Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28277 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. II, 04/11/2019, (ud. 09/07/2019, dep. 04/11/2019), n.28277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4178-2015 proposto da:

B.M., T.M., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Ortigara 3, presso lo studio dell’avvocato Michele Aureli, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lanfranco Tonini;

– ricorrenti –

contro

B.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Fratelli

Bonnet 44, presso lo studio dell’avvocato Stefano Daniele,

rappresentato e difeso dall’avvocato Lionello Bisson;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1888/2014 della Corte d’appello di Bologna,

depositata il 06/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/07/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte;

udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore generale Dott.

Sgroi Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Michele Aureli per i ricorrenti che ha concluso come

in atti e l’Avvocato Antonella Consolo come da delega dell’Avvocato

Lionello Bisson per il controricorrente che ha concluso come in

atti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 5/2/2015 da B.M. e T.M. nei confronti di B.F. avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, meglio indicata in epigrafe, che li aveva condannati al pagamento di Euro 209.299,19 oltre interessi dal dovuto al saldo in favore della controparte.

2. Il contenzioso era insorto fra le parti a seguito di domanda di condanna al pagamento della somma di Euro 655.658,82, asseritamente affidata in deposito fiduciario, proposta da B.F. nei confronti del fratello M. e della cognata T.M..

2.1. L’attore aveva allegato che la somma in deposito ammontava ad Euro 1.163.887,27 e che, dedotti gli importi già corrisposti, residuava il suo credito come in citazione quantificato.

3. I convenuti si erano costituiti ed avevano dedotto che nell’ambito dell’operazione di vendita di un loro terreno, divenuto edificabile, F.M., in risposta alla possibilità prospettata dal fratello di realizzare dalla vendita la maggior somma di 3 miliardi di Lire, al netto di tasse e spese, rispetto a quella da loro auspicata di 3 miliardi di Lire ma al lordo delle imposte e spese, gli aveva proposto (“fu allora che a B.M. scappò detto”, cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) di lasciargli l’eventuale surplus ricavato nel caso in cui il prezzo realizzato fosse stato effettivamente superiore al corrispettivo immaginato dagli alienanti.

3.1.Precisavano che il terreno era stato poi venduto al prezzo di Lire 7.223.700.000, Iva compresa, e che la somma ricavata in più rispetto al netto di Lire 3.000.000.000 era pari a Lire 2.253.600.000, somma corrisposta all’attore dal fratello man mano che venivano versate sui conti di quest’ultimo le rate del prezzo dalla parte acquirente.

3.2.Contestavano, però, si trattasse di deposito fiduciario e, anzi, allegavano che l’attribuzione patrimoniale era intervenuta in assenza di obbligo e, quindi, a titolo gratuito con conseguente nullità della stessa per difetto dei requisiti di forma di cui all’art. 782 c.c., e chiedendo in via riconvenzionale la condanna dell’attore alla restituzione di quanto da lui percepito.

4. Il giudizio di primo grado si concludeva con la sentenza del 3-5 febbraio 2009 con cui venivano rigettate entrambe le domande.

4.1.Con particolare riguardo alla domanda formulata in via principale, il giudice di prime cure argomentava che l’istruttoria aveva dimostrato l’insussistenza del deposito quale titolo prospettato dall’attore a fondamento della domanda di pagamento, essendo i convenuti risultati piuttosto debitori del corrispettivo dell’opera prestata dall’attore per la vendita del terreno.

4.2.Ad avviso del giudice di primo grado, ciò rendeva inaccoglibile la domanda attorea fondata su un diverso titolo contrattuale, pena altrimenti un non consentito mutamento della causa petendi.

4.3.Con riguardo alla domanda riconvenzionale il giudice di prime cure la rigettava perchè, alla stregua della documentazione e delle risultanze istruttorie, escludeva che i pagamenti fossero avvenuti per spirito di liberalità.

5.La decisione veniva impugnata in via principale dai convenuti ed in via incidentale dall’attore.

6.La Corte d’appello, premesso di condividere la ricostruzione dei fatti oggetto di causa come svolta dal tribunale, tuttavia riteneva dimostrato il contratto di deposito perfezionato con la ficta traditio e, seppure per una misura inferiore, riconosceva ancora esistente un credito restitutorio dell’attore.

