Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28259 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. I, 04/11/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 04/11/2019), n.28259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36708/2018 proposto da:

B.G., T.C., P.F., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Antonio Gramsci n. 9, presso lo studio

dell’avvocato Guzzo Arcangelo, rappresentati e difesi dall’avvocato

Carbone Giacomo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

A.G., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Mazzini

n. 134, presso lo studio dell’avvocato Longobardi Gaetano,

rappresentato e difeso dall’avvocato Quercia Vittorio, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.C., F.A., G.C.,

P.F., B.G., T.C.A., Po.Pa.,

B.C., Procuratore Generale della Repubblica di Catanzaro;

– intimati –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente al ricorso successivo –

sul ricorso 5070/2019 proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in Roma, Via Fogliano n.

4/a, presso lo studio dell’avvocato De Luca Raffaele, rappresentata

e difesa dagli avvocati Gallo Giuseppe e Sisto Francesco Paolo,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.G., F.A., G.C.,

P.F., B.G., T.C.A., Po.Pa.,

B.C. e Procuratore Generale della Repubblica di Catanzaro;

– intimati –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

G.C., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Bombardiere Marcello, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Procuratore Generale della Repubblica di Catanzaro;

– intimato –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo:

Po.Pa., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno

Buozzi n. 99, presso lo studio dell’avvocato Criscuolo Fabrizio,

rappresentato e difeso dall’avvocato Napoli Giuseppe, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

A.G., B.C., B.G.,

P.F., T.C.A., F.A., G.C.,

M.C., Procuratore Generale della Repubblica di Catanzaro;

– intimati –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 39/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 17/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/09/2019 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.1. La Corte d’Appello di Catanzaro con sentenza 39/2018 resa pubblica il 24.9.2018 ha respinto il gravame proposto da B.G., T.C., P.F., M.C., A.G., G.C. e Po.Pa. – il B. e la M. nella veste rispettivamente di sindaco e vicesindaco, gli altri quali componenti del consiglio comunale del Comune di Isola Capo Rizzuto sciolto per infiltrazione mafiose con D.P.R. 27 dicembre 2017 – avverso il decreto 22.5.2018 con il quale il Tribunale di Crotone, recependo la proposta di scioglimento trasmessagli a questo fine dal Ministero dell’Interno, aveva proceduto, ai sensi dell’art. 143, comma 11, TUEL, a dichiarare i medesimi non candidabili alle prime elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali successive allo scioglimento dell’ente che si sarebbero svolte nella regione Calabria.

1.2.1. Rigettata, previamente, l’eccezione di nullità del procedimento motivato dalla G. sul difetto della propria vocatio in ius in quanto il suo nominativo non era stato indicato nella proposta, ma solo nella memoria di costituzione dell’Avvocatura distrettuale dello Stato (“la reclamante adotta il paradigma della citazione… obliterando la natura del procedimento ricondotto al rito camerale “in quanto compatibile”, caratterizzato da una disciplina esclusiva dettata dal T.U. n. 267 del 2000, art. 143″, di modo che “il dato testuale fa premio di ogni dubbio di interpretazione in ordine alla riferibilità della domanda, soggettivamente segnata dal solo riferimento ai nominativi degli amministratori segnalati nella proposta di scioglimento”) e richiamati gli antefatti di causa (“la relazione prefettizia rappresenta in maniera compiuta ed esaustiva la situazione del territorio che ha portato la Direzione Distrettuale antimafia di Catanzaro nell’ambito dell’operazione denominata (OMISSIS) ad arrestare 68 persone ed all’emissione di provvedimenti cautelari che hanno smantellato la storica e potentissima cosca di “ndrangheta” facente capo alla famiglia Ar.”), nonchè gli esiti ispettivi emersi a seguito dell’accesso disposto presso il Comune di Isola Capo Rizzuto dal Prefetto di Crotone ai fini dell’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 143 TUEL (“le indagini svolte dalla Commissione di accesso hanno consentito di mettere in luce la mala gestio della cosa pubblica”, con particolare riferimento al settore degli appalti caratterizzato dall’emersione di “cointeressenze consistite nella gestione di un vero e proprio sistema che ha consentito da un lato l’aggiudicazione sempre alle stesse ditte mediante un meccanismo di rotazione e dall’altro ha consentito alle stesse di recuperare il ribasso offerto in sede di gara, mediante ripetute proroghe”, al settore edilizio, ove si riscontravano “ulteriori profili di irregolarità… con riguardo a costruzioni realizzate su terreni pubblici” e alla gestione dei beni confiscati alla mafia, risultando che “l’amministrazione non ha tuttavia alcuna attenzione alla titolarità dei beni ed al loro possesso, atteso che gli Ar. continuano in gran misura ad utilizzare i beni confiscati con larga acquiescenza dell’apparato comunale”), il giudice del gravame si è, nel merito, indotto a confermare l’impugnato provvedimento interdittivo sulla scorta di un’analitica ricognizione delle singole posizioni interessate, così come lumeggiate dall’inchiesta penale in corso, nella convinzione che, sebbene nel caso in esame non si rendano utilizzabile le regole della responsabilità penale neppure nella fase prevalutativa di essa, propria delle esigenze cautelari limitative della libertà personale, nondimeno vengono tuttavia in giudizio “gli argomenti di riferibilità soggettiva sussumibili dalle condotte penali, quali che siano le fasi del procedimento”.

