Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2826 del 06/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 06/02/2020, (ud. 21/11/2019, dep. 06/02/2020), n.2826

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20796-2013 proposto da:

C.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91,

presso lo studio dell’avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato LUPI RAFFAELLO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

E da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliatoin ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente incidentale –

contro

C.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 20/2013 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 15/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/11/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.

Fatto

RITENUTO

Che

C.E. propone ricorso per la cassazione della sentenza n. 20/22/2013, depositata il 15.02.2013 dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia, la quale, confermando la decisione del giudice provinciale, ha accolto parzialmente l’opposizione della contribuente a quattro avvisi di accertamento, relativi agli anni d’imposta 2004, 2005, 2006 e 2007.

Ha riferito che a seguitò di verifiche D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 38 comma 4, le erano notificati gli avvisi di accertamento fondati sul riscontro di incrementi patrimoniali e di spese per consumi, rideterminando sinteticamente il suo reddito, con conseguente accertamento di maggiori imposte ai fini Irpef e addizionali comunali, oltre che sanzioni ed interessi.

Contestando gli esiti dell’accertamento, la C. aveva introdotto il contenzioso, definitosi dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano con la sentenza n. 357/12/11 di accoglimento parziale delle sue ragioni. La pronuncia era stata impugnata dinanzi alla Commissione tributaria regionale da entrambe le parti, ognuna per quanto soccombente. Il giudice regionale, con la sentenza ora al vaglio della Corte, aveva confermato la sentenza di primo grado. In sintesi i giudici di merito avevano riconosciuto la disponibilità di capitali, provenienti dalla vendita di immobili, e un minor impegno di spesa della contribuente, disconoscendo invece le ulteriori ragioni allegate dalla C. a sostegno del ricorso. Avevano pertanto demandato alla Amministrazione finanziaria la rideterminazione dei redditi degli anni d’imposta oggetto di accertamento.

La ricorrente censura la sentenza della Commissione tributaria regionale lombarda con quattro motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, commi 4, 5 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non avere riconosciuto valore di presunzione “semplice” agli elementi di spesa rilevati dalla Agenzia nei periodi di imposta, e di contro non aver attribuito validità alle contro-presunzioni allegate dalla contribuente;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, degli artt. 42 e 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per non aver riconosciuto la carenza di motivazione degli atti impositivi in ordine allo scostamento tra reddito dichiarato e reddito accertato per un biennio;

con il terzo per violazibne e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 42 e 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver erroneamente disatteso l’eccepita nullità degli avvisi di accertamento per carenza del contraddittorio endoprocedimentale;

con il quarto per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oltre che per mancata esposizione delle ragioni per le quali erano state disattese le argomentazioni probatorie della ricorrente.

Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione. L’Amministrazione si è costituita, contestando i motivi dell’avverso ricorso, di cui ha chiesto il rigetto, e proponendo a sua volta ricorso incidentale con tre motivi:

con il primo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, , nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver erroneamente giustificato parte delle spese poste a fondamento del reddito sinteticamente accertato con un disinvestimento -vendita della unità abitativa in (OMISSIS) – avvenuto oltre il quinquennio dalle annualità accertate;

con il secondo per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, , nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver considerato che dell’immobile alienato in Senigallia, quale disinvestimento giustificativo di parte delle spese su cui era fondato l’accertamento sintetico, la contribuente era solo contitolare del diritto di usufrutto, senza che vi fosse prova della percezione dell’intero prezzo di cessione e comunque di risultanze bancarie a conferma della disponibilità economica;

con il terzo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per assenza di prova che i corrispettivi dei disinvestimenti fossero stati impiegati nei successivi investimenti, indici di spesa posti a fondamento dell’accertamento sintetico.

Ha chiesto dunque l’accoglimento del ricorso incidentale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

il primo motivo, con il quale la contribuente si duole in sintesi della inosservanza delle regole di distribuzione dell’onere probatorio, è infondato.

