Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28262 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 9531/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

EUROITALIA SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Andrea Russo,

elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Castro

Pretorio, n. 122;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia, sezione n. 36, n. 28/36/12, pronunciata il 19/12/2011,

depositata il 13/02/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 settembre

2020 dal Consigliere Riccardo Guida.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Euroitalia Srl impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano l’avviso di accertamento, ai fini IRES, IRAP, per il periodo d’imposta 2005, che recuperava a tassazione, per quanto tuttora rileva, la deduzione dall’imponibile, per Euro 1.104.455,92, della svalutazione integrale della partecipazione nella statunitense Versace Profumi Usa Ltd., interamente posseduta dalla contribuente, trattandosi di minusvalenza indeducibile, ai sensi del t.u.i.r., artt. 101 e 87, nonchè i costi per l’acquisto di merci importate da Hong Kong, che erano state imbarcate, con clausola FOB (free on board) nelle date 05/12/2004 e 29/12/2004, sicchè l’A.F. li aveva ritenuti di competenza dell’esercizio 2004, e non del 2005, nel quale erano stati dedotti;

2. la CTP (con sentenza n. 35/16/2010) rigettò il ricorso, con decisione che, sull’appello della contribuente, per quanto attiene alle due riprese sopra illustrate, è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza indicata in epigrafe, sulla base delle seguenti considerazioni: (a) con riferimento alla svalutazione della partecipazione nella Versace Profumi Usa Ltd., in seguito alla liquidazione e alla cessazione della società statunitense per l’azzeramento del capitale, dovuto alle ingenti perdite (non coperte dai soci), la contribuente aveva azzerato il valore della partecipazione a causa della perdita del capitale investito; (b) risultava dagli atti che la società partecipata avesse, nel corso degli anni, diminuito il patrimonio a causa di vistose perdite, senza però procedere alla riduzione del capitale sociale che, quindi, era rimasto invariato, il che aveva impedito alla contribuente di svalutare, nel tempo, la propria partecipazione, azzeratasi quando l’ente partecipato aveva cessato di operare, e tale ragione giustificava la registrazione del costo tra i componenti negativi del reddito, quale scelta insindacabile dell’imprenditore, come affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità; (c) con riferimento alla merce imbarcata nel porto di Hong Kong, nelle date 5 e 29/12/2004, consegnata alla contribuente nel gennaio 2005: “L’Ufficio sostiene che le spese di acquisizione di beni mobili si considerano sostenute alla data di consegna o spedizione del bene. Poichè la spedizione è avvenuta con clausola di trasporto free on board, con la quale i rischi si trasferiscono dal venditore al compratore col superamento della merce della murata della nave, tale costo doveva essere contabilizzato nel 2004 e non alla data del ricevimento. Sennonchè un tale ragionamento non considera che comunque nel caso di specie le giacenze finali di magazzino 2004 andavano rettificate in aumento di tale merce, e di conseguenza quelle iniziali del 2005, e ciò non avrebbe determinato alcuna variazione del reddito imponibile ai fini fiscali. Quindi appare del tutto evidente che non vi è stato alcun reale danno per l’Erario.” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata);

3. l’Agenzia ricorre per la cassazione, con due motivi; la società resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

a. preliminarmente, al contrario di quanto eccepito dalla controricorrente, il ricorso è tempestivo, tenuto conto dell’applicabilità, ratione temporis: (1) del termine lungo annuale di cui all’art. 327 c.p.c., con decorrenza dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello (13/02/2012); (2) della sospensione feriale, ossia dal 1/08/2012 al 15/09/2012; (3) della conseguente scadenza del termine, computato in applicazione dei predetti criteri legali, il giorno domenica 31/03/2013 (Pasqua); (4) della proroga legale, ex art. 155 c.p.c., comma 4, fino a martedì 02/04/2013, giorno in cui l’Ufficio, come è incontestato e documentato, ha spedito per la notifica l’impugnazione per la quale si procede;

