Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28276 del 06/11/2018

Cassazione civile sez. II, 06/11/2018, (ud. 03/05/2018, dep. 06/11/2018), n.28276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2207/2015 proposto da:

CITTA’ DEL MARE SRL, SOFICOOP SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA PORTA PINCIANA 6, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO PARLATO, che le rappresenta e difende giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.S.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4236/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 3/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/05/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie di parte ricorrente.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. S.S. conveniva la Sofi Coop s.r.l. davanti al Tribunale di Napoli, chiedendo che fosse emessa in suo favore la sentenza ex art. 2932 c.c., in relazione ad un contratto preliminare del 13/11/1991 con il quale la convenuta gli aveva promesso in vendita un appartamento in località (OMISSIS), sito al primo piano dell’edificio (OMISSIS), per il prezzo complessivo di Lire 122.800.000, di cui Lire 47.000.000 da corrispondere al momento dell’erogazione del mutuo ipotecario.

Esponeva che l’immobile era stato realizzato su terreno concesso in proprietà alla società convenuta dal Comune di Somma Vesuviana a seguito di convenzione stipulata ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35 e che dopo il pagamento di Lire 85.866.572 e la consegna dell’immobile, la convenuta aveva omesso di stipulare il definitivo.

La convenuta, costituitasi, deduceva che la mancata stipula del contratto definitivo era da imputare all’inadempimento dell’attore che non aveva corrisposto tutto quanto previsto nel preliminare, costringendola a richiedere al Monte dei Paschi di Siena delle anticipazioni, garantite in via ipotecaria, con tassi superiori a quelli dei mutui di cui era beneficiaria, per cui chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto preliminare.

Con sentenza n. 10360 pubblicata in data 16 ottobre 2013 il Tribunale di Napoli rigettava la domanda ex art. 2932 c.c., nonchè la domanda riconvenzionale.

La SO.FI Coop s.r.l. proponeva appello, dolendosi, in primo luogo, del mancato accoglimento della domanda riconvenzionale, ed a sua volta proponeva appello incidentale lo S..

Con sentenza n. 1673/2007, la Corte di appello di Napoli dichiarava la nullità del giudizio di primo grado ex art. 354 c.p.c., rimettendo la causa al Tribunale di Napoli, sul presupposto che oltre alla Sofi Coop, delegata all’espropriazione e cessionaria delle aree sulle quali era stato realizzato il complesso immobiliare di cui faceva parte l’appartamento all’origine della controversia, avrebbero dovuto essere convenuti in giudizio gli originari proprietari delle aree e l’ente espropriante, e ciò al fine di verificare se si fossero effettivamente prodotti gli effetti dell’espropriazione ovvero quelli dell’accessione invertita, con il conseguente prodursi degli effetti traslativi previsti dalla convenzione intercorsa tra la società appellante ed il Comune di Somma Vesuviana.

Intanto nel 2006 Sofi Coop aveva venduto l’appartamento alla Città del Mare s.r.l., intervenuta in appello.

In accoglimento di ricorso delle due società, la Corte di Cassazione con sentenza n. 8376 del 2011 ha affermato che non ricorre litisconsorzio necessario allorchè il giudice proceda, in via meramente incidentale, ad accertare una situazione giuridica che riguardi anche un terzo, dal momento che gli effetti di tale accertamento non si estendono a quest’ultimo, ma restano limitati alle parti in causa.

La Corte di appello di Napoli, adita in riassunzione dallo S., con la sentenza n. 522/2014 dell’11 febbraio 2014 ha rigettato l’appello principale della Sofi Coop e quello incidentale dell’originario attore.

Le due società hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

S.G. non ha svolto difese in questa fase.

2. La Corte di appello di Napoli con la sentenza n. 4236/13 ha rigettato l’appello principale di SOFI Coop s.r.l e di Città del Mare s.r.l., ribadendo che la venditrice era gravemente inadempiente in quanto non aveva ultimato la procedura espropriativa e quindi, come in altri casi analoghi osservato già dalla Corte di Cassazione, non aveva reso possibile neppure l’eseguibilità del preliminare ex art. 2932 c.c., rilevando altresì che non poteva nemmeno essere presa in esame la domanda di restituzione dell’immobile, stante il rigetto della domanda di risoluzione per inadempimento del promissario acquirente.

Ha negato che il titolo possa essere costituito dalla cd. accessione invertita, che potrebbe al più fondare un’azione per ottenere l’accertamento della proprietà in capo alla società stessa, ma non può costituire un valido titolo per l’alienazione a terzi.

