Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28268 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 29/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovan – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22950-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CO.F.FI., SAS DI F.M. &.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, F.M., elettivamente

domiciliati in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte

di Cassazione rappresentati e difesa dall’avvocato SABETTA VANIA;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 473/2013 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA, depositata il 04/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29/09/2020 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

– a seguito di verifica della Guardia di Finanza relativa alle annualità 2002 – 2003 – 2004 svolta presso la Co.f.fi. S.a.s. di F.M. & C., l’Agenzia delle Entrate emetteva tre avvisi di accertamento per maggiori componenti positivi di reddito, non dichiarato dalla società; gli avvisi erano emessi anche nei confronti dell’unico socio, F.M.;

– con riguardo all’anno di imposta 2003, l’Agenzia emetteva altresì cartella di pagamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 – bis, per il recupero di IRAP non versata e del credito IVA relativo al 2002, dato che la società non aveva presentato la dichiarazione per quell’anno d’imposta;

– con distinte sentenze la C.T.P. di Rieti dichiarava inammissibili i ricorsi di F.M., in quanto tardivi, e respingeva quelli proposti dalla Co.f.fi. S.a.s.;

– sia la società, sia il socio impugnavano le decisioni;

– la C.T.R. del Lazio, riuniti gli appelli, con la sentenza n. 473/01/13 del 4/7/2013, riformava parzialmente le pronunce di primo grado: dichiarava estinto il giudizio in relazione all’annualità 2003 in seguito a condono fiscale; con statuizione espressamente estesa anche al socio, riduceva gli accertamenti relativi al 2002 e al 2004 nella misura del 33% “a titolo di riconoscimento dei costi necessari per l’attività”;

avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

– con ricorso successivo, basato su due motivi, anche la Co.f.fi. S.a.s. e F.M. hanno impugnato la medesima sentenza; la parte ha depositato memoria ex art. 380 – bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Deve essere anzitutto esaminato, stante la sua priorità logica, il terzo motivo del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, col quale si deduce la nullità del procedimento e della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, per avere la CTR omesso di rilevare la tardività (già dichiarata in primo grado) dei ricorsi del socio F. avverso gli avvisi di accertamento a lui destinati.

2. Il motivo è infondato.

Come già statuito da questa Corte in fattispecie analoga (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 17549 del 2016), secondo le “S.U. di questa Corte con la miliare sentenza n. 14815/08 (seguita dalle innumerevoli pronunce conformi), la necessità del simultaneus processus tra società di persone e soci è tale per cui: (a) “se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice deve disporne la riunione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29, se sono tutti pendenti dinanzi allo stessa Commissione… altrimenti la riunione va disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall’art. 39 c.p.c.”; (b) “se, invece, uno o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell’avviso di accertamento, o avendola ricevuto non l’abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l’integrazione del contraddittorio”. Poichè, dunque, la stessa definitività dell’atto impositivo per mancata impugnazione resta pacificamente superata dall’applicazione del principio del litisconsorzio, a maggior ragione deve restare superata l’eventuale tardività dell’impugnazione di una delle parti necessarie; diversamente, la declaratoria di inammissibilità di quel ricorso finirebbe per vanificare – come è stato nel caso di specie – il principio superiore dell’integrità del contraddittorio”.

In altri termini, la tardività del ricorso del socio F. non assume rilievo ai fini dell’inammissibilità della sua impugnazione in mancanza di integrazione del litisconsorzio con la società.

3. Col primo motivo l’Agenzia deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32,36 – bis, e 39, per avere i giudici di merito – da un lato – erroneamente ritenuto che la cartella di pagamento (per IRAP non versata e IVA relativa al 2002) comprendesse le somme iscritte a ruolo in base all’avviso di accertamento per il 2003, per il quale era stata operata la definizione fiscale ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, e – dall’altro – per avere indebitamente ridotto gli accertamenti nella misura del 33% per tener conto di costi ipoteticamente sostenuti dalla società, per giunta con motivazione apodittica, priva di specifica argomentazione o di riferimenti probatori.