1. con il primo motivo del ricorso (“1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, u.p., del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 101, commi 1, 4 e 5, art. 86, comma 1, art. 92, comma 5, art. 94, commi 1 e 4; dell’art. 2426 c.c., n. 3, e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per non avere tenuto conto che la liquidazione di una società partecipata costituente immobilizzazione (nel caso all’esame la partecipazione nella statunitense Versace Profumi Usa Ltd.), all’esito della quale la partecipante ricavi un valore inferiore a quello di iscrizione della partecipazione (nella specie, a fronte di un valore della partecipazione di Euro 1.342.423,00, iscritto nel bilancio 2004, vi è stata una perdita di Euro 1.104.455,92), costituisce una minusvalenza su partecipazioni, non deducibile ai sensi dell’art. 101 t.u.i.r., comma 1, e che tale riduzione di valore non può essere riconosciuta neppure ove la si qualifichi come perdita o svalutazione di partecipazione (e non come minusvalenza), in quanto una simile facoltà è impedita dal medesimo art., comma 5 (che esclude le perdite sulle partecipazioni considerate dal comma 1 dal novero delle perdite deducibili) e dal combinato disposto dell’art. 94 t.u.i.r., commi 1 e 4, e dell’art. 92 t.u.i.r., comma 5, i quali negano, in generale, la possibilità di operare, agli effetti fiscali, svalutazioni azionarie, e non sarebbe possibile nemmeno qualificando l’evento come sopravvenienza passiva, in quanto l’art. 101 t.u.i.r., comma 4, esclude dalle sopravvenienze passive deducibili quelle aventi per oggetto le partecipazioni considerate dal comma 1;

ascrive alla CTR di non avere considerato che, sul piano fiscale, l’ipotetica correttezza della svalutazione della partecipazione dal punto di vista civilistico è irrilevante, ferma la considerazione che, nella fattispecie, anche ponendosi nell’ottica civilistica, la svalutazione della partecipazione, nel bilancio 2005, non era corretta in quanto la perdita di valore della partecipazione, rispetto al prezzo di acquisto, era maturata a partire dal 2000, onde, ai sensi dell’art. 2426 c.c., n. 3, la partecipazione avrebbe dovuto essere svalutata prima del 2005, con la precisazione – illustrata dall’Ufficio in via subordinata rispetto alla sua tesi principale – che la contribuente, gravata del relativo onere probatorio, non aveva dimostrato nè di avere valutato la partecipazione con il metodo del patrimonio netto (art. 2626 c.c., n. 4), nè che la svalutazione della partecipazione, anteriormente al 2005, le era stata impedita perchè la controllata statunitense non aveva ridotto il capitale sociale (e, quindi, il patrimonio netto);

1.1. il motivo è fondato nei termini appresso precisati;

1.1.1. è utile comporre, nei seguenti termini, il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento:

(i) l’art. 87 t.u.i.r., comma 1, prevede che: “Non concorrono alla formazione del reddito imponibile in quanto esenti nella misura del 95 per cento le plusvalenze realizzate e determinate ai sensi dell’art. 86, commi 1, 2 e 3, relativamente ad azioni o quote di partecipazioni in società ed enti indicati nell’art. 5, escluse le società semplici e gli enti alle stesse equiparate, e nell’art. 73, comprese quelle non rappresentate da titoli, con i seguenti requisiti: a) ininterrotto possesso dal primo giorno del dodicesimo mese precedente quello dell’avvenuta cessione (..); b) classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; c) residenza fiscale della società partecipata in uno Stato o territorio diversi da quelli a regime fiscale privilegiato (…); d) esercizio da parte della società partecipata di un’impresa commerciale secondo la definizione di cui all’art. 55.”;

(ii) questa disposizione è richiamata dall’art. 101 t.u.i.r., comma 1, che stabilisce che: “Le minusvalenze dei beni relativi all’impresa, diversi da quelli indicati nell’art. 85, comma 1, e nell’art. 87, determinate con gli stessi criteri stabiliti per la determinazione delle plusvalenze, sono deducibili se sono realizzate ai sensi dell’art. 86 comma 1, lett. a) e b), e comma 2.”;

(iii), al riguardo, come ha già avuto modo di notare questa Sezione tributaria (Cass. 25/09/2019, n. 23863): “è evidente, in base al contenuto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 101, comma 1, che, solo nel caso in cui non si sia in presenza di operazioni connotate da plusvalenze esenti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 87, (pex-participation exemption), è possibile la deducibilità delle minusvalenze. Al contrario, ove sussistano tutti i requisiti per la pex D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 87, comma 1, (ininterrotto possesso delle azioni o delle quote; classificazione nella categoria delle immobilizzazioni finanziarie nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso; residenza fiscale della società partecipata in uno Stato diverso da quelli di cui alla black list; esercizio da parte della società partecipata di una impresa commerciale) le plusvalenze non sono tassabili e, allo stesso modo, le minusvalenze non sono deducibili.”;