1.2.2. In questa chiave, dandosi perciò cura di scandagliare più da presso il quadro delle “criticità amministrative determinanti ai fini del collegamento amministratori, attività amministrativa connotazione mafiose”, già rapportato dalla relazione prefettizia e fatto proprio dal decidente di primo grado, in relazione al ruolo e alle funzioni di ciascuno dei reclamanti, ha ritenuto di evidenziare, nell’ordine: che il sindaco B.G. risultava essere stato destinatario nell’ambito della predetta operazione (OMISSIS) di un provvedimento di fermo per concorso esterno in associazione mafiosa “in quanto forniva un contributo concreto, specifico e volontario per il rafforzamento della capacità operative., dell’associazione” e risultava altresì indagato per il reato di corruzione elettorale poichè nella sua veste di candidato aveva conferito alla cosca facente capo al clan degli Ar. “esplicito mandato… per il reperimento di voti in suo favore”; che quanto a T.C., già in rapporti familiari con l’ambiente malavitoso, erano note le frequentazioni “con persone pregiudicate o, comunque, gravitanti nelle cosche isolane” quali, in particolare, Ar.Fr., C.F. e T.S.; che del pari in rapporti di parentela con persone indagate nell’ambito dell’operazione (OMISSIS) si trovava anche P.F., che, peraltro, in ragione della carica assessorile rivestita, si era occupato pure della gestione del territorio in relazione alla quale “l’operato dell’amministrazione non era apparso trasparente, essendo state evidenziate numerose irregolarità nel governo e nel censimento dei beni confiscati alla mafia, nonchè nella gestione degli immobili abusivi”; che riguardo alla persona di M.C. era condivisibile il giudizio di sfavore espresso dal primo giudice, “data la posizione rivestita nell’amministrazione (vicesindaco dell’amministrazione), gli inevitabili e frequenti rapporti con il sindaco e gli altri consiglieri”, e ciò a fronte di una conclamata permeabilità dell’amministrazione comunale alle influenze mafiose e al fatto che la stessa mai avesse manifestato il proprio dissenso rispetto alle scelte operate dall’amministrazione; che in rapporti con gli ambienti malavitosi era pure A.G., per di più protagonista, in occasione di una processione a mare, del trasporto su un gommone del quadro della Madonna della Misericordia “insieme a Ar.Ra., figura di spicco dell’omonimo sodalizio criminoso”; che stante il quadro generale dell’amministrazione emergente dalla documentazioni in atti, in cui si dava atto del forte condizionamento esercitato su di essa dalla consorteria criminosa, “tali da ingenerare una gestione poco trasparente degli affari amministrativi, assolutamente non conforme ai principi di buon andamento”, non poteva non reputarsi che essa andasse riferita anche agli altri reclamanti ed, in particolare, alla persona di G.C., che era stata sindaco del Comune nella passata consiliatura; che circa, infine, la posizione di Po.Pa. andava osservato che “dal rapporto della Prefettura si evince che lo stesso risulta sospeso dalla carica di consigliere comunale ed inserito nella cosca Ar.”, segnatamente in ragione della funzione di prestanome tanto da essere per questo deferito per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. e tratto in arresto nell’ambito della predetta operazione di polizia giudiziaria ed ancora che lo stesso è in rapporto di parentela con i cugini Po. nell’interesse dei quali si era prestato ad assumere la carica di legale rappresentante della società Quadrifoglio ritenuta dagli inquirenti “caposaldo di attività illecite strumentali agli interessi delle consorterie ‘ndranghetistiche”.

1.3. Tanto riepilogato l’epigrafato provvedimento è ora impugnato ai fini di cassazione, dal B., dal T. e dal P. a mezzo di un unico ricorso sulla base di quattro motivi iscritto al RG 36708/18, e con distinti ricorsi, tutti iscritti sotto il numero 5070/19 RG, dalla M. sulla base di tre motivi, dall’ A. sulla base di due motivi, dalla G. sulla base di sei motivi e dal Po. sulla base di due motivi.

Ai ricorsi così proposti resiste con distinti controricorsi il Ministero dell’Interno. Memorie ex art. 380-bis1, del ricorrente Po. e del Ministero dell’Interno.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Va previamente disposta ai sensi dell’art. 335 c.p.c., la riunione dei ricorsi iscritti al RG 5070/19 al ricorso iscritto al RG 36708/18 in ragione del fatto che quest’ultimo, essendo stato incardinato a mezzo di notifica in data 19.12.2018, per il principio di prevenzione nella notificazione, assume veste di ricorso principale, mentre quelli iscritti al ricorso 5070/19, essendo stati notificati successivamente, si convertono per il principio dell’unicità del processo di impugnazione in ricorsi incidentali, con la conseguenza che ad essi si rendono applicabili, ai fini della loro ammissibilità, i termini previsti dall’art. 370 c.p.c., comma 1.