La Corte ha anche respinto la domanda di adempimento formulata in via subordinata, in quanto ancorchè lecita espressione dello ius variandi, si rivelava infondata proprio alla luce della accertata ineseguibilità del preliminare per l’inadempimento, ritenuto prevalente della promittente venditrice.

Ha infine rilevato che, sebbene anche la domanda dello S. sia stata respinta, la questione dell’eventuale restituzione dell’immobile dovrà essere esaminata in altra sede perchè il rigetto della domanda di risoluzione Soficoop, cui ineriva la domanda di restituzione, ostacola l’accoglimento di questa pretesa.

3. Con il primo motivo le ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 102,112 e 354 c.p.c. e art. 2932 c.c., comma 2.

Il motivo – come peraltro già rilevato dal precedente di questa Corte n. 4923/2017, che ha avuto ad oggetto una delle numerose controversie intercorrenti tra le odierne ricorrenti ed i vari promissari acquirenti degli immobili realizzati nel complesso edilizio interessato dalla vicenda espropriativa sopra ricordata – cumula una serie di profili che vanno distintamente esaminati, nei limiti in cui è possibile e consentito seguirne la articolazione.

L’esposizione è frammista all’inserimento di documenti (tra cui sentenze utilizzate a fine documentale e non di mera conoscenza giuridica) di cui non è attestata la tempestiva produzione in causa, come tali da ritenere nuovi e non utilizzabili.

Il ricorrente deve infatti rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, l’onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito (Cass. 23575/15; 16900/15).

Il motivo di ricorso premette che si è formato giudicato interno sul rigetto della domanda ex art. 2932 c.c., dello S., respinta dal tribunale e non impugnata.

Aggiunge che la Corte ha erroneamente rigettato la domanda Soficoop di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dell’acquirente, ritenendo decisiva la circostanza che la società non era divenuta proprietaria del terreno su cui insisteva l’immobile.

Lamenta (cfr. pag. 26 del ricorso) che la Corte avrebbe esaminato la domanda nuova della controparte – riferita all’ineseguibilità del preliminare, – pur avendola considerata inammissibile, come altre formulate in appello dallo S..

La domanda di quest’ultimo, di nullità del preliminare fondata sulla pretesa mancata acquisizione dell’area, sarebbe stata subito contestata come nuova dalla ricorrente Sofi Coop.

La decisione di appello sarebbe quindi basata su un’inammissibile domanda nuova.

La censura è priva di fondamento: in primo luogo perchè non individua correttamente la ratio decidendi.

Il rilievo relativo alla impossibilità di esecuzione del preliminare per mancato esperimento della procedura espropriativa è stato infatti svolto dal tribunale, come la sentenza impugnata riferisce a pag. 9.

La Corte di appello si è limitata a spiegare la fondatezza di questo rilievo, già del “primo giudice”, facendo richiamo a precedenti giurisprudenziali di legittimità a sua volta richiamati da Cass. n. 18634/2010, in cui il mancato perfezionamento della procedura espropriativa comporta l’ineseguibilità del preliminare ex art. 2932 c.c..

La motivazione è dunque in primo luogo confermativa e non dipendente da una “domanda nuova”, ma da un profilo giuridico relativo a un fatto già valorizzato dal tribunale.

In ogni caso, qualora vi fosse stata questione di nullità contrattuale, anche in via di eccezione la circostanza avrebbe potuto essere rilevata sia a cura di parte sia di ufficio, come è consentito in via generale dall’art. 345 c.p.c. e, quanto alla nullità contrattuale, dall’art. 1421 c.c., perfino nelle azioni contrattuali intraprese per chiedere la risoluzione del contratto (si vedano in proposito, amplius, SU 14828/12; 26242/14). Resta peraltro da rilevare che nella specie trattavasi di mera difesa del resistente all’appello e di rilievo comunque doveroso, trattandosi dell’inadempimento all’obbligo principale della venditrice Sofi Coop, che aveva dedotto, senza riuscire a provarlo, il proprio adempimento come presupposto della propria domanda respinta in tribunale.

Il secondo profilo del primo motivo attiene alla acquisizione del terreno da parte della Sofi Coop in forza di accessione invertita, cioè della “occupazione legittima” per scopo di “pubblica utilità”.

Ancora una volta parte ricorrente invoca (cfr. pag. 30 e ss.) un mezzo di acquisto della proprietà che è stato espunto dall’ordinamento a seguito di sentenze CEDU (cfr. Cass. 6301/14).