1.1.2. svolta questa premessa, tornando al motivo del ricorso, la CTR ha commesso l’errore di diritto prospettato dall’Agenzia in quanto si è limitata ad affermare che, dal punto di vista dei criteri di redazione del bilancio fissati dal codice civile, la succitata svalutazione della partecipazione azionaria era stata correttamente appostata tra i componenti negativi del reddito;

in tal modo, però, il giudice d’appello non ha colto il profilo fiscale della questione, da vagliare alla luce del principio di diritto, per il quale: “ai sensi dell’art. 101 t.u.i.r., comma 1, soltanto nel caso in cui non si tratti di operazioni connotate da plusvalenze esenti ex art. 87 t.u.i.r., comma 1, (pex-participation exemption), è possibile la deducibilità delle minusvalenze. Al contrario, se ricorrono le quattro condizioni indicate da tale norma (prima iscrizione nelle immobilizzazioni finanziarie, ininterrotto possesso della azioni o quote da almeno 12 mesi interi, esercizio da parte della partecipata di un’impresa commerciale e sua residenza fiscale extra black list), ove la dismissione delle partecipazioni dia luogo a minusvalenze, queste ultime non sono deducibili.”;

1.1.3. è pur vero che, come sostiene la difesa della società nell’ultima memoria deposita in atti – che richiama, al riguardo, Cass. 13/12/2018, n. 32268 -, per tenere conto dell’impatto delle novità costituite dall’irrilevanza fiscale delle plusvalenze realizzate sulle partecipazioni, il D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 4, comma 1, (emanato in base alla delega al Governo per la riforma del sistema fiscale statale di cui alla L. Delega 7 aprile 2003, n. 80, art. 4, il quale ha dato attuazione ad una parte consistente del processo di revisione dell’imposizione diretta, con riferimento ai redditi prodotti dalle società ed enti ad esse assimilati, e ha radicalmente innovato l’assetto impositivo che opera in relazione alle plusvalenze e minusvalenze da partecipazioni societarie), reca alcune disposizioni transitorie riguardanti il regime della participation exemption per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2003;

in dettaglio, il citato art. 4, intitolato “Disposizioni transitorie ed entrata in vigore”, nel prevedere l’entrata in vigore dello stesso decreto in data 1 gennaio 2004, alla lett. c), ha stabilito che, tuttavia, non rientrano nell’esenzione di cui al testo unico delle imposte sui redditi, artt. 87 e 58, le plusvalenze relative alle azioni e alle quote realizzate entro il secondo periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2003, fino alla concorrenza delle svalutazioni dedotte nello stesso periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente e, corrispondentemente, alla lett. d), le svalutazioni delle stesse azioni o quote di cui al periodo precedente, riprese a tassazione nel periodo in corso al 31 dicembre 2003 e nel precedente sono deducibili se realizzate entro il secondo periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2003;

già il surrichiamato precedente di questa Sezione tributaria (Cass. n. 32268/2018, cit.), si era preoccupato di rimarcare che il presupposto per l’applicazione del regime transitorio, come chiarito dalla prassi, risiede nell’effettuazione, nei due periodi d’imposta precedenti all’entrata in vigore della riforma, di una svalutazione risultata indeducibile fiscalmente, a prescindere dalle specifiche ragioni per le quali la svalutazione non aveva potuto essere dedotta;

tornando alla fattispecie all’esame, da queste premesse giuridiche si evince che non è applicabile il descritto regime transitorio in quanto, come si è appena affermato, la deducibilità della svalutazione realizzata nel biennio successivo all’entrata in vigore della nuova normativa (periodi d’imposta 2004 e 2005) è subordinata al fatto che la medesima svalutazione sia stata effettuata nel biennio precedente all’entrata in vigore della novella (anni 2003 e 2002); il che, nel caso di specie, non è avvenuto, come risulta univocamente dalla sentenza impugnata, nella quale si afferma che la società statunitense partecipata dalla contribuente, nel corso degli anni, aveva diminuito il proprio patrimonio a causa d’ingenti perdite, senza però “svalutare” il capitale sociale, che era rimasto invariato, ciò che, di fatto, aveva impedito alla contribuente di svalutare la propria partecipazione, azzeratasi quando la partecipata estera aveva cessato la propria attività (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata);