2.2. Nella specie, peraltro i predetti termini devono ritenersi decorrenti non già dalla notificazione del ricorso principale iscritto al RG 36078/18, atteso che esso è stato notificato al solo Ministero dell’Interno e non alle altre parti del medesimo giudizio di gravame, sicchè nei confronti di queste il principio dell’unicità dell’impugnazione potrebbe divenire operante solo se fossero stati adottati i provvedimenti dell’art. 332 c.p.c., non potendo all’evidenza argomentarsi la conversione del mezzo di gravame proposto dalle altre parti in via autonoma in ricorso incidentale e la conseguente applicabilità dei termini previsti dall’art. 370 c.p.c., se non sul presupposto che alle medesime sia stata notificata l’impugnazione principale. Detti termini, allora, stante l’inutilità di disporre la notificazione alle altre parti del ricorso principale alla stregua dell’art. 332 c.p.c., allorchè queste abbiano già proposto ricorso in via autonoma o siano state altrimenti messe in condizione di proporre ricorso incidentale, dovranno ritenersi decorrenti dal ricorso proposto in via autonoma che per primo sia stato notificato nei confronti di tutte le altre parti. Ricorso che, pur conservando la natura di ricorso incidentale per il fatto di essere stato proposto successivamente al ricorso principale, non trova preclusione in quanto tale nel fatto di essere stato proposto autonomamente nel termine dell’art. 327 c.p.c. – applicabile oramai pacificamente nella specie (Cass., Sez. 1, 15/07/2016, n. 14531) -, diversamente pervenendosi, come si è osservato altrove, “all’illogica conclusione” di non consentire alla parte di fare quello che l’art. 332 c.p.c., favorisce, prevedendo che il giudice deve ordinare la notifica dell’impugnazione principale proposta alle altri parti, proprio per consentire l’impugnazione incidentale di queste ultime (Cass., Sez. III, 26/06/2012, n. 10614). L’ammissibilità dei successivi ricorsi proposti dalle altre parti autonomamente, che si convertono in ricorsi incidentali rispetto al ricorso principale, andrà dunque delibata nella specie ratione temporis non già in relazione all’anzidetto ricorso principale non notificato loro, ma in relazione alla notificazione del primo ricorso “incidentale” proposto successivamente a quello previamente incardinato – vale a dire il ricorso M. notificato alle altre parti l’11.2.2019 – in rapporto al quale essi assumono del pari natura di ricorso incidentale e vanno perciò soggetti all’osservanza del termine previsto dall’art. 370 c.p.c.. E ciò perchè, come si è già affermato “detto termine decorre dall’ultima notificazione dell’impugnazione principale nel caso in cui tale impugnazione sia stata notificata anche alla parte che propone l’impugnazione incidentale e, nel caso in cui tale parte non sia stata destinataria della notificazione dell’impugnazione principale, ma solo di una impugnazione successiva (proposta in forma incidentale a sua volta o, se proposta in forma autonoma, da intendersi convertita in incidentale), dalla notificazione di detta impugnazione successiva” (Cass., Sez. III, 25/08/1999, n. 8906).

3.1. Ciò detto e venendo al ricorso principale, con il primo motivo di esso i ricorrenti B., T. e P. deducono che l’impugnata decisione sia incorsa nella violazione dell’art. 143, commi 4 e 11, TUEL, artt. 2 e 24 Cost. e art. 132 c.p.c., perchè ne avrebbe confermato l’incandidabilità decretata in primo grado in applicazione dei principi che sovraintendono allo scioglimento degli organi municipali, sebbene, al contrario come chiarito dalla stessa giurisprudenza di questa Corte, le finalità di prevenzione sottese alla misura “non implicano alcuna affermazione di un rapporto di derivazione automatica tra l’applicazione della misura collettiva di scioglimento e quella della misura individuale, ma occorre procedere alla valutazione della condotta tenuta dai singoli amministratori, pervenendo alla dichiarazione di incandidabilità sulla base di addebiti specificamente riferibili alle rispettive posizione e relazioni personali”.

3.2. Analoga censura i ricorrenti, singolarmente, declinano poi in relazione alla posizione di ciascuno, argomentando, con il secondo motivo, il T., in critica dei rilievi mossi al medesimo, l’insussistenza di un nesso di causalità tra i comportamenti addebitatigli ed i fatti accreditati ai fini dello scioglimento dell’ente, dato che “non viene in alcun modo indicato se essi abbiamo o meno contribuito a distorcere l’agire istituzionale del sig. T.”, tanto più che frequentazioni e parentele con personaggi affiliati alle cosche, anche in ragione del contesto locale, non sono indice decisivo di un condizionamento mafioso; con il terzo motivo, il P., di cui si era giudicata rilevante la funzione assessorile, la mancanza di “un minimo di accertamento”, pure a livello presuntivo tra i comportamenti addebitati al medesimo ed i fenomeni di inquinamento malavitoso documentati in danno dell’amministrazione municipale; con il quarto, il B., l’erroneità di quanto riferito in ordine al suo coinvolgimento nell’operazione (OMISSIS) – l’altro precedente riferendosi a fatti del 2009 – ed il difetto di “qualsiasi riferimento concreto e specifico” a fatti evidenzianti la sua responsabilità, sicchè essa sarebbe frutto nella specie di una presunzione meramente apodittica in considerazione dell’ufficio ricoperto.

3.3. Tutti i sopradetti motivi – alla cui disamina non fanno scudo le pregiudiziali in rito opposte dal controricorrente, l’una (difetto di specificità), perchè, ferma più in generale la non vincolatività della rubrica, il contenuto di ogni singola censura va apprezzato in funzione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, l’altra (difetto di autosufficienza) perchè in rapporto alla questione che si ha ragione di ravvisarvi l’obiezione è priva di pertinenza – si prestano ad una valutazione d’assieme in quanto afferenti al medesimo tema decisionale e, salvo quanto meglio si osserverà in relazione alla posizione di ciascuno dei ricorrenti, si prestano ad un comune giudizio di infondatezza.

3.4. L’art. 143 TUEL nel quadro delle disposizioni dirette ad assicurare mediante l’esercizio dei poteri di controllo affidati al Ministero dell’Interno il funzionamento delle amministrazioni locali secondo criteri di legalità e di efficienza, prevede, al comma 1, che “fuori dai casi previsti dall’art. 141, i consigli comunali provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’art. 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’art. 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonchè il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”; a sua volta con disposizione ad esso correlata, il comma 11, nel suo primo inciso, recita che “fatta salva ogni altra misura interdittiva ed accessoria eventualmente prevista, gli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento di cui al presente articolo non possono essere candidati alle elezioni per la Camera dei deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento Europeo nonchè alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento stesso, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo”.

3.5. Secondo il pensiero di questa Corte (Cass., Sez. U, 31/01/2015, n. 1747) è questa “una misura interdittiva volta a porre rimedio al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell’ente possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle precedentemente rivestite, e in tal modo potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali”..