6.1.Confermava, inoltre, l’incompatibilità con l’operata ricostruzione dei fatti del prospettato intento di liberalità quale causa dei versamenti effettuati dai coniugi B.- T.. 6.2.La corte, pertanto, respingeva il loro appello principale ed accoglieva parzialmente quello incidentale.

7.La cassazione della sentenza d’appello è chiesta dagli originari convenuti sulla base di otto motivi, articolati a loro volta in vari profili ed illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., cui resiste con tempestivo controricorso l’intimato B.F..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. nonchè degli artt. 183 e 345 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per avere la sentenza impugnata accolto l’appello incidentale fondando la decisione su un fatto costitutivo nuovo e diverso ed alterando sia la causa petendi che il petitum della domanda originariamente formulata dall’attore.

1.1.La censura colpisce la statuizione (contenuta a pag.12 primo cpv.) della sentenza laddove la corte bolognese, dopo aver esaminato l’appello incidentale e spiegato le ragioni di condivisione della ricostruzione dell’appellante in ordine alla sussistenza dei presupposti del prospettato contratto di deposito irregolare perfezionatosi con la ficta traditio, ha ritenuto di precisare, con apparente riferimento alla ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda attorea dal giudice di prime cure, che lo stabilire se nell’operazione dedotta in giudizio sono ravvisabili due distinti negozi o uno solo con conseguente diritto dell’attore al pagamento del sovrapprezzo quale corrispettivo dell’opera prestata non comportava l’introduzione di un fatto diverso da quello allegato originariamente dall’attore, vertendosi in consentita operazione di qualificazione giuridica della domanda.

2. Con il secondo motivo si denunciano diversi profili:a) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 nonchè degli artt. 163,164 e 345 c.p.c.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la nullità della sentenza e/o del procedimento anche con riferimento al principio del giusto processo di cui all’art. 111 Cost.; c) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omesso esame di un fatto decisivo.

2.1. Si contesta, in particolare, che la corte d’appello con il porre a fondamento della decisione i documenti costituiti dalla dichiarazione sottoscritta da B.M. in data 28/1/2004 – con cui confermava di avere messo a disposizione del fratello F. la somma di Lire 2.253.600.000 “a seguito di accordi tra loro sanciti” negli anni dal 2001 al 2004 – e dalla lettera del 3 marzo 2004 – con cui confermavano nuovamente le suddette circostanze, ma al tempo stesso affermavano che la somma era già stata interamente ritirata – abbia erroneamente ampliato il thema decidendum. Avrebbe ciòè desunto da essi i fatti costitutivi di una diversa figura negoziale (negozio oneroso fonte dell’obbligo del pagamento del sovrapprezzo), utilizzando, nonostante l’asserita discussione fra le parti della questione, materiale probatorio che era stato allegato dall’attore non per fondare la richiesta di pagamento del compenso contrattuale, bensì la domanda di restituzione di quanto asseritamente affidato in deposito al fratello ed alla cognata.

3. Con il terzo motivo si deducono più profili:

a) in primo luogo ed in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 99,112 e 167 c.p.c.; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza del procedimento; c) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., art. 111 Cost., comma 2, art. 24 Cost., comma 2 e art. 101 Cost., comma; d) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 nullità della sentenza o del procedimento per lesione del contraddittorio, del diritto di difesa nonchè per violazione dei principi regolatori del giusto processo.

3.1. Con i suddetti profili di censura si ribadisce l’illegittimità dell’ampliamento del tema di indagine, in riferimento al medesimo punto motivazionale, oggetto del primo e del secondo motivo di censura, sicchè i tre motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè denunciano sostanzialmente le medesime statuizioni.

3.2. Si osserva che per costante orientamento di questa Corte, il potere – dovere del giudice di qualificare giuridicamente l’azione e di attribuire il nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie ad opera delle parti, trova un limite – la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione – nel divieto di sostituire la domanda proposta con una diversa, perchè fondata su una diversa “causa petendi” o su una realtà fattuale non dedotta in giudizio dalle parti e sulla quale, pertanto, non si è realizzato il contraddittorio (Cfr. Cass. 3980/2004;id 9087/2006; id.10617/2012).

