Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28276 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. II, 04/11/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 04/11/2019), n.28276

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21426-2015 proposto da:

A.G. SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la

rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MODA SRL, domiciliata in ROMA presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato STEFANO MARRONE,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2413/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 31/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/07/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. A seguito di dichiarazione di incompetenza del Tribunale di Pistoia, inizialmente adito dall’attrice, la A.G. S.p.A. riassumeva il giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia – sezione distaccata di Dolo, deducendo che aveva ricevuto dalla Moda S.r.l. una fornitura di tacchi per scarpe rivelatasi però difettosa, atteso che i tacchi, una volta montati, si rompevano per un difetto di fabbricazione; concludeva pertanto per la condanna della convenuta al risarcimento del danno.

Si costituiva la società convenuta la quale eccepiva la decadenza e la prescrizione del diritto di garanzia, concludendo nel merito per il rigetto dell’avversa domanda.

Il Tribunale adito con la sentenza n. 139 del 3/7/2007 accoglieva la domanda, ritenendo che si fosse in presenza di vizi occulti della cosa venduta e che quindi l’attrice non era incorsa nè in decadenza nè in prescrizione, atteso altresì che la convenuta aveva riconosciuto l’esistenza dei vizi, consistenti in problemi di tenuta del tacco, in quanto troppo corta la spina di metallo inserita al suo interno, e per l’effetto liquidava il danno in via equitativa nell’importo di Euro 5.000,00.

Avverso tale sentenza proponeva appello principale la società attrice, dolendosi della mancata ammissione della prova testimoniale e della CTU necessarie ai fini della dimostrazione dell’effettiva entità del danno patito, nonchè appello incidentale la Moda S.r.l. che ribadiva la fondatezza delle eccezioni di decadenza e di prescrizione dell’azione di garanzia, adducendo altresì che la domanda volta ad ottenere il riconoscimento del danno era del tutto inammissibile in quanto tardivamente avanzata con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c.

La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 2413 del 31/10/2014 ha accolto l’appello incidentale dichiarando estinto per prescrizione il diritto fatto valere dell’attrice, e respingendo per l’effetto l’appello principale.

Una volta ribadita l’inammissibilità delle richieste istruttorie avanzate dall’attrice, in quanto la prova testimoniale non era stata reiterata in sede di conclusioni dinanzi al Tribunale, ed avendo la CTU carattere evidentemente esplorativo, escludeva che la deduzione circa l’avvenuto riconoscimento dei vizi costituisse una domanda nuova, occorrendo a tal fine evidenziare che la stessa costituisce a ben vedere un’eccezione del compratore in replica a quella di decadenza formulata da parte del venditore, e quindi suscettibile di proposizione anche con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c.

Doveva altresì escludersi che la deduzione circa il riconoscimento del vizio costituisse una domanda nuova, atteso che la circostanza era già stata dedotta in citazione, le cui conclusioni erano di fatto sovrapponibili a quelle poi espresse nelle memorie di cui all’art. 183 c.p.c..

Tuttavia se effettivamente doveva ritenersi intervenuto il detto riconoscimento, avendo la società convenuta confermato le ragioni della rottura del tacco, ammettendo la propria responsabilità e confermando l’impegno ad ovviare al problema anche sotto il profilo economico, ciò rendeva superflua la denuncia ma non impediva la maturazione della prescrizione.

In tal senso andava rilevato che, essendo prevista la consegna finale della merce ad ottobre/novembre del 2000, l’interruzione della prescrizione quale effetto del riconoscimento del vizio era avvenuta a gennaio 2001, sicchè le successive lettere interruttive della prescrizione del 7 e del 14 febbraio 2002 e la successiva introduzione della causa con citazione notificata il 30/4/2002, erano intervenute a prescrizione ormai maturata. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la A.G. S.p.A. sulla base di due motivi.

La Moda S.r.l. ha resistito con controricorso.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490,1492 e 1495 c.c. laddove la Corte d’appello ha dichiarato l’estinzione per prescrizione del diritto azionato.

Si deduce che nella fattispecie con il riconoscimento dei vizi vi era stato anche l’impegno della venditrice ad eliminare gli stessi, obbligazione questa che, secondo quanto precisato dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 19702/2012, si prescrive nel più ampio termine decennale.

Nella fattispecie la sentenza gravata ha erroneamente interpretato la domanda proposta, omettendo di considerare che era stato azionato appunto il diritto all’eliminazione dei vizi, sicchè risulta erronea l’applicazione della prescrizione annuale, dovendo la parte fruire del più ampio termine di prescrizione ordinario.

Il motivo è infondato.