L’indubbia portata afflittiva di cui la dichiarazione di incandidabilità si riveste, incidendo su un diritto primario del cittadino, spazialmente e temporalmente privato dell’elettorato passivo, non la rende tuttavia assimilabile ad una misura di natura penale. “L’autonomia del procedimento di applicazione e la diversità dei presupposti rispetto a quello penale” – si è ancora notato (Cass., Sez. I, 8/06/2018, n. 15038) – “hanno indotto ad escludere il carattere propriamente sanzionatorio dell’incandidabilità e la riconducibilità della stessa all’ambito strettamente penalistico”; e ciò perchè ai fini della sua dichiarazione non si richiede “che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio” (Cass., Sez. I, 31-01-2019, n. 3024).

Non per questo, però, la misura si mostra strettamente mutuabile in forza dei soli presupposti che giustificano lo scioglimento dell’ente, perchè “è ben vero che il provvedimento di declaratoria dell’incandidabilità è collegato a quello di scioglimento previsto dal richiamato art. 143, ma è altrettanto vero che l’incandidabilità dei singoli amministratori non è automatica, imponendosi, soprattutto perchè viene interessato un fondamentale aspetto di notevole rilevanza costituzionale, quale il diritto correlato all’elettorato passivo, che siano autonomamente e distintamente valutate le posizioni dei singoli soggetti interessati” (Cass., Sez. I, 03-08-2017, n. 19407).

3.6. L’irriducibilità della misura al campo della tutela penalistica e, segnatamente, al complesso delle regole che ne disciplinano la responsabilità, da un lato e l’assenza di un qualsivoglia automatismo tra scioglimento dell’ente ed incandidabilità degli amministratori che ne hanno la responsabilità, dall’altro, è motivo per dare alla misura dell’art. 143, comma 11, TUEL una più sicura identità in linea con quelle che, d’altro canto, ne sono le finalità sue proprie. L’intreccio tra “concreti, univoci e rilevanti elementi” di inquinamento mafioso ed “amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento”, normativamente previsto, apre infatti la via ad un giudizio prognostico in vista del quale la significatività del quadro fattuale in direzione dei fenomeni indicati dell’art. 143, comma 1 TUEL, non costituisce di per sè un fattore decisivo, ma postula in una relazione che sarebbe errato, stante il carattere “ambientale” dei fenomeni considerati, chiudere nel ristretto cerchio di un rapporto causa-effetto – che trovi coincidenza in un conforme quadro comportamentale, di modo che possa credersi che, privando temporaneamente del diritto di essere eletti quanti tra gli amministratori interessati abbiano agevolato l’azione di infiltrazione delle cosche, possano essere ripristinate le ordinarie condizioni di legalità e di efficienza dell’amministrazione interessata. E’ così che prende forma la convinzione secondo cui se non si può non guardare alle vicende che sovrintendono e giustificano lo scioglimento degli organi elettivi in base alle ragioni più analiticamente indicate dal comma 1, da apprezzarsi secondo un approccio che ne privilegi una visione di assieme e non per singoli eventi, in quanto esse costituiscono l’imprescindibile presupposto per far luogo alla dichiarazione del comma 11, nondimeno, allorchè si indaghi il profilo comportamentale della fattispecie, occorre prendere atto, proprio per rimarcarne la distanza dal campo penalistico ed insieme la specialità del giudizio ad essa sotteso, che “ai fini della pronuncia di incandidabilità non si richiede necessariamente la prova di comportamenti idonei a determinare la responsabilità personale, anche penale, degli amministratori o ad evidenziare il loro specifico intento di assecondare gl’interessi della criminalità organizzata, risultando invece sufficiente l’acquisizione di elementi idonei a far presumere l’esistenza di collegamenti con quest’ultima o di forme di condizionamento tali da alterare il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o amministrativi del comune o della provincia, da compromettere il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione o il regolare funzionamento dei servizi pubblici, o da arrecare pregiudizio alla sicurezza pubblica” (Cass., Sez. I, 3/08/2017, n. 19407). E, come ancora già affermato, “l’individuazione di un rapporto diretto o indiretto tra gli amministratori e la criminalità organizzata può aver luogo anche sulla base di circostanze caratterizzate da un grado di significatività e concludenza inferiore a quello che legittima l’esercizio dell’azione penale o l’adozione di misure di prevenzione nei confronti di soggetti indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso, purchè si tratti di elementi concreti, univoci e rilevanti, tali da rendere tangibile la prospettiva d’illecite ingerenze nell’attività deliberativa e gestionale dell’ente pubblico” (Cass., Sez. I, 2/02/2016, n. 1948).

3.7. L’approccio delineato dal giudice del reclamo nel provvedimento impugnato si snoda in fedele sintonia con questa impostazione, volta a compendiare in una visione di assieme e, quindi attenta, a coglierne in questa cornice le correlazioni diversamente non evidenziabili, gli elementi che in modo concreto, univoco e rilevante attestano la permeabilità dell’amministrazione scrutinata ai fenomeni di infiltrazione o di condizionamento mafioso e le condotte dei singoli che per mezzo di atteggiamenti compiacenti, se non addirittura apertamente collusivi, hanno favorito l’asservimento di interi settori dell’amministrazione municipale agli interessi della criminalità organizzata. Muovendo in questa direzione il giudice del reclamo traccia uno spaccato puntuale del livello di pervasività raggiunto dal fenomeno, in grado di condizionare secondo i voleri delle cosche criminose operanti sul territorio, per il numero delle persone coinvolte, che vede partecipi anche i vertici dell’amministrazione, e per l’ampiezza assunta, che spazia dagli appalti, alla gestione dei beni e dei servizi pubblici essenziali, qualunque manifestazione dell’attività amministrativa. E nel far questo e nel raccordare a ciò le responsabilità dei singoli, non manca di annotare, in critica del contrario approccio difensivo ed in significativa adesione a quanto si è su questo punto più sopra osservato, “che le prospettazioni offerte dalle parti ineriscono inscindibilmente a condotte dei singoli e degli organi declinate come eventi e fatti naturalistici, laddove il fatto naturalistico assume incidenza e proiezione negli atti amministrativi, che evidentemente non appartengono alla fenomenologia naturale, ma costituiscono procedimento” ed il procedimento non ubbidisce alle regole della causalità naturale, essendo sottoposto dalla legge alle regole dell’atto cui accede.