3.3.Nel caso di specie, la corte d’appello non è incorsa nel prospettato vizio perchè, nel qualificare il rapporto negoziale in forza del quale l’attore aveva agito per la il pagamento dell’importo riconosciutogli, ha ricostruito il rapporto fra le parti, mediante i medesimi fatti dalle stesse allegati e sulla base dei documenti e delle prove raccolte su istanza delle stesse, concludendo per l’accoglimento, seppure in misura inferiore, della domanda di B.F. e ravvisando, come dallo stesso allegato, un deposito irregolare di somme di danaro perfezionatosi con la ficta traditio (cfr. Cass. 9596/1998).

3.4.La parte di motivazione che i ricorrenti evidenziano per fondare la censura (cfr. pag. 12 primo cpv.) non inficia la ratio decidendi perchè, nel riferirsi alle circostanze di fatto allegate dai convenuti per contrastare la domanda attorea e sostenere la domanda riconvenzionale, argomenta che se anche se avesse fondato il diritto al surplus su un diverso negozio originario, quale cioè corrispettivo per l’opera prestata (nell’ambito di una sorta di mediazione immobiliare), in tali termini descrivendo gli accordi emergenti dalla documentazione agli atti (in particolare la dichiarazione del 28/1/2004 e la missiva del 3/3/2004) non avrebbe comunque introdotto un nuovo tema di indagine in violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato, nè tantomeno avrebbe leso il diritto di difesa dei convenuti.

4. Con il quarto motivo si censura, anche in questo caso sotto diversi profili, la sentenza laddove ha ritenuto che la missiva del 3 marzo 2004, a firma dei ricorrenti, conteneva una confessione stragiudiziale in ordine all’esistenza dell’obbligo di pagamento del sovrapprezzo in favore del controricorrente in caso di vendita del terreno ad un prezzo superiore a Lire 3.000.000. L’assunto è censurato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 2730,2734,2735 c.c.; è, inoltre, censurato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione dell’art. 116 c.p.c.; è pure prospettata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..

5.Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1321,1324 c.c. per avere la corte d’appello desunto dalla medesima missiva del 3 marzo 2004 che gli odierni ricorrenti avevano assunto l’obbligo di pagare al controricorrente l’importo di Lire 2.253.600.000 mentre, in realtà, la missiva andava intesa come semplice riconoscimento della disponibilità in capo a B.F. della somma in oggetto come pervenutagli dal fratello M., senza alcun obbligo a carico dei ricorrenti.

5.1. Il quarto e quinto motivo, riguardanti la valenza probatoria della missiva del 3 marzo 2004 possono essere esaminati congiuntamente e vanno dichiarati infondati.

5.2.In tema di confessione, costituisce principio consolidato che la confessione stragiudiziale fatta ad un terzo, non ha valore di prova legale, come la confessione giudiziale o stragiudiziale fatta alla parte, e può, quindi, essere liberamente apprezzata dal giudice, a cui compete, con valutazione non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivata, stabilire la portata della dichiarazione rispetto al diritto fatto valere in giudizio (cfr. Cass. 29316/2008; 25468/2010).

5.3. Nel caso di specie, la riconosciuta valenza confessoria della missive del 3 marzo 2004 non risulta il frutto di un’errata applicazione dell’art. 2735 c.c., non avendo la corte escluso la necessità dell’animus confitendi. Il giudice del gravame ha, come osservato dal P.M., legittimamente valorizzato in termini confessori la risposta dei convenuti all’avvocato Bisson che aveva avanzato richiesta di pagamento, prima della notifica del relativo atto di citazione, e nell’ambito della quale essi confermano l’erogazione delle somme di cui l’attore era beneficiario in virtù degli accordi e sostengono, tuttavia, di avere già provveduto a tutti i versamenti cui erano tenuti.

5.4.Tali dichiarazioni sono poi state apprezzate nel contesto delle complessive risultanze processuali, costituite dalla dichiarazione del 28/1/204 sottoscritta e riconosciuta dalle parti, dal richiamo ad accordi intervenuti fra le parti e dal loro comportamento successivo alla vendita del terreno.

5.5.Si tratta di elementi idonei e rilevanti a giustificare la conclusione cui è pervenuta la corte distrettuale e rispetto ad essi non appare rilevante il principio espresso nella richiamata sentenza di questa Corte n. 3244/2009 e riguardante la valenza confessoria delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale delle parti.

