Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28264 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4721-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, 2020

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

CHIABOTTO SRL;

– intimato, –

avverso la sentenza n. 2/2012 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 20/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Nell’anno 2008 l’Agenzia delle entrate aveva notificato alla Chiabotto s.r.l. avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2005, riprendendo a tassazione Euro 99.000,00 e così rideterminando il reddito della società ai fini Ires ed Irap. L’atto impositivo era scaturito dalla emersione di un contratto di appalto intervenuto nel 2005 tra la Chiabotto s.r.l., appaltatrice, e la Pedro s.r.l., committente, avente ad oggetto la realizzazione di strutture in cemento armato, manto di copertura e pavimentazione di un edificio. Le opere erano state a loro volta subappaltate alla Chiabotto Opere s.r.l. Trattandosi di un’opera unitaria ad esecuzione ultrannuale, e non risultando inoltrata al competente ufficio finanziario la richiesta di autorizzazione a valutare le rimanenze finali dell’appalto al costo sostenuto per la loro realizzazione (secondo quanto previsto dal D.P.R. 2 ottobre 1986, art. 93, comma 5 – comma all’epoca vigente -), le rimanenze dovevano essere valorizzate sulla base dei corrispettivi pattuiti o liquidati per stati di avanzamento (secondo la prescrizione, ancora vigente, del citato art. 93, commi 1-4). Esse risultavano invece contabilizzate nella misura di Euro 450.000,00, cioè al costo, e non al corrispettivo, determinato dall’Amministrazione finanziaria in Euro 549.000,00, sulla base della percentuale di ricarico (22%) ricavata dalla differenza tra il prezzo delle opere appaltate (Euro 1.080.000,00) e quello concordato per il loro subappalto (Euro 885,000,00).

Avverso l’avviso di accertamento la contribuente era ricorsa alla Commissione tributaria provinciale di Torino, sostenendo l’erroneità e l’infondatezza della pretesa dell’Agenzia delle entrate, perchè le somme iscritte a bilancio, sia quelle riscosse dalla Pedro s.r.l., sia quelle versate alla Chiabotto Opere s.r.l., erano poste meramente patrimoniali, rispettivamente di credito (nei confronti della subappaltatrice) e di debito (nei riguardi della stazione appaltante), in quanto prescindevano del tutto dallo stato di avanzamento dei lavori. Ciò, sempre secondo la difesa della contribuente, era comprovato dalla circostanza che l’importo dei corrispettivi era stato dichiarato nella sua interezza tra i corrispettivi dell’anno 2006, sicchè la ripresa a tassazione di una parte di essi, quali rimanenze del 2005, avrebbe comportato una doppia imposizione.

Con sentenza n. 98/10/2009 la Commissione provinciale accolse il ricorso della società. Il successivo giudizio introdotto dall’Ufficio finanziario dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Piemonte fu rigettato con la decisione ora al vaglio della Corte.

L’Agenzia delle entrate ha censurato la sentenza con tre motivi.

Con il primo per omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè, a fronte della contestazione elevata dall’Amministrazione sull’errata contabilizzazione delle rimanenze, il giudice d’appello aveva accolto la tesi della società, ritenendo gli importi iscritti estranei alle rimanenze, ma ciò con argomentazioni inconferenti e del tutto svincolate da ogni considerazione sull’effettivo stato di avanzamento dei lavori nell’anno 2005;

con il secondo per omessa o insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè, nonostante la questione posta dall’Ufficio fosse incentrata sulla esistenza di rimanenze finali iscritte nel bilancio 2005 e sul conseguente obbligo di contabilizzazione del complessivo corrispettivo, che per previsione normativa doveva comprendere anche l’importo di Euro 99.000,00 e non solo i costi, il giudice d’appello non aveva esaminato alcuno degli elementi, pur addotti dall’Ufficio, per accertare la natura delle somme iscritte, riconoscendone invece natura puramente finanziaria;

con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, del D.P.R. 22 ottobre 1986, n. 917, artt. 163 e 109, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver affermato che una diversa interpretazione della natura degli importi iscritti avrebbe implicato una doppia imposizione per una parte del reddito dichiarato, senza tener conto che le regole d’imputazione degli elementi di reddito sono inderogabili e che in ogni caso ciò non implicava alcuna doppia imposizione, potendo la contribuente sempre proporre istanza di rimborso di quanto pagato in eccesso.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione.