A parte che nel motivo si sovrappongono, senza specifica partizione, il richiamo all’error iuris in iudicando e al vizio motivazionale, la denuncia della ingiustificata valorizzazione delle presunzioni semplici addotte dalla Agenzia a sostegno degli atti immitivi, a fronte della svalutazione delle “contro-presunzioni” allegate dalla contribuente, non trova fondamento.

Sotto il profilo dell’errore di diritto, lamentando in concreto la contribuente un malgoverno delle regole sulle prove presuntive, va affermato che la giurisprudenza di legittimità ha tracciato il corretto procedimento logico che il giudice di merito deve seguire nella valutazione degli indizi, in particolare affermando che la gravità, precisione e concordanza richiesti dalla legge vanno ricavati dal loro complessivo esame, in un giudizio globale e non atomistico di essi (ciascuno dei quali può essere insufficiente), ancorchè preceduto dalla considerazione di ognuno per individuare quelli significativi, perchè è necessaria la loro collocazione in un contesto articolato, nel quale un indizio rafforza e ad un tempo trae vigore dall’altro in vicendevole completamento (tra le più recenti cfr. Cass., sent. n. 12002/2017; Cass., ord. n. 5374/2017). Ciò che rileva, in base a deduzioni logiche di ragionevole probabilità, non necessariamente certe, è che dalla valutazione complessiva emerga la sufficienza degli indizi a supportare la presunzione semplice di fondatezza della pretesa, salvo l’ampio diritto del contribuente a fornire la prova contraria.

Quanto alla prova in tema di accertamento sintetico, si è affermato che ai sensi dell’art. 38, comma 4, cit. (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), una volta che l’Amministrazione abbia dimostrato, anche mediante un unico elemento certo, la divergenza tra il reddito risultante attraverso la determinazione analitica e quello attribuibile al contribuente, quest’ultimo è onerato della prova che l’imponibile così accertato è costituito, in tutto o in parte, da redditi soggetti a ritenute alla fonte o esenti ovvero da finanziamenti di terzi (Cass., 13602/2018). E d’altronde, sempre con riguardo alla formulazione dell’art. 38 vigente ratione temporis, si è anche evidenziato che, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata derivi dalla percezione di ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine sia alla disponibilità di detti redditi che all’entità degli stessi ed alla durata del possesso, sicchè, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass., 1510/2017).

Ebbene, per verificare se la motivazione della decisone sia coerente con i suddetti principi, è necessario evidenziare che l’accertamento sintetico trova origine nella capacità di spesa rivelata della contribuente, che in particolare per gli anni di verifica è risultata acquirente di una imbarcazione da diporto di circa 10 mt, di una unità immobiliare in Milano del valore di 600.000,00 Euro, di una autovettura del valore di circa 100.00,00 Euro (sebbene con decurtazione dell’importo di Euro 59.000,00, pari al valore dell’autovettura permutata); inoltre ha sopportato ulteriori spese per la locazione di un immobile di 100 mq in Milano per Euro 21.000,00 annuali, nonchè per la disponibilità di una collaboratrice domestica con contratto per 1.296 ore di lavoro annuali.

A fronte del reddito sinteticamente calcolato dall’Amministrazione finanziaria sulla base di tali dati, il giudice d’appello ha ritenuto di dover riconoscere alcuni elementi, allegati dalla contribuente, a giustificazione della spesa, e idonei dunque a ridurre le pretese fiscali dell’Agenzia.

In particolare ha riconosciuto che la C., in epoca anteriore e prossima agli anni sottoposti a verifica, aveva alienato una abitazione in (OMISSIS) ed una unità immobiliare in Senigallia, di cui era co-usufruttuaria. Ha anche riconosciuto una riduzione delle spese perchè il coniuge, ancora in vita in quegli anni, aveva potuto partecipare ai costi di locazione ed a quelli relativi alla assunzione di una colf. Non ha invece ritenuto di valorizzare le altre giustificazioni allegate dalla contribuente, ossia, principalmente, che sia l’imbarcazione, sia l’autovettura, sia l’appartamento in Milano fossero stati in realtà acquistati dal proprio figlio, che disponeva di un reddito molto elevato, così come non ha valorizzato i presunti risparmi o proventi derivanti dalla cessione dell’attività commerciale di gioielleria, mancando del tutto elementi che comprovassero la titolarità o contitolarità della stessa.

