Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28267 del 06/11/2018

Cassazione civile sez. II, 06/11/2018, (ud. 18/06/2018, dep. 06/11/2018), n.28267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINO Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1762/2017 R.G., proposto da:

A.F., F.P., R.M., F.M.,

A.A., F.R., rappresentati e difesi dall’avv.

Mario Ragazzoni, con domicilio eletto in Roma, Via Frattini, n. 235.

– ricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro p.t.,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio in Roma, Via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Roma n. 1254/2016,

depositato in data 9.6.2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.6.2018 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.F., F.P., R.M., F.M., A.A. e F.R. hanno proposto, in data 23.12.2011, domanda di equo indennizzo ex L. n. 89 del 2001dinanzi alla Corte d’appello di Roma, in relazione alla durata di cinque giudizi proposti dinanzi al locale Tribunale, all’epoca ancora pendenti in cassazione, rubricati ai nn. 15332/1995, 15334/1995, 15468/1195, 15379/1995, 15484/1995.

Con successivo ricorso del 10.2.2015, i predetti ricorrenti hanno chiesto l’indennizzo in relazione all’ulteriore durata dei processi presupposti, per il periodo corrente dal 23.12.2011 al 2.7.2014, data in cui tali processi sono stati definiti.

La Corte d’appello di Perugia ha dichiarato inammissibile quest’ultimo ricorso, ma la pronuncia è stata riformata in data 23.9.2015, con prosecuzione del giudizio per la quantificazione dell’indennizzo.

All’udienza del 7.3.2016 è stata disposta la riunione dei due procedimenti e all’esito il giudice distrettuale ha ritenuto che la durata irragionevole del processo presupposto fosse paria10 anni e tre mesi per il primo ricorso, e a due anni e sette mesi anni per il secondo ricorso, liquidando per ciascuna parte, Euro 5.125,00 per il primo periodo ed Euro 1500,00 per il secondo.

Per la cassazione di questo provvedimento A.F., F.P., R.M., F.M., A.A., F.R. hanno proposto ricorso in tre motivi, illustrati con memoria, cui il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 111 Cost., art. 6, par. 1, CEDU, artt. 512 e 617 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la durata ragionevole del processo andava calcolata senza parcellizzare le varie fasi, per cui il processo presupposto doveva ritenersi di durata pari a 19 anni 5 mesi, con un’eccedenza di 13 anni e sei mesi e non di dieci anni e tre mesi rispetto a quella ragionevole.

Il motivo è infondato.

Il decreto ha considerato che le domande ex L. n. 89 del 2001 erano state proposte separatamente ed erano state successivamente riunite. Ha calcolata la durata che il processo presupposto aveva avuto al momento di proposizione di ciascun ricorso, stabilendo che, per il primo di essi (n. 7272/2011), il ritardo era pari a 10 anni e tre mesi e per il secondo (n. 133/2015) era pari a due anni e 7 mesi.

Stante l’autonomia dei due distinti giudizi, non venuta meno a seguito del provvedimento di riunione, occorreva valutare separatamente le domande poichè, alla data di deposito del primo ricorso ex L. n. 89 del 2001 il giudizio presupposto non era stato definito ed inoltre il giudice doveva tener conto delle norme sopravvenute, applicabili solo all’azione proposta in data 10.2.2015.

Difatti, ove la domanda di equa riparazione sia proposta durante la pendenza del processo presupposto, il giudice deve prendere in considerazione il solo periodo intercorrente tra il suo promovimento e la proposizione del ricorso ex L. n. 89 del 2001, fatta salva la possibilità di proporre un ulteriore ricorso per il ritardo successivo, che deve essere autonomamente valutato (Cass. 2017/23982; Cass. 14980/2015; Cass. 13712/2014; Cass. 15974/2013).

2. Il secondo motivo censura la violazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2 bis, artt. 2056,1223 e 1226 c.c., artt. 3 e 111 Cost., art. 6, par. 1, CEDU, art. 11 preleggi e D.Lgs. n. 83 del 2012, art. 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il decreto, nel quantificare l’indennizzo, applicato i criteri contemplati dall’art. 2, comma 2 bis, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, non tenendo conto che, ai sensi dell’art. 55, comma secondo, del suddetto decreto, la norma era applicabile solo ai ricorsi depositati dopo l’11.9.2012, mentre il primo ricorso, proposto il 23.11.2011, soggiaceva alle precedenti previsioni. Inoltre l’indennizzo per ciascun anno di ritardo è stato fissato in un importo (Euro 500,00) inferiore a quello indicato come congruo dalla giurisprudenza comunitaria e da quella di legittimità, dando rilievo alla soccombenza nel giudizio presupposto, senza considerare la portata e la natura degli interessi in gioco e il progressivo aggravarsi del danno a causa del protrarsi del ritardo.