3.8. Rispetto a questo quadro di giudizio le doglianze di cui si fa interprete il primo motivo di ricorso si rivelano, dunque, palesemente, inconsistenti, privilegiando esse, di contro all’impostazione seguita dal decidente, una considerazione puramente “atomistica” dei diversi profili fattuali riferibili alla persone dei ricorrenti, che non guarda alla comune radice di essi e visibilmente ignora – laddove, in particolare, imputa al provvedimento un vizio di “automatismo” ed una carente rappresentazione dell’elemento causale – l’assetto che la materia è venuta concretamente assumendo in forza del diritto vivente, non accordandosi per vero la prospettazione in tal modo operata nè con la trasversalità del responso a cui la norma obbliga nella valutazione dei fatti nè con le finalità di prevenzione che essa intende perseguire, l’uno e l’altro aspetto invece ben presenti nelle considerazioni sviluppate dal decidente.

3.9. Il vulnus che infirma in tal modo l’argomentare difensivo dei ricorrenti nell’illustrazione del primo motivo di ricorso non trova peraltro rimedio nell’illustrazione dei motivi successivi afferenti ai singoli, ove, anzi, per la preponderanza che vi assume l’elemento fattuale, le criticità rilevate risultano, se possibile, più accentuate.

Quando, per vero, non siano destinati ad affondare precocemente sotto il peso della loro inammissibilità, essendo intesi unicamente a sollecitare una rivalutazione dei profili fattuali della vicenda giudicati dal decidente, nella discrezionalità che all’uopo gli pertiene di valutare le prove secondo il proprio prudente apprezzamento, dirimenti al fine di confermare l’incandidabilità degli interessati, i predetti motivi condividono la medesima sorte di quello che li precede, giacchè al pari di questo insistono nel rapportare una visione parcellizzata del fenomeno, qui per di più frazionata in rapporto alla posizione di ciascun interessato, e nel negare la rilevanza causale delle condotte contestate, quando, al contrario, lo stato dell’arte, a cui anche nella valutazione della singole responsabilità la Corte d’Appello ha dato prova di volersi puntualmente attenere, avrebbe dovuto condurre a tutt’altra conclusione non solo in rapporto alla posizione del B., posto a capo dell’amministrazione municipale nella sua veste di sindaco, e del P., assessore ai servizi maggiormente interessati dalle infiltrazioni mafiose, ma pure del T., le cui frequentazioni a vario titolo con personaggi legati al mondo criminale, nel contesto emerso dalle indagini ispettive e, più generalmente, dalle operazioni di polizia, non apparivano certamente insignificanti.

4.1. Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale la ricorrente M. lamenta la violazione degli artt. 2,3,27 e 51 Cost., artt. 3, 6, 7, 10, 14 e 17 CEDU, dell’art. 3 primo Protocollo e dell’art. 4 settimo Protocollo, nonchè dell’art. 143, commi 1, 4 e 11 TUEL, deducendo, nell’ordine, che l’impugnata decisione, nel confermare anche in suo danno la dichiarazione di incandidabilità pronunciata dal primo giudice, non avrebbe “tenuto conto della portata afflittiva della stessa e della sua conseguente riconducibilità al concetto di sanzione penale elaborato dalla Corte EDU”; avrebbe assecondato una restrizione dell’elettorato passivo che “non può certamente essere adottata per comprimere un diritto inviolabile”, essendo ammissibile solo nei ristretti limiti imposti a tutela di altri interessi costituzionali; avrebbe, in spregio all’esclusione di qualsiasi forma di automatismo, valorizzato in funzione della pronunciata conferma, i medesimi elementi di valutazione che “costituiscono il presupposto del provvedimento di scioglimento del consiglio comunale”; ed avrebbe infine ascritto rilievo dirimente al fatto, rappresentativo di una continuità nella gestione amministrativa – assolutamente inveritiero, essendo stata eletta per la prima volta nel 2013 – che la M. nella passata consiliatura avesse svolto l’incarico di “assessore con deleghe al demanio, patrimonio, attività produttive e SUAP”.

4.2. Il motivo, al cui esame non ostano le pregiudiziali opposte dal controricorrente per le ragioni di cui si è dato conto rigettando le analoghe eccezioni formulate a margine del ricorso principale, non ha, peraltro, alcun pregio.

Premesso, come si è già riportato in narrativa, che la Corte d’Appello, pur rettificando l’affermazione circa il pregresso ruolo amministrativo rivestito dalla ricorrente, è pervenuta a confermare la misura adottata nei suoi confronti sulla considerazione che, dato l’ufficio di vicesindaco rivestito nell’amministrazione disciolta, la M. non poteva reputarsi estranea ai riscontrati fenomeni di inquinamento malavitoso, dai quali mai aveva ritenuto di dissociarsi, va detto, nel merito delle ulteriori doglianze sollevate, che nessuna di esse ha una concreta pregnanza cassatoria.