La società, cui risulta ritualmente notificato il ricorso, non ha inteso costituirsi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I primi due motivi, che possono essere trattati unitariamente perchè connessi, sono inammissibili per come formulati. Con essi la ricorrente ha censurato la pronuncia impugnata, sotto il profilo del vizio di motivazione, lamentando l’omissione o l’incongruenza delle ragioni addotte dal giudice d’appello. In particolare ha denunciato un ragionamento omissivo o incongruo della Commissione regionale laddove ha attribuito natura di “finanziamento” al versamento di Euro 450.000,00, riportato in bilancio ed eseguito dalla società contribuente alla subappaltatrice. In tal modo sarebbe stata negata la riconducibilità di quell’importo tra le rimanenze del 2005, con conseguente erronea determinazione del reddito, che diversamente sarebbe stato correttamente quantificato in Euro 549.000,00. Tale omissione o incongruità sarebbe rintracciabile, nella prospettazione della ricorrente, nell’aver trascurato gli elementi addotti dall’Agenzia, ossia che i pagamenti eseguiti dalla Chiabotto srl in favore della Chiabotto Opere s.r.l. dovevano porsi necessariamente in relazione agli stati di avanzamento dell’opera appaltata dalla committente, che era irrilevante come il primo pagamento fosse stato eseguito il giorno dopo la stipula del contratto, escludendosi pertanto qualunque relazione con gli stati di avanzamento dei lavori, che era irrilevante che la stazione appaltante Pedro s.r.l. avesse corrisposto alla appaltatrice Chiabotto s.r.l. Euro 632.000,00, importo superiore e comunque distinto da quanto la stessa Agenzia aveva inteso determinare sulla base del calcolo dei costi incrementati dalla percentuale di ricarico.

A parte che i cd. “fatti” allegati dall’Agenzia a supporto della ricostruzione delle pretese rimanenze non sono propriamente dei fatti ma deduzioni ed interpretazioni della natura giuridica e fiscale degli importi riportati in bilancio dalla contribuente, il ragionamento seguito dalla Commissione regionale, astrattamente non privo di logica, si è limitato a formulare alcune osservazioni per escludere il rapporto tra versamenti e stati di avanzamento dei lavori, concludendo che quegli importi non rispondessero a rimanenze, bensì avessero finalità “finanziarie”, estranee dunque alle prescrizioni fiscali previste dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 93. A fronte del ragionamento seguito dal giudice d’appello, convincente o meno che sia, l’Agenzia pretende ora una rivalutazione delle proprie considerazioni e ricostruzioni, che implicherebbe un riesame degli indici da essa valorizzati, senza tuttavia avvedersi che tale tipo di rivalutazione di merito è inibito in sede di legittimità.

Se invece, evidenziando quegli indici, la ricorrente voleva affermare l’obbligo della contribuente, a fronte di un’opera ad oggetto unitario e con tempo di esecuzione ultrannuale, di riportare comunque in bilancio le rimanenze, disciplinate dal citato art. 93, occorreva denunciare un errore di diritto della decisione, non un vizio motivazionale.

Dalla inammissibilità dei primi due motivi consegue l’irrilevanza del terzo, con il quale l’Agenzia ha censurato la decisione anche sotto il profilo dell’ulteriore osservazione del giudice d’appello, secondo il quale la pretesa fiscale avrebbe implicato una doppia imposizione di una parte dei ricavi.

Nulla va disposto in ordine alle spese, non essendosi costituita la società.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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