Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2827 del 09/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2010, (ud. 26/11/2009, dep. 09/02/2010), n.2827

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20689-2005 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrenti –

contro

R.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 17/2003 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE,

depositata il 10/04/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/11/2009 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il ricorrente l’Avvocato dello Stato SANTORO, che ha

chiesto l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l’accertamento relativo all’imposta Irpef per l’anno 1991, nei confronti di R.A., conseguente al concordato di massa effettuato dalla società Maglificio Duerre sas partecipata dalla medesima.

La contribuente adiva la commissione tributaria provinciale di Prato, impugnando il relativo avviso notificatole il 22.12.1999 ed eccependone la nullità per difetto di motivazione; la mancanza di un accertamento diretto, e la decadenza dell’ufficio dal potere di rettifica.

Il ricorso veniva rigettato dalla commissione di primo grado, e questa pronunzia veniva riformata, con sentenza n. 17/01/2003, in data 19 marzo 2003, dalla commissione tributaria regionale della Toscana.

Avverso tale decisione, che non risulta notificata, propongono ricorso per Cassazione, con un motivo, il Ministero delle finanze e l’agenzia delle entrate.

La contribuente intimata non ha presentato difese in questa fase.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il Ministero non era stato parte nel giudizio di secondo grado, e perciò non poteva impugnare la sentenza del giudice di appello; pertanto il ricorso proposto anche da esso va dichiarato inammissibile.

Invero in tema di contenzioso tributario, una volta che l’appello avverso la sentenza della commissione provinciale era stato proposto soltanto dall’ufficio periferico dell’Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare nel diritto controverso al Ministero delle finanze nel corso del giudizio di primo grado, e la società contribuente aveva accettato il contraddittorio nei confronti del solo nuovo soggetto processuale, il relativo rapporto si svolgeva soltanto nei confronti dell’agenzia delle entrate, che ha personalità giuridica ai sensi del D.Lgs. n. 330 del 1999, e che era divenuta operativa dal 1. 1.2001 a norma del D.M. 28 dicembre 2000, senza che il dante causa Ministero delle Finanze fosse stato evocato in giudizio, l’unico soggetto legittimato a proporre ricorso per cassazione avverso la sentenza della commissione tributaria regionale allora era solamente l’agenzia delle entrate. Pertanto il ricorso proposto dal Ministero deve essere dichiarato inammissibile per difetto di legittimazione (V. pure Cass. Sentenze n. 18394 del 2004, n. 19072 del 2003).

Non conseguono statuizioni sulle spese, per mancanza di attività difensiva dell’intimata.

Col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente Agenzia delle entrate deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, ed in particolare il D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 18 convertito nella L. n. 140 del 1997, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis e D.P.R. n. 177 del 1995, art. 1 con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto la CTR non ha considerato che nel caso in esame il termine a disposizione dell’ufficio per esercitare la pretesa tributaria era inizialmente di anni cinque, ed esso decorreva dal 1993, e cioè da quello successivo rispetto al precedente, in cui R.A. aveva presentato la dichiarazione del reddito, e pertanto il termine che l’agenzia aveva per gli adempimenti di propria competenza scadeva il 31.12.2000, atteso che esso era stato prorogato già con la L. n. 413 del 1991, art. 57 e poi ancora una volta con il D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 18. Nè poteva esserci alcun ostacolo alla sommatoria di due proroghe, del resto introdotte anche nell’interesse dei contribuenti, onde facilitarne la posizione di fronte al Fisco. Del resto, posto che la società di cui la contribuente era socia aveva optato per l’accertamento con adesione, trattandosi di compagine di persone, allora tale fatto costituiva titolo per l’accertamento nei confronti di R., la quale non si era avvalsa della facoltà di aderire a quel concordato.

Preliminarmente si osserva che, pur essendosi in presenza di un reddito di partecipazione (di R.A., quale socia del “Maglificio Duerre S.a.s.”), non si versa, ad avviso del collegio, in una ipotesi di litisconsorzio necessario tra Società e Soci, secondo l’insegnamento di Cass., Sez. un., 14815/ 2008.