Non le prime due, essendosi già osservato da questa Corte, a tacitazione di analoghe censure, che “in tema di elezioni amministrative, la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori che “hanno dato causa allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali” prevista dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 143, comma 11, non impone la verifica della commissione di un illecito penale o dell’esistenza dei presupposti per l’applicazione di una misura di prevenzione, nè l’adozione, nel corso del relativo procedimento, delle garanzie previste per l’applicazione delle sanzioni penali. Non si tratta, infatti, di una misura sanzionatoria secondo i principi elaborati dalla Corte Edu, ma di una misura interdittiva di carattere preventivo, i cui presupposti di applicazione sono ben individuati e, quindi, prevedibili, disposta all’esito di un procedimento che si svolge nel pieno contraddittorio delle parti, che tutela l’interesse costituzionalmente protetto al ripristino delle condizioni di legalità ed imparzialità nell’esercizio delle funzioni pubbliche, incidendo sul diritto fondamentale all’elettorato passivo solo in modo spazialmente e temporalmente limitato, all’esclusivo fine di ristabilire il rapporto di fiducia tra i cittadini e le istituzioni, indispensabile per il corretto funzionamento dei compiti demandati all’ente” (Cass., Sez. I, 8/06/2018, n. 15038).

E, non ovviamente, la terza, potendosi rimandare a quanto in proposito si è in senso ostativo replicato all’analoga censura contenuta nel ricorso principale.

4.3. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso M. pur rubricati sotto l’apparente veste di una pretesa violazione e falsa applicazione di legge, deducono in realtà – anche se il terzo non omette di richiamare l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – un vizio puramente motivazionale.

4.4. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta che il decidente avrebbe confuso il provvedimento di scioglimento dell’ente con la dichiarazione di incandidabilità, e non si sarebbe, perciò, avveduto che la seconda “richiede la prova del contributo offerto dal singolo amministratore, nelle specie rimasto indimostrato nei confronti di essa ricorrente”; con il terzo, si duole che l’impugnato provvedimento, omettendo di valutare nel complesso l’attività svolta dalla ricorrente nel corso del suo mandato, evidenzi “le lacune argomentative e le carenze logiche del ragionamento seguito dalla Corte distrettuale la quale si è limitata a condividere le considerazioni svolte nella sentenza di primo grado omettendo l’esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio”, sicchè la confermata dichiarazione di incandindabilità non risulterebbe motivata in modo “coerente, completo e ragionevole”.

4.5. Entrambi i motivi si espongono ad una preliminare rilievo di inammissibilità: l’uno, perchè, oltre al fatto di non accordarsi con il tenore della decisione, dato che la Corte d’Appello, come si è dianzi premesso, ha esattamente esposto in che termini anche alla M. sia imputabile lo stato di degrado dell’amministrazione municipale, postula la rinnovazione del sindacato di fatto operato dal decidente di merito laddove questo ha ritenuto che la carica di vicesindaco, le frequentazioni quotidiane con il sindaco e con gli altri amministratori implicati nell’inchiesta giudiziaria, in uno con un atteggiamento silente ed inerte dell’interessata, fossero indici più che rassicuranti per confermarne l’incandidabilità già decretata in primo grado; l’altro, perchè, in disparte dalla considerazione che non è prospettabile in guisa di errore di diritto un vizio che evidenzi “le lacune argomentative e le carenze logiche” del ragionamento decisionale, viene meno – laddove, come detto, pure in rubrica si appella all’omesso esame di un fatto decisivo – alla regola che nell’esposizione del motivo onera il deducente di indicare con precisione il fatto decisivo, oscillando l’illustrazione di esso, per quel che è dato comprendere, tra il ruolo causale delle condotte ascritte alla M., peraltro non ignorato dalla sentenza, e il difetto di continuità dell’azione amministrativa, su cui già si è detto.

5.1. Il primo motivo del ricorso incidentale dell’ A. ammissibile poichè essendogli stato notificato il ricorso M. il 13.2.2019 il ricorso incidentale dell’ A. risulta notificato il 15.3.2019 e quindi nel rispetto del termini fissato dall’art. 370 c.p.c., comma 1 – argomenta ancora, sul filo della considerazione che la Corte d’Appello avrebbe fatto leva ai fini di confermarne l’incandidabilità su “un mero automatismo consequenziale alla dissoluzione del Consiglio Comunale” e si sarebbe astenuta, nel far richiamo alle frequentazioni intrattenute dal ricorrente con personaggi di spicco della cosca degli Ar., dall'”indicare il nesso tra le frequentazioni di cui sopra e gli atti contrari alla buona amministrazione”, la violazione e falsa applicazione dell’art. 143, comma 11, TUEL.

5.2. Dell’infondatezza di questa doglianza si è già fatta illustrazione nel rigettare il primo motivo del ricorso principale, sicchè sarà sufficiente rimandare a quanto si è in proposito detto innanzi.

Qui, piuttosto, merita chiosare in replica alla pretesa modestia dei fatti ascritti alla persona dell’ A. – ricordando, in particolare, che, secondo quanto riferito dal giudice di merito, il medesimo, nel corso di una ricorrenza religiosa, aveva scortato durante una processione a mare il quadro della Madonna della Misericordia in compagnia di Ar.Ra., noto esponente dell’omonimo clan che, come ha esattamente riportato il decidente, osservando che “l’evoluzione sociologica della ‘ndrangheta ha condotto ad un utilizzo spregiudicato della comunicazione” che interessa anche il fenomeno religioso “espresso non come fatto culturale di quella particolare collettività, ma come fenomeno pagano di affermazione di potere”, la strumentalizzazione degli eventi religiosi da parte delle organizzazioni criminali non è affatto un fatto storicamente e sociologicamente nuovo, ma si inquadra in una lucida strategia di penetrazione del territorio e delle comunità locali che fa abilmente uso anche dei simboli religiosi per accreditare l’idea che i comportamenti degli uomini c.d. di “rispetto” non abbiano alcuna connotazione di illegalità in quanto parte del tessuto sociale che ne vede e ne tollera la diffusione. E dunque, per venire alle rimostranze dell’ A., anche l’episodio della processione a mare, valorizzato dal decidente, insieme alle frequentazioni del medesimo con altri esponenti della criminalità organizzativa, non si rivela, nel contesto locale descritto dalla relazione di indagine del Prefetto e ripreso dalle decisioni di merito, un indice del tutto indifferente nell’averne ravvisato la sensibilità rispetto agli interessi malavitosi.