4. Il motivo è inammissibile nella parte in cui la ricorrente denuncia un errore percettivo della C.T.R. che – secondo l’Agenzia, avrebbe ritenuto “coperta” da condono fiscale anche la cartella di pagamento ex art. 36 – bis, emessa nel 2003, sebbene la comunicazione dell’Ufficio riguardasse soltanto l’accertamento relativo a quell’anno; il predetto errore, infatti, non è riconducibile all’elenco dei vizi di legittimità ex art. 360 c.p.c., ma rientra, casomai, tra quelli che, in base all’art. 395 c.p.c., giustificano la revocazione della sentenza.

E’ invece fondato il rilievo riguardante la riduzione, forfettaria e genericamente motivata “a titolo di riconoscimento dei costi necessari per l’attività”, dell’ammontare dell’accertamento: infatti, “In tema di imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria deve riconoscere una deduzione in misura percentuale forfettaria dei costi di produzione soltanto in caso di accertamento induttivo “puro” D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, mentre in caso di accertamento analitico o analitico presuntivo (come in caso di indagini bancarie) è il contribuente ad avere l’onere di provare l’esistenza di costi deducibili, afferenti ai maggiori ricavi o compensi, senza che l’Ufficio possa, o debba, procedere al loro riconoscimento forfettario” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22868 del 29/09/2017, Rv. 645900-01).

5. Col secondo motivo la ricorrente prospetta un vizio della motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere la C.T.R. omesso di considerare, quali fatti decisivi e oggetto di discussione tra le parti, a) le argomentazioni dell’Agenzia sulla correttezza del recupero dell’IVA con la cartella di pagamento, b) il fatto che gli accertamenti derivavano da riscontri analitici, basati sulla documentazione contabile, inclusi gli elementi negativi del reddito.

6. Il motivo, relativamente alla censura sopra riportata sub b) resta assorbito dalla riconosciuta fondatezza (parziale) del primo motivo di ricorso. E’ invece inammissibile la censura sub a) posto che il denunciato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non individua un fatto storico ignorato dalla C.T.R. e mira a confutare l’asserzione – asseritamente frutto di errore di percezione – relativa alla definizione del debito fiscale individuato nella cartella emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 – bis.

7. Venendo al ricorso successivo, col primo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) di circolari dell’Amministrazione Finanziaria e della Guardia di Finanza e dell’art. 2729 c.c., per avere i giudici di merito posto a base dell’accertamento presunzioni semplici costituite da dati bancari dei familiari del contribuente, in mancanza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti per supportare la presunzione di maggiore imponibile.

8. Col secondo motivo, la società e il socio prospettano il vizio della motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per omesso esame di fatto decisivo e controverso costituito da una presunta simulazione dell’intestazione a terzi (familiari) dei conti bancari esaminati dalla Guardia di Finanza.

9. Entrambi i motivi sono palesemente inammissibili.

Oltre ad aver erroneamente ricondotto al vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la denunciata “violazione di circolari” (atti che hanno una valenza interna all’Amministrazione), con le loro censure i controricorrenti pretendono da questa Corte di legittimità una rivalutazione del materiale probatorio sul quale si è formato il convincimento del giudice di merito.

10. In conclusione, il ricorso di Co.f.fi. S.a.s. e F.M. è inammissibile, mentre va accolto – in parte, e limitatamente ai suindicati profili del primo motivo, assorbito il secondo motivo ed infondato il terzo – quello dell’Agenzia delle Entrate.

Di conseguenza, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

11. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

P.Q.M.

La corte:

accoglie, nei termini indicati in motivazione, il primo motivo del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, assorbito il secondo, infondato il terzo;

dichiara inammissibile il ricorso di Co.f.fi. S.a.s. e F.M.;

cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali Co.f.fi. S.a.s. e F.M., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 29 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

 

 

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