Il reddito della società di persone, infatti, non solo è divenuto ormai incontestabile (ai fini i.lo.r.) per la società stessa, ma addirittura “costituisce titolo per l’accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis e successive modificazioni ed integrazioni nei confronti delle persone fisiche che non hanno definito i redditi prodotti in forma associata” (del D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis introdotta dalla Legge di Conversione n. 140 del 1997). Non residua, dunque, alcuna ragione per un simultaneus processus (in ordine all’i.r.pe.f. gravante su ciascun socio) nè con la società nè con gli altri soci, come si trova implicitamente affermato in Cass., 5, 17716/2009, malgrado la contraria opinione enunciata in Cass., 5, 12318/ 2009 (e nella analoga Cass., 5, 13224/2009), che insiste sulla persistenza del litisconsorzio necessario, quanto meno fra tutti i soci. Da un lato, invero, l’unitarietà dell’accertamento – che comporta il litisconsorzio necessario originario – è superata dal comportamento degli stessi contribuenti, al punto tale che – come si è detto – “l’intervenuta definizione da parte della società (…) costituisce titolo per l’accertamento (…) nei confronti delle persone fisiche”.

Dall’altro, non controvertendosi nella specie della qualità di socio ovvero della quota a ciascuno spettante, ma, unicamente, degli effetti della definizione agevolata da parte della società su ciascun socio, ognuno di essi potrà opporre, ad una definizione che “costituisce titolo” per l’accertamento nei suoi confronti, soltanto ragioni di impugnativa specifiche e quindi di carattere personale (con evidente esclusione del litisconsorzio necessario (Cass., Sez. un., 14815/2008 citata, in motivazione).

Su tali premesse, può passarsi all’esame del ricorso della Agenzia.

Esso è fondato.

Sulla questione risolta nella sentenza impugnata – ed oggetto di puntuale censura della ricorrente Agenzia – il collegio intende dare continuità a Cass., 5, 12882/2007, nella quale si afferma (in contrasto con Cass., 5, 26375/2006) che, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora una società si sia avvalsa della definizione agevolata di cui al D.L. n. 79 del 1997, art. 9 bis, comma 18, introdotto dalla Legge di Conversione n. 140 del 1997, la proroga dei termini prevista dal comma 18, ultimo periodo della medesima disposizione riguarda esclusivamente l’accertamento del D.P.R. 600 del 1973, ex art. 41 bis nei confronti dei soci che non abbiano a loro volta definito i redditi prodotti in forma associata ed è cumulabile con quella prevista dalla L. n. 413 del 1991, art. 57 nei confronti di tutti i contribuenti, rispondendo all’esigenza di attribuire all’ufficio uno spazio di tempo sufficiente per procedere alle necessarie verifiche, nonchè per attivare le procedure di accertamento fondate sul nuovo titolo costituito dalla definizione richiesta dalla società”. La ragione dell’affermata cumulabilità, infatti, appare difficilmente contestabile, per la diversa ragione delle due proroghe, la prima dipendente dai maggiori carichi di lavoro – per gli uffici – conseguenti al condono del 1991, e, la seconda, dalla necessità – sempre per gli uffici – di verificare i riflessi della definizione agevolata del 1997, operata dalla società, sulle posizioni dei singoli soci.

La sentenza impugnata è meritevole di cassazione, per non essersi attenuta all’enunciato principio, cui può seguire, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, la decisione di merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Superata invero l’eccezione di decadenza dal potere impositivo, l’illegittimità dell’atto – secondo le restanti ragioni della originaria impugnativa – non può restare ancorata nè alla mancanza di accertamento diretto nei confronti del socio, nè ad un preteso difetto di motivazione dell’atto di imposizione, proprio perchè il “titolo” della pretesa erariale è costituito dalla stessa definizione ad opera della società, mentre, nel caso in esame, non risulta che la contribuente- socia abbia fatto valere motivi specifici di impugnativa circa l’ammontare del reddito concordato dalla società a fini i.lo.r., che potrebbero incidere – essi soltanto – sul reddito proprio, di partecipazione, soggetto ad i.r.pe.f..

Le spese dell’intero processo possono restare compensate integralmente fra le parti, perchè la giurisprudenza di cui si è fatta applicazione è successiva alla sentenza impugnata.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso del Ministero; accoglie quello dell’agenzia; cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente, e compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2010

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