5.3. Il secondo motivo del ricorso A., pur facendo appello al preteso esame di un fatto decisivo, rivendica, imputando alla sentenza impugnata di non aver adempiuto “compiutamente all’onere motivazionale”, un diverso apprezzamento delle risultanze di fatto a cui ha proceduto il decidente e, dunque, da un lato, rifluisce nella doglianza di cui al primo motivo ed è perciò assorbito dal decretato rigetto di questo, dall’altro lamenta un errore motivazionale che è estraneo alla denuncia di esso ora consentita dal vigente dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1.

6.1. Quanto al ricorso incidentale della G. – la cui ammissibilità, stante la notifica del ricorso M. il 14.2.2019, è assicurata dall’esserne avvenuta la notificazione il 22.3.2019 – deve giudicarsene la fondatezza in relazione al primo motivo di esso, di modo che, cassandosi perciò la decisione in accoglimento del medesimo, la cognizione degli altri motivi di gravame diviene conseguentemente superflua.

6.2. Con il detto primo motivo di ricorso – alla cui disamina secondo l’ordine espositivo impresso alle proprie doglianze dalla deducente non osta il contrario rilievo opposto dalla controricorrente sul presupposto della ritenuta pregiudizialità logica del secondo motivo di ricorso, poichè non è imputabile alla Corte d’Appello il vizio di aver pronunciato extrapetita – la G. richiamata l’eccezione di inammissibilità della domanda contra se – sollevata nel costituirsi nel giudizio di primo grado in quanto, tra l’altro, il proprio nominativo non figurava tra i soggetti da dichiararsi incandidabili – e rilevato che, malgrado ciò, il Tribunale ne aveva comunque pronunciato l’incandidabilità, censura il deliberato di secondo grado in quanto affetto da motivazione apparente, posto che, nel rigettare il corrispondente motivo di gravame avverso il decreto tribunalizio declinato con riferimento all’art. 112 c.p.c., la motivazione adottata nella specie ricorre ad “argomentazioni perplesse, inconferenti e obbiettivamente incomprensibili, è solo apparente e non dà alcuna ragione dell’iter logico seguito dal giudicante per pervenire alla sua determinazione”.

6.3. A conforto della svolta doglianza giova ribadire, come ancora di recente la giurisprudenza di questa Corte abbia puntualizzato, sul filo di una consolidata massima che reputa sussistente il vizio in parola quando la motivazione adottata non renda “percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento” (Cass., Sez. U, 3/11/2016, n. 22232), che il vizio di motivazione meramente apparente ricorre allorquando il giudice, in violazione del corrispondente obbligo costituzionale, omette di esporre ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, i motivi in fatto e diritto della decisione ovvero di specificare e illustrare in modo logicamente coerente le ragioni e l’iter argomentativo seguito per pervenire alla decisione assunta, e con ciò di chiarire quindi sulla base di quali prove ed argomentazioni acquisite nel corso del giudizio sia addivenuto alle determinazione assunta con la sentenza da egli pronuciata. Alla stregua di tali principi si ritiene che la sanzione di nullità colpisca, perciò, non solo le sentenze che siano del tutto prive della motivazione dal punto di vista grafico, ma anche quelle segnatamente dopo la novellazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e la riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione di cui si è fatta interprete la giurisprudenza delle SS.UU. – che, presentando un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” o compendiandosi in una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, del pari incorrano nel vizio di motivazione apparente, perchè dietro la parvenza di una giustificazione formale della decisione assunta, la motivazione addottata dal giudice non è razionalmente scrutinabile, non consentendo di comprendere le ragioni e la coerenza argomentativa del percorso motivazionale e così di controllare l’esattezza e la logicità del convincimento dal medesimo esternato con la decisione adottata.

6.4. Tanto considerato e venendo all’esame della doglianza illustrata con il primo motivo di ricorso, il collegio, alla luce dei principi ricordati, non può che ravvisarne la fondatezza, dato che, nel motivare il rigetto sul punto del proposto motivo di gravame, la Corte d’Appello è incorsa in una palese contraddizione che mina l’unità logica interna del provvedimento pronunciato e lo vizia sotto il profilo della coerenza del ragionamento decisorio che lo sorregge, rendendone in tal modo inevitabile la doverosa cassazione.

Ma valga il vero. Nel dar conto del proprio convincimento, il decidente del grado muove dalla premessa – di cui non mostra di dubitare, se più avanti, a pag. 28 dello scritto decisionale, si legge che “nella proposta del Ministero dell’Interno si fa espresso riferimento unicamente alla figura del primo cittadino, destinatario di informazioni di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa, nonchè ad un consigliere comunale sottoposto a fermo perchè indiziato del delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso” – secondo cui la G. “non viene evocata nella proposte della Prefettura, ma indicata come destinataria della richiesta nella memoria dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato”. Richiamato poi il testuale dettato dell’art. 143, comma 11, TUEL, a voce del quale si prevede, tra l’altro, che “ai fini della dichiarazione d’incandidabilità il Ministro dell’interno invia senza ritardo la proposta di scioglimento di cui al comma 4 al tribunale competente per territorio, che valuta la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 con riferimento agli amministratori indicati nella proposta stessa”, la Corte d’Appello si dà cura di commentare che “il dato testuale fa premio di ogni dubbio di interpretazione in ordine alla riferibilità della domanda, soggettivamente segnata dal solo riferimento ai nominativi degli amministratori segnalati nella proposta di scioglimento. Il negozio processuale di promozione dell’azione di incandidabilità si esaurisce nella parte dichiarativa-ricongnitiva di esso, afferente ai nominativi degli amministratori coinvolti secondo accertamento contenuto nella proposta di scioglimento”.