Del disconoscimento di tali giustificazioni si duole la difesa della C.. Sennonchè la motivazione del giudice regionale è sorretta da argomentazioni tanto logiche quanto giuridicamente corrette, atteso che della effettiva titolarità dei menzionati beni in capo al figlio non vi è traccia di prova. Non può poi certamente ritenersi che acquisti valore probatorio, quale indice presuntivo della veridicità dei fatti raccontati, la mera affermazione che alcune tipologie di beni, come l’autovettura di lusso e la barca da diporto, dovevano essere nella titolarità del figlio per questioni anagrafiche, perchè tale affermazione, più che un elemento indiziario, costituisce una mera deduzione priva di qualunque valenza probatoria.

Parimenti, quanto al negozio di gioielleria dismesso, manca non solo la prova della titolarità in capo alla contribuente, ma anche ogni allegazione documentale bancaria che possa in qualche modo avvalorare le affermazioni difensive.

Dunque non emergonò incongruenze nelle ragioni della sentenza, che evidenzino un malgoverno delle prove presuntive e delle regole preposte alla distribuzione dell’onere della prova.

RGN 20796/2013

Quanto alla denuncia delle medesime questioni sotto il profilo del vizio motivazionale, essa è poi inammissibile.

A seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 , conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure per contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità su di essa resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (cfr. Sez. U, sent. n. 8053/2014; n. 23828/2015; n. 23940/2017). Sicchè con la nuova formulazione del n. 5 lo specifico vizio denunciabile per cassazione deve essere relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia.

Pertanto l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., ord. n. 27415/2018).

In conclusione il motivo è infondato sotto tutti i profili denunciati.

E’ inammissibile per difetto di autosufficienza il secondo motivo.

Con esso la contribuente ha sostenuto che il giudice d’appello non si sarebbe pronunciato in ordine al difetto di motivazione degli atti impositivi, non emergendo in essi una verifica dello scostamento almeno biennale tra reddito dichiarato e reddito presunto.

Ebbene, a margine la considerazione che in sentenza si nega che gli atti impositivi siano affetti da motivazioni, viziate, sostenendo invece che in esse si dava atto che lo scostamento fosse stato verificato per almeno due annualità (cfr. pag. 2 della pronuncia), occorreva in ogni caso riprodurre, sia pur per stralci, la motivazione degli avvisi di accertamento. Tale necessità era tanto più evidente quando si consideri che è la stessa difesa della contribuente a riferire che in alcuni avvisi si accenna espressamente allo “scostamento per almeno due o più periodi di imposta…”, sicchè non è dato neppure esaminare il motivo, che difetta di autosufficienza.

E’ poi infondato anche il terzo motivo, con il quale la contribuente, sempre sotto il profilo dell’errore di dirittò, si duole della mancata declaratoria di nullità degli atti impositivi per violazione del contraddittorio endoprocedimentale.

A parte che la sentenza ha rigettato l’eccezione, affermando che con l’invio del questionario da parte della Agenzia il contraddittorio fosse stato attivato (cfr. Cass., 9892/2011), va tuttavia rammentato che in tema di contraddittorio endoprocedimentale la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento ormai consolidato, ha affermato che, per il rispetto dei diritti e delle garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre per quelli “non armonizzati” non è rinvenibile nella legislazione nazionale un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Sez. U, sent. n. 24823/2015; ord. 20036/2018).

Ebbene, tale specifica previsione, prescritta attualmente dal cit. D.P.R. n. 600, art. 38, comma 7, per gli accertamenti sintetici e standardizzati, che fa obbligo all’Ufficio dell’invito alla comparizione personale e del successivo obbligatorio avvio del procedimento di accertamento con adesione, vige dalla introduzione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 22, comma 1, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122, applicabile solo dal periodo d’imposta 2009, per cui gli accertamenti relativi alle precedenti annualità sono legittimi anche senza l’instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale.