Come peraltro evidenziato dalla stessa difesa del ricorrente, l’errore che si addebita alla Corte di merito non è tanto quello concernente la corretta applicazione dei principi espressi dalle Sezioni Unite nella citata sentenza n. 19702/2012, che ha appunto statuito che in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, di cui all’art. 1490 c.c., qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l’impegno sia accettato dal compratore, sorge un’autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria, a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina, aggiungendo poi che, in tale ipotesi l’originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale, di cui all’art. 1495 c.c., mentre l’ulteriore suo diritto all’eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale, quanto l’erronea qualificazione della domanda, per non avere la Corte di merito correttamente inteso che in realtà era stata avanzata la domanda correlata all’obbligazione di eliminazione dei vizi, specificamente assunta dalla venditrice, e sottoposta al più ampio termine prescrizionale.

Trattasi però di assunto che non può essere condiviso.

Ed, infatti, occorre richiamare il tradizionale orientamento di questa Corte secondo cui (cfr. da ultimo Cass. n. 30684/2017) l’interpretazione della domanda integra un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, così che in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata, con la conseguenza che la censura formulata, investendo per l’appunto la correttezza dell’interpretazione della domanda attorea offerta dal giudice di merito non risulta correttamente veicolata, avendo la parte denunziato solo la violazione di legge.

Tuttavia, anche a voler reputare che la formulazione del motivo esuli dalla richiesta di sindacare una mera interpretazione della domanda, come tale riservata al giudice di merito, ma investa piuttosto la denuncia di un error in procedendo, dandosi quindi seguito alla tesi sostenuta da questa Corte secondo cui (Cass. n. 20716/2018) quando, con il ricorso per cassazione, venga dedotto un “error in procedendo”, il sindacato del giudice di legittimità investe direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo, posto che, in tali casi, la Corte di cassazione è giudice anche del fatto (nella specie, la Corte, rilevando un vizio di omessa pronuncia sulla riproposizione in appello dell’originaria domanda riconvenzionale riguardante l’obbligo dell’appellato di contribuire ai miglioramenti apportati dall’appellante alle parti comuni dell’edificio, ha proceduto direttamente all’interpretazione dell’atto di appello; conf. Cass. n. 25259/2017), il ricorso risulta privo del requisito di specificità.

Infatti, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite (cfr. Cass. S.U. n. 8077/2012), anche quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziandosi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore, sebbene il giudice di legittimità non debba limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma sia investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi quindi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), era necessario che la ricorrente avesse puntualmente riprodotto in ricorso il contenuto dell’atto di citazione, al fine di consentire alla Corte dalla lettura del ricorso, di verificare l’effettiva corrispondenza tra la decisione adottata e la richiesta della parte.

Tuttavia il motivo in esame si limita semplicemente a riferire di una richiesta risarcitoria correlata all’esistenza dei vizi della merce fornita (cfr. pag. 4), in ragione quindi dell’inadempimento della venditrice, il che non consente di apprezzare se effettivamente la domanda fosse correlata alla richiesta di adempimento della specifica obbligazione di eliminazione dei vizi, che si assume essere stata contratta dalla controricorrente.

Nè elementi di segno contrario appaiono ricavabili dal contenuto della sentenza gravata, la quale risulta incentrata sulla sola valutazione della domanda correlata all’azione di garanzia per l’esistenza di vizi, essendo stato il tema del riconoscimento affrontato unicamente nella prospettiva dell’idoneità dell’atto ad escludere la necessità della denuncia ed a fungere da atto interruttivo della prescrizione (peraltro, la sentenza gravata, a pag. 7, nel riferire del riconoscimento del vizio, aggiunge semplicemente che la venditrice aveva confermato l’impegno ad ovviare il problema anche sotto il profilo economico, espressione questa connotata di genericità, e che, in assenza della riproduzione delle deposizioni testimoniali alle quali fa riferimento il giudice di appello, non consente di affermare con certezza che vi fosse stata un’espressa assunzione della venditrice dell’obbligo di eliminare i vizi).

Il riferimento alla richiesta di risarcimento del danno appare effettivamente correlato alla denuncia dell’esistenza dei vizi e quindi all’esperimento dell’azione di garanzia (dovendosi estendere alla domanda risarcitoria ex art. 1494 c.c. la medesima prescrizione annuale prevista per tutte le azioni spettanti al compratore per i vizi o la mancanza di qualità della cosa pattuita, Cass. n. 10728/2001), mancando il diverso richiamo alla diversa ed autonoma obbligazione del venditore di assicurare l’esatto adempimento con l’eliminazione dei vizi della merce venduta, che si assume essere stata contratta coevamente al riconoscimento del vizio.

Il motivo deve quindi essere disatteso.

3. Il rigetto del motivo che precede determina evidentemente l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la mancata ammissione di una CTU tecnico contabile volta alla determinazione del danno subito, avendo la stessa ricorrente ammesso la natura pregiudiziale rispetto al secondo motivo, della questione sollevata con la prima censura, atteso che, una volta ribadita l’intervenuta estinzione del diritto per prescrizione, resta assorbita anche ogni doglianza in ordine alla quantificazione del danno.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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