Ancorchè non si tratti qui di stabilire se questa affermazione sia giuridicamente corretta, giacchè il motivo imputa alla sentenza non un errore di diritto, ma un vizio logico – la questione di diritto prende infatti campo nell’illustrazione del secondo motivo di ricorso -, ragionando in tal modo la Corte d’Appello si dice, dunque, certa, nel dare corpo a quella che nello schema del ragionamento sillogistico non è altro che la premessa maggiore, che al fine di dichiarare l’incandidabilità degli amministratori travolti dallo scioglimento del proprio comune per ragioni di mafia, occorre che, legge alla mano, il loro nominativo figuri nella proposta inoltrata a questo fine dal Ministro dell’Interno al Tribunale competente. Tuttavia in luogo di chiudere il cerchio del sillogismo così messo in campo, traendo la doverosa conclusione che, se il nominativo dell’amministratore incandidabile deve figurare nella proposta ministeriale e se quello della G. non è presente neppure nella relazione prefettizia secondo quanto dalla medesima asserito e non confutato dalla decisione, nessuna dichiarazione di incandidabilità in danno della stessa sarebbe stata pronunciabile ed il contrario pronunciamento del Tribunale avrebbe dovuto per questo essere caducato, la Corte d’Appello opera un’imprevedibile inversione nel dare compimento al proprio ragionamento, rigettando il gravame sul punto e confermando la dichiarazione di incandidabilità della G. pur se riconosce che il nominativo della stessa, da indicarsi ex lege nella proposta, nella proposta e neppure nei documenti finitimi era stato indicato. E’ questo un caso pressochè scolastico di ragionamento contraddittorio o, meglio, come si dice, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, dato che la conclusione a cui è pervenuto il decidente del grado non si accorda con le premesse da cui era partito, un coerente svolgimento del ragionamento decisorio, tanto più se esso segue lo schema adottato dalla decisione in esame, imponendo che la conclusione si allinei alle premesse e non che le smentisca. E poichè la rilevata contraddittorietà non trova nel compendio motivazionale alcuna chiarificazione, ne discende che, essendo la decisione sul punto priva della necessaria coerenza logica, essa sia affetta dalla denunciata nullità processuale e debba per questo essere conseguentemente cassata.

7.1. Con il primo motivo del proprio ricorso incidentale – che deve reputarsi ammissibile, posto che essendogli stato notificato quello della M. il 20.2.2019, risulta in termini quello qui notificato il 25.3.2019 – il Po. denuncia la violazione degli artt. 2,3,27 e 51 Cost. e degli artt. 3,20,40 e 48 CEDU, posto che la Corte d’Appello, onde confermare l’impugnata dichiarazione di incandidabilità, ha, in spregio di ogni automatismo, “acriticamente recepito le osservazioni contenute nella relazione prefettizia e nella proposta di scioglimento del Ministero dell’Interno ed elencato una serie di attività di gestione amministrativa che dimostrerebbero una situazione di gravissimo degrado dell’ente comunale, condizionato dalla criminalità organizzata che ne avrebbero portato alla dichiarazione di scioglimento”, in tal modo violando ingiustamente il diritto di elettorato passivo di esso ricorrente.

7.2. Il motivo, impregiudicatane l’inammissibilità eccepita ex adverso, non ha comunque pregio per le ragioni di cui si è dato ampiamente conto nel rigettare l’analoga doglianza contenuta nel primo motivo del ricorso principale, di modo che è sufficiente rinviare alla confutazione ivi compiutane per aver conto dell’infondatezza qui dichiarata.

7.3. Il secondo motivo del medesimo ricorso, pur facendo leva su una pretesa violazione dell’art. 143 TUEL in cui il decidente del grado sarebbe incorso nell’accreditare quale presupposto per confermare l’incandidabilità di esso ricorrente “la continuità amministrativa ed i rapporti di parentela”, nonchè “la qualità di rappresentante legale della Quadrifoglio s.r.l.”, escludendo per contro ogni considerazione per il fatto che le attività imprenditoriali del medesimo fossero state fatte oggetto da “ripetute, arbitrarie e violente pretese delle propaggini malavitose locali”, lamenta in verità un vizio puramente motivazionale, dato che la Corte d’Appello “ha omesso qualsivoglia autonomo ed approfondito accertamento”, ha attribuito “rilevanza esclusivamente alle argomentazioni sostenute dal Ministero dell’Interno”, “ha perso l’occasione di contribuire con un approfondimento libero e autonomo rispetto a quanto sostenuto in giudizio dal Ministero dell’Interno” e così di seguito.

Debitamente ricondotta perciò alla sua reale matrice la doglianza sottostà ad un inevitabile giudizio di inammissibilità non rappresentando infatti alcuna violazione di legge deducibile in guisa di errore di diritto, ma solo il dissenso motivazionale del ricorrente, insuscettibile come tale di giudizio in questa sede.

8. In conclusione si impone il rigetto del ricorso principale e dei ricorsi incidentali M., A. e Po..

Va accolto invece il primo motivo del ricorso incidentale G. ed assorbiti i restanti motivi di ricorso e cassata nei limiti del motivo accolto l’impugnata decisione, la causa va rinviata al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.

9. Le spese seguono la soccombenza nel solo rapporto con i ricorrenti principali ed i ricorrenti incidentali M., A. e Po..

10. Non ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, essendo il procedimento esente.

P.Q.M.

Decidendo sui procedimenti riuniti.

Respinge il ricorso principale ed i ricorsi incidentali M., A. e Po. e condanna i ricorrenti principali ed i predetti ricorrenti incidentali al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 6200,00 per ciascun ricorso, oltre spese prenotate a debito se dovute.

Accoglie il primo motivo del ricorso incidentale G., cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Catanzaro che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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