro immobili, elevandolo da Euro 24.830.000,00 ad Euro 38.540.000,00; l’Ufficio aveva proceduto sulla base della correzione dei calcoli effettuati in sede di perizia di stima disposta ex art. 2343 c.c., per due degli immobili, sostituendo ai prezzi medi di mercato applicati dal perito quelli desumibili dalla banca dati OMI e dalle vendite di beni similari;

3. la CTP aveva accolto il ricorso della contribuente acquirente ritenendo generiche le contestazioni mosse dall’Ufficio alla perizia di stima, anche perchè fondate sui valori OMI da soli ritenuti insufficienti a supportare la diversa valutazione;

4. la CTR, a conferma della decisione di primo grado, aveva rigettato l’appello rilevando che, forse, la eccepita mancanza di contraddittorio preventivo avrebbe evitato il contenzioso e che, nel merito il frazionamento artificioso dei beni aveva portato ad esiti valutativi non reali, rispetto ad una vendita effettuata con asta pubblica, ed inoltre che lo stesso Ufficio in sede di accertamento con adesione aveva applicato dei valori al di sotto dei valori minimi OMI inizialmente accertati;

5. avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 19 gennaio 2017, affidato ad un unico motivo, a cui la controricorrente ha resistito con controricorso;

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con un unico ma articolato motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata, denunciando violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 per vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, laddove non erano state espresse le ragioni che la contribuente avrebbe potuto far valere in sede di contraddittorio preventivo, le ragioni per le quali il frazionamento delle valutazioni avrebbe portato ad un valore più alto, anche in considerazione del fatto che le stesse parti contraenti avevano proceduto a perizie separate per ciascun immobile, per aver annullato integralmente l’avviso anzichè procedere ad una riduzione della rettifica, per aver condiviso acriticamente le conclusioni della contribuente.

OSSERVA CHE:

1 II ricorso, fondato sulla sola critica del vizio di motivazione apparente, non merita accoglimento.

1.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si è in presenza di una “motivazione apparente” allorchè la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perchè costituita da argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talchè essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (cfr. Sez. 1, 18 giugno 2018 n. 16057; Sez. 6-5, 7 aprile 2017 n. 9097; Sez. U 3 novembre 2016 n. 22232; Sez. U 5 agosto 2016 n. 16599; Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053 ed ancora Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).

Si è così precisato che “Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Vedi Cass. n. 9105 del 2017; n. 20921 del 2019) ed ancora che “La motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando pur se graficamente esistente ed, eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regola la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6.” (Vedi Cass. 13248 del 2020).

1.2 Si è anche chiarito a che “In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in. via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” (Vedi Cass. n. 22598 del 2018).

2. Tale vizio, pur correttamente dedotto, non ricorre tuttavia nel caso in esame, laddove la C.T.R., sia pure in maniera sintetica, ha ritenuto di confermare quanto statuito dai giudici di primo grado in ordine alla insufficienza degli elementi posti a fondamento della rettifica di valore.

Si tratta di una motivazione che non può considerarsi meramente apparente, in quanto esplicita le ragioni della decisione, nei termini innanzi descritti.

2.1 Quanto all’aspetto relativo alla carenza di contraddittorio, cui è seguita comunque la disamina del merito, si è con evidenza in presenza di un’argomentazione svolta “ad abundantiam”, e pertanto non costituente una “ratio decidendi” della sentenza, che non avendo spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, è improduttiva di effetti giuridici e pertanto non può essere oggetto di autonoma impugnazione per difetto di interesse. (cfr. Cass. n. 22380 del 2014 e n. 8755 del 2018).

2.2 In ordine agli altri profili, la CTR ha esaminato nel merito gli elementi posti a fondamento della valutazione dell’Ufficio ed ha concluso per l’inattendibilità dell’esito ritenendolo inficiato dal frazionamento artificioso dei beni, a fronte di un valore dichiarato nell’ambito di una procedura di asta pubblica, e dal fatto che i valori OMI accertati fossero stati ridotti al di sotto dei minimi in sede di accertamento con adesione.

Ne consegue che, non sussistendo i profili di apoditticità e contraddittorietà censurati col motivo in esame, la motivazione non può ritenersi viziata in modo così radicale da renderla meramente apparente, escludendone l’idoneità ad assolvere alla funzione cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 (cfr. Cass. n. 5315 del 2015).

2.3 Rileva inoltre che le doglianze dell’Ufficio si incentrano in realtà sulla mancata valorizzazione di fatti, ritenuti idonei a suffragare un accoglimento del gravame, che, nel rigoroso rispetto dei criteri di cui agli artt. 366 e 369 c.p.c., andavano articolate censurando la decisione o ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, qualora uno o più dei predetti fatti avessero integrato direttamente elementi costitutivi della fattispecie astratta, e dunque per violazione della norma sostanziale, oppure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame di una o più di tali circostanze la cui considerazione avrebbe consentito, secondo parametri di elevata probabilità logica, una ricostruzione idonea a supportare la dedotta legittimità della rettifica.

3. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso va rigettato.

3.1 Segue la condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna l’Agenzia delle Entrate a pagare alla controricorrente le spese di lite del presente giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di Euro 10.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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