Evita di considerare che l’illecito spossessamento del privato da parte della P.A. e l’irreversibile trasformazione del suo terreno per la costruzione di un’opera pubblica non danno luogo, anche quando vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità, all’acquisto dell’area da parte dell’Amministrazione (Sez. U, n. 735 del 19/01/2015; Cass. n. 19572/2017).

Sostiene, paradossalmente, che il mancato perfezionamento del procedimento espropriativo “non ha rilievo alcuno”, senza spiegare perchè non abbia potuto dar corso alla vendita dell’area con i regolari passaggi.

Deduce che il titolo che abilita la società promittente a trasferire l’appartamento è la convenzione stipulata con il comune di Somma Vesuviana e deduce che i successivi atti aggiuntivi prevedono la cessione alla società della proprietà ad aedificandum e quindi “la facoltà di promettere in vendita il diritto di proprietà superficiaria ad essa trasferito”.

Il rilievo è inconferente, perchè non è in discussione in causa la facoltà di stipulare il preliminare, facoltà che non è stata negata, ma il dovere di adempiere alla promessa di vendita facendo acquistare la proprietà piena al promissario acquirente.

Nè possono essere invocati, come fa il ricorso, argomenti che sono comunque imperniati sulla giurisprudenza che presupponeva la legittimità dell’accessione invertita, argomenti su cui fanno leva i successivi passaggi dell’atto.

La conclusione del motivo di ricorso risiede (pag. 43) nel sostenere che non sarebbe stato dimostrato l’annullamento del piano edilizio economico e popolare, nè chi sia il proprietario del fondo. Trattasi di circostanze non decisive in causa: per affermare l’inadempimento era sufficiente stabilire che il mancato completamento della procedura espropriativa rendeva incerta la proprietà dell’area e quindi la trasferibilità del bene. Opportunamente le circostanze sono state trattate con ampiezza in controricorso riportando le precedenti contestazioni.

4. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 2932 c.c. e art. 112 c.p.c. e vizi di motivazione e concerne il rilievo da attribuire agli asseriti inadempimenti del promissario per mancato pagamento di rate del residuo prezzo.

Il rigetto di questo secondo motivo di appello, accuratamente riportato dai giudici di appello a pag. 11, 12 e 13 della sentenza, è insito nella motivazione con cui è stata da quei giudici confermata la questione principale posta dalle ricorrenti, riguardo all’esistenza del proprio inadempimento.

Una volta confermata la sussistenza di quest’ultimo, la Corte di appello nel rigettare il gravame ha confermato il giudizio di maggiore gravità che aveva riassunto in precedenza.

Trattasi di apprezzamento di merito congruo e logico, poichè non si può negare che il non essere il venditore “a distanza di tredici anni dalla conclusione del preliminare” in grado di stipulare il definitivo possa essere considerato inadempimento di maggior portata, rispetto al mancato completamento del pagamento del prezzo (versati 85.866.572 milioni di Lire su 122.800.000).

Trattasi di apprezzamento di merito insindacabile in questa sede.

5. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione della L. n. 865 del 1971, art. 35 e vizi di motivazione.

Le ricorrenti deducono che in appello avevano chiesto la declaratoria di nullità del contratto preliminare per violazione della norma predetta, “non essendo stato dimostrato il possesso, da parte del promissario acquirente, dei requisiti reddituali prescritti dall’art. 35”.

La censura è infondata.

Va infatti ricordato che secondo le Sezioni Unite (Cass. 26243/14): “La domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta, per la prima volta, in appello è inammissibile ex art. 345 c.p.c., comma 1, salva la possibilità per il giudice del gravame – obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2 – di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, giusta il citato art. 345, comma 2”. Quanto all’obbligo del rilievo di ufficio come eccezione in sede di impugnazione, occorre ricordare che l’obbligo del giudice sussiste soltanto ove l’eccezione risulti documentata ex actis (SU 14828/12; 10531/13).

Nel motivo inoltre non risulta che fosse stata acquisita prova della mancanza del requisito, carenza che anzi è insita nella circostanza che la questione, a detta delle stesse ricorrenti, sia stata agitata solo in appello. Non è quindi qui il caso di soffermarsi nè sul pregio teorico di un’ipotesi di nullità del preliminare per la ragione esposta, nè, ancor meno, sulla sua necessità di rilevarla d’ufficio in questa sede.

6. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso ma nulla deve disporsi quanto alle spese di lite, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

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