1.1.4. l’accoglimento di tale censura appare assorbente rispetto alle altre critiche enucleate nel medesimo motivo di ricorso;

2. con il secondo motivo (“2. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 7 e 92, art. 109, commi 1 e 2, lett. a), in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”), l’Agenzia censura la sentenza impugnata per avere trascurato che l’impresa non è libera di omettere l’iscrizione dell’acquisto della merce tra le rimanenze dell’esercizio per il solo fatto che non prevede di venderla in quello stesso esercizio, e così di rinviare la rilevanza reddituale della stessa merce all’esercizio in cui riterrà di venderla (che potrebbe anche non essere l’esercizio successivo), poichè così facendo diviene impossibile verificare esattamente l’entità delle variazioni delle rimanenze di fine esercizio ed il loro concorso alla determinazione dell’imponibile;

rileva, inoltre, che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, lo spostamento di una merce da un esercizio all’altro, ai fini della deduzione del relativo costo, non è mai indifferente sul piano reddituale, neppure nel caso in cui sia certo che, nell’esercizio di acquisto, quella merce non avrebbe influito sull’imponibile perchè sarebbe confluita tra le rimanenze;

2.1. il motivo è fondato;

costituisce ius receptum (Cass. 24/01/2013, n. 1648, conf.: 06/09/2017, n. 20805) quello secondo cui: “In tema di reddito d’impresa, non è consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza, neppure al dichiarato fine di bilanciare componenti attivi e passivi del reddito e pur in assenza della configurabilità di un danno per l’erario, atteso che le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, dettate in via generale dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75, sono vincolanti sia per il contribuente che per l’erario e, per la loro inderogabilità, non richiedono nè legittimano un qualche giudizio sull’esistenza o meno di un danno erariale, per modo che appare decisamente irrilevante l’eventuale (anche effettiva) insussistenza dello stesso nel caso concreto.”;

la Sezione tributaria di questa Corte (Cass. 03/10/2018, n. 24006) ha anche chiarito che: “In tema di reddito d’impresa, la violazione della regola di imputazione temporale dei componenti negativi del reddito, stabilita dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora art. 109), non costituisce una violazione meramente formale (…) perchè l’imputazione ad un determinato periodo di imposta di costi ad esso estranei (in quando riferibili ad altro periodo), incide sulla determinazione del reddito di impresa, indebitamente ridotto attraverso la contabilizzazione di componenti negativi non riferibili all’anno di imposta in cui sono stati registrati.”;

nella fattispecie concreta, nella quale si fa questione dell’acquisto di una partita di merce imbarcata ad Hong Kong, nel 2004, e pervenuta a destinazione, nel 2005, non vi è dubbio che corretto criterio d’imputazione temporale sarebbe stato quello correlato alla data di spedizione del bene, in virtù della clausola di trasporto F.O.B. (free on board/franco a bordo), sicchè il detto componente negativo doveva essere contabilizzato necessariamente nel 2004, anzichè nell’esercizio successivo, secondo quanto ha invece ritenuto, errando, la CTR, che si è così discostata dal consueto indirizzo nomofilattico (Cass. 12/07/2018, n. 18401), per il quale: “In tema di reddito d’impresa, il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, (numerazione anteriore a quella introdotta dal D.Lgs. n. 344 del 2003), nel prevedere che i ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza e che, ai fini dell’individuazione di tale esercizio, le spese di acquisizione dei beni mobili si considerano sostenute alla data della consegna o spedizione, non consente di attribuire rilievo alla data in cui perviene la fattura della spesa sostenuta, nè permette la detrazione dei costi in esercizi diversi da quello di competenza, non potendo il contribuente essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passività, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anzichè ad un altro può, in astratto, comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi.”;

3. in conclusione, accolti entrambi i motivi del ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria della Lombardia, in diversa composizione, alla quale è demandato di riesaminare l’intera vicenda tributaria, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati;

la CTR dovrà anche valutare, ove ne ricorrano i presupposti, se debba applicarsi o meno lo ius superveniens introdotto dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, in punto di regime sanzionatorio, come richiesto dalla contribuente nella succitata memoria depositata per l’adunanza camerale; infine, è rimessa al giudice del rinvio anche la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

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