In particolare la norma opera in relazione agli “accertamenti relativi ai redditi per i quali il termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di entrata in vigore del presente decreto” (cfr. Cass. 21041/2014; 22746/2015; 11283/2016). Si aggiunga che nel caso di specie gli avvisi di accertamento erano già stati notificati al momento della introduzione della disciplina che prescriveva l’obbligatorietà del contraddittorio endoprocedimentale.

I principi enunciati sono condivisi da questo Collegio, che ad essi vuol dare continuità.

Quanto poi al quarto motivo, in cui si invoca un error in precedendo per motivazione apparente, le argomentazioni della sentenza escludono il vizio denunciato, mentre l’ulteriore censura sull’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che trova collocazione nel vizio motivazionale, quando non inammissibile per le modalità con cui è stato formulato in epigrafe, è una ripetizione delle censure già mosse con il primo motivo, sicchè va respinto per quanto già chiarito.

In conclusione il ricorso principale va rigettato.

Esaminando ora i motivi del ricorso incidentale, il primo, con il quale l’Agenzia si duole dell’errore di diritto per aver giustificato parte delle spese, poste a fondamento del reddito sinteticamente accertato, con un disinvestimento avvenuto oltre il quinquennio dalle annualità accertate -la vendita della abitazione di (OMISSIS)-, a parte l’irrilevanza quanto meno in rapporto alla annualità 2004, è infondato soprattutto in considerazione del fatto che dalla disciplina, anche quella ratione temporis vigente, non si evincono limiti temporali alla utilizzazione di provviste che consentano di giustificare capacità di spesa, poichè ciò che viene richiesto è se tali provviste si pongano in rapporto causale con le spese successivamente sostenute.

Fondato invece è il secondo motivo, con il quale ci si duole dell’errore di diritto per aver giustificato parte della capacità di spesa contestata alla C. con l’alienazione dell’immobile ubicato in Senigallia, pur essendo la contribuente solo contitolare del diritto di usufrutto e senza che vi fosse prova della percezione dell’intero prezzo di cessione, e comunque di risultanze bancarie a conferma della disponibilità economica del corrispettivo.

Questa Corte ha affermato che in tema di accertamento cd. sintetico, ai sensi dell’art. 38 cit., ove il contribuente deduca che la spesa effettuata derivi dalla percezione di ulteriori redditi di cui ha goduto, è onerato della prova contraria sulla loro disponibilità, sull’entità degli stessi e sulla durata del possesso, sicchè, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti dai quali emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass., 29067/2018; 7389/2018).

In particolare, proprio in materia di disponibilità derivanti da rapporti familiari, con previsione di atti di liberalità in seno alla stessa, come sarebbe prospettato nel caso di specie, atteso che i figli nudi proprietari avrebbero compiuto di fatto un atto di liberalità nei confronti della genitrice, rinunciando alla propria quota di corrispettivo, si è affermato che qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi dell’art. 38 cit., la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento (Cass., 1332/2016).

Ebbene, nessuna prova risulta addotta dalla contribuente in ordine alla circostanza, che resta pertanto solo affermata ma non dimostrata, che del corrispettivo della cessione dell’immobile in Senigallia l’unica percettrice sia stata la C., con rinuncia da parte tanto dei figli quanto del coniuge. Manca anche solo un accenno a riscontri bancari relativamente alla ricostruzione voluta dalla contribuente, sicchè il fatto non risulta provato.

Ne discende che il giudice regionale non ha valutato correttamente gli elementi acquisiti al giudizio, in particolare le giustificazioni della capacità di spesa rivelata dalla C., con riguardo alla provvista riconducibile all’immobile ubicato in Senigallia.

Il motivo va dunque accolto. L’accoglimento del secondo motivo assorbe il terzo.

In conclusione il ricorso incidentale dell’Amministrazione trova accoglimento nei limiti della motivazione.

La sentenza va pertanto cassata e il giudizio rinviato alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che, oltre che alle spese del giudizio di legittimità, provvederà a rivalutare la vicenda nei limiti delle ragioni di accoglimento del ricorso incidentale.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbito il terzo e rigettato il primo. Cassa la sentenza e rinvia alla

Commissione tributaria regionale della Lombardia, che deciderà in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2020

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