Il motivo è infondato, anzitutto perchè il giudice distrettuale ha chiaramente distinto le norme applicabili ratione temporis al procedimento n. 133/15, da quelle – vigenti anteriormente all’entrata in vigore delle modifiche adottate con D.L. n. 83 del 2012, regolanti il procedimento n. 7272/2011.

Nel regime anteriore, nei quali si affermava che la quantificazione del danno non patrimoniale dovesse essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per i primi tre anni di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata, e salire per il periodo successivo ad Euro 1.000,00, era fatta salva la possibilità di eventuali scostamenti, in senso sia migliorativo che peggiorativo, dai parametri indennitari fissati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, non legittimandosi unicamente il riconoscimento di un importo irragionevolmente inferiore a quello risultante dall’applicazione dei predetti criteri, dal momento che solo la liquidazione di un indennizzo poco più che simbolico o comunque manifestamente inadeguato contrasterebbe con l’esigenza di assicurare un serio ristoro al pregiudizio subito dalla parte per effetto della violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione (Cass. 12937/2012; Cass. 17404/2009).

L’importo di Euro 500,00 per anno di ritardo è stato ritenuto, di per sè, non irragionevole o inidoneo ad assicurare un adeguato ristoro alla parte lesa in base alle indicazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU (Cass. 22772/2014; Cass. 14974/2015) e è stato ritenuto conforme al dettato costituzionale (Cass. 22772/2014, Cass. 14974/2015).

2.1. Quanto al fatto che il decreto non abbia tenuto conto del progressivo aggravarsi del danno in rapporto al protrarsi del ritardo, va ribadito che compete al giudice la scelta del moltiplicatore annuo da adoperare per la liquidazione dell’indennizzo e che, comunque, il solo ritardo nella definizione del giudizio non giustifica, da solo, un incremento automatico dell’indennizzo in mancanza delle indispensabili allegazioni riferibili allo specifico sviluppo del processo e agli interessi coinvolti.

Non sussiste infine la lamentata carenza di motivazione quanto ai criteri impiegati per la liquidazione: per il decreto che provvede sulla domanda di equa riparazione è richiesta, per esigenze di concisione e speditezza, una motivazione anche soltanto in forma sintetica, avendo il giudice assolto, nello specifico, all’obbligo di motivazione mediante l’indicazione dei criteri utilizzati, come risultanti dalla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (Cass. 18118/2015; Cass. 1600/2003).

3. Il terzo motivo censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., L. n. 247 del 2012, art. 13,D.M. n. 55 del 2014, artt. 2, 4 e 11 e art. 6 CEDU, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito liquidato le spese processuali in violazione dei minimi della tabella dei compensi e senza tener conto della difesa di più parti, omettendo di provvedere sul rimborso delle spese esenti e non apprezzando correttamente la complessa attività svolta dal difensore.

Il motivo è fondato.

La Corte di appello ha liquidato a titolo di indennizzo Euro 5125,00 per il primo ricorso ed Euro 1500,00 per il secondo ricorso in favore di ciascun ricorrente ed ha quantificato le spese legali per entrambi i giudizi riuniti in Euro 900,00 complessivi, oltre accessori, ma senza tener conto delle spese esenti e delle maggiorazioni spettanti per l’ipotesi in cui il difensore eserciti il patrocinio per più parti aventi la medesima posizione processuale (D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 2), ed attribuendo – a titolo di compenso – importi inferiori a quelli risultanti dall’applicazione della massima riduzione prevista i parametri medi di cui al comma primo del citato art. 4.

Questa Corte ha però stabilito che, nel vigore del D.M. n. 55 del 2014 (e a differenza del regime del D.M. n. 140 del 2012, il cui art. 1, comma 7 dispone che in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa), il giudice è tenuto liquidare a titolo di compenso somme non superiori al massimo e non inferiori al minimo previsto dai parametri, poichè il citato decreto contiene disposizioni speciali e sopravvenute rispetto a quelle del D.M. n. 140 del 2012, direttamente volte a regolare la materia delle spese processuali e non i rapporti tra l’avvocato ed il cliente (cfr. Cass. 1018/2018).

Sono quindi respinti il primo ed il secondo motivo di ricorso ed è accolto il terzo.

Il provvedimento impugnato è cassato in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo, cassa il provvedimento impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Perugia anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

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