6.Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1766 e 1782 c.c. nonchè dell’art. 2697 c.c. per avere erroneamente la corte d’appello ritenuto concluso il contratto di deposito per effetto della semplice consegna della cosa, realizzata mediante la ritenzione delle somme versate sul c/c, trascurando il requisito dell’obbligo di custodia gravante in capo al depositario e dai ricorrenti ritenuto insussistente nel caso di specie.

6.1.Il motivo è inammissibile perchè deduce il tema della custodia che, pur astrattamente rilevante nella fattispecie del deposito, non attinge la ratio decidendi posta a fondamento della conclusione impugnata, fondata sulla natura irregolare del deposito e sulla pacificamente ammessa ficta traditio (cfr. Cass. 9596/1998; id. 1493/2007).

7. Con il settimo motivo si denuncia, sotto diversi aspetti, il ragionamento svolto dalla corte d’appello a pagina 9 della motivazione laddove ricostruisce i fatti oggetto di causa in conformità alla ricostruzione operata dal tribunale. La corte felsinea ha, infatti, ravvisato un accordo tra i due fratelli e la moglie di M. avente ad oggetto, da una parte, l’interessamento di F. alla vendita del terreno di M. e della moglie e, dall’altro, il riconoscimento da parte di questi ultimi di un compenso per l’eventuale maggior prezzo ricavato dalla vendita e pari alla differenza fra il ricavato e l’importo di 3 miliardi al netto delle imposte, che i proprietari intendevano ricevere quale corrispettivo della vendita. Tale ricostruzione è stata ritenuta incompatibile con la prospettata liberalità quale causa dei pagamenti effettuati da M. in favore del fratello F. successivamente alla vendita del terreno.

7.1.La statuizione è censurata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1321,1325,1326,1372,1418 c.c. nonchè in violazione e falsa applicazione degli artt. 1755,1756 e 1418 c.c. nonchè della L. n. 39 del 1989, artt. 2 e 6; è ritenuta parimenti illegittima per violazione e falsa applicazione degli art. 1325 e 1326 c.c. nonchè degli artt. 769,770 e 782 c.c. nonchè, nulla la sentenza e/o il procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 116 c.p.c. e dei principi del giusto processo.

7.2. Il motivo è infondato.

7.3. Il giudice del merito ha valutato gli elementi di prova addotti dalle parti e raccolti nel corso dell’istruttoria. A fronte di ciò ha ritenuto di escludere il carattere liberale delle erogazioni effettuate dai ricorrenti reputando che, mentre avevano trovato riscontro “gli accordi iniziali” allegati dalle stesse parti e consistiti “nell’assunzione dell’obbligo di pagamento del surplus in caso di vendita del terreno ad un prezzo superiore a Lire 3.000.000” – di cui le stesse parti ricorrenti avevano riferito -, la diversa tesi della donazione remuneratoria era risultata priva di riscontro.

7.4.Tale ricostruzione in fatto appare incensurabile nella forma proposta dai ricorrenti giacchè non si ravvisa alcuna delle violazioni di legge denunciate ma, al contrario, appare legittimo l’esercizio della facoltà di ricostruzione e valutazione del materiale probatorio da parte del giudice del merito, con la conseguenza che l’esito è sindacabile in cassazione nei limiti del vizio motivazionale consentito dalla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. Sez. Un. 8053/2014).

8.Con l’ottavo motivo si censura l’omesso esame, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, da parte del giudice d’appello, del fatto che i coniugi B./ T. intendevano realizzare il prezzo di Lire 3.000.000 al netto delle imposte quindi anche dell’IRAP pagata nel 2001 e pari a Lire 140.350.000 nonchè per avere il medesimo giudice omesso di pronunciarsi riguardo alla consegna dell’assegno a saldo di Euro 141.500,00.

8.1. Il motivo censura altresì la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

8.2. Il motivo è infondato.

8.3. I ricorrenti deducono una situazione che globalmente attiene al fatto, che la corte ha valutato nel contesto dell’intero quadro probatorio proposto dalle parti in giudizio, con la conseguenza che non è ravvisabile l’omissione di un fatto decisivo.

8.4.Peraltro, le censure mosse dai ricorrenti appaiono destinate al rigetto perchè per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. 26769/2018; id.11176/2017).

9. In definitiva il ricorso va respinto e parte ricorrente, in applicazione del principio di soccombenza, va condannata alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.

10.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese a favore del contro ricorrente e liquidate in Euro 7500,00 di cui Euro 200,00 per spese, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 9 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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