Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28254 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 16/09/2020, dep. 11/12/2020), n.28254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16869-2017 proposto da:

TUBETTIFICIO M.FAVIA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CERNUSCO SUL NAVIGLIO, in persona del Sindaco pro tempore,

con domicilio eletto in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la cancelleria

della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

CRISTINA BASSANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7382/2016 della COMM.TRIB.REG. di MILANO,

depositata il 27/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/09/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO.

 

Fatto

RITENUTO

CHE:

Tubettificio M. Favia S.r.l. propone ricorso, illustrato con memorie, per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia n. 7382 del 2016, in controversia riguardante l’impugnazione del diniego di rimborso parziale TIA relativa agli anni dal 2008 al 2012. La contribuente riferisce che con riferimento agli anni dal 2002 al 2005 la Corte di Cassazione si era pronunciata con sentenza n. 9630 del 2012, disponendo l’accoglimento del ricorso introduttivo dalla stessa proposto. Il comune di Cernusco Sul Naviglio, in relazione agli anni 2008, 2009, 2010, 2011, 2012, aveva calcolato la tariffa di igiene ambientale per uri totale di mq 7632 con le relative riduzioni previste per ogni singolo anno, ma assoggettando a tassazione anche le aree adibite a produzione di rifiuti speciali pericolosi, a magazzino e di manovra – parcheggio pari a mq 6.092. La ricorrente ritiene che a seguito della sentenza di questa Corte n. 9630 del 2012 la superficie non tassabile, relativa alla sola parte produttiva, era facilmente individuabile nella planimetria allegata e risulta va pari a mq 3220, ma l’ente comunale aveva applicato l’abbattimento forfettario assoggettando anche l’intera area produttiva. Il Comune aveva respinto l’istanza di rimborso parziale della TIA invocando l’art. 10, commi 2 e 3 del Regolamento Comunale TIA, in base al quale era stata “riconosciuta ed applicata la riduzione dell’80% della parte variabile della tariffa previa dall’art. 10, comma 3, del Regolamento Comunale su una metratura totale di 3.601,11 mq. e la riduzione del 50% della parte variabile della tariffa sulla superficie di 240 mq. adibita ad officina”. La società riteneva, invece, l’intassabilità delle aree per categorie di attività produttiva di rifiuti speciali, tossici o nocivi. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 7785 del 2015, rigettava il ricorso. Tubettificio M. Favi, S.r.l. appellava la pronuncia innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che respingeva l’impugnazione atteso che: a) la società nell’esporre le proprie argomentazioni aveva tenuto conto esclusivamente del D.Lgs. n. 507 del 1993 che disciplina la TARSU anzichè quanto previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997 che ha istituito la TIA, adottata dall’Ente comunale a partire dall’anno 2006; b) non era ammissibile la contestazione avanzata dalla Società sulla “duplicazione di imposta” per le superfici dove si producono rifiuti speciali e l’assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali prodotti da utenze non domestiche e smaltiti a spese dei produttori. Nello specifico, l’art. 10 del Regolamento comunale prevedeva solo una riduzione e per di più limitatamente alla parte variabile TIA, fermo restando il pagamento della parte fissa; c) per lo smaltimento di &Liti speciali non assimilabili agli urbani, l’Ente aveva previsto apposite riduzioni, come meglio specificato all’art. 10 del Regolamento per l’applicazione della TIA.

Il Comune di Cernusco sul Naviglio si costituito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con il primo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La ricorrente lamenta l’erroneità della statuizione contenuta nella pronuncia impugnata secondo cui: “la società nell’esporre le proprie argomentazioni, tiene in considerazione esclusivamente il D.Lgs. n. 507 del 1993, che disciplina la TARSU (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani), che è stato vigore nel Comune di Cernusco sul Naviglio fino all’anno 2005, anzichè quanto previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997 che ha istituito la TIA adottata dall’Ente a partire dall’anno 2006”, benchè con l’appello si sia fatto riferimento alle varie disposizioni legislative intervenute in materia, quali il D.Lgs. n. 507 del 1993, il D.Lgs. n. 152 del 2006, così violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato di cui all’art. 112 c.p.c..

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 158 del 1999, art. 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente rileva che in base al D.Lgs. n. 22 del 1997 ed al D.P.R. n. 158 del 1999 i rifiuti urbani sono sempre soggetti a tassazione, i rifiuti pericolosi sono sempre esclusi dalla applicazione della tassa, i rifiuti speciali rientrano nell’ambito di applicazione del tributo ove il Comune abbia provveduto ad assimilarli. Precisa di avere dedotto e documentato con gli atti allegati al ricorso di primo grado, alla memoria in data 17.6.2015 e all’atto di appello, che i rifiuti derivanti dalla lavorazione industriale costituivano rifiuti speciali pericolosi, con obbligo; di autonomo conferimento a discariche private autorizzale e divieto di conferimento alla discarica comunale, sicchè la superficie di mq. 6092 relativa alla produzione industriale, a magazzino ed a manovra – parcheggio non era soggetta all’applicazione della TIA per gli anni 2008 2012.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 174 del Trattato CEE degli artt. 23,117 e 118 Cost., del D.Lgs. n. 545 del 1992, art. 7, u.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La contribuente denuncia l’illegittimità dell’art. 10 del Regolamento per l’applicazione della TIA del Comune di Cernusco Sul Naviglio, il quale ha previsto una riduzione limitatamente alla parte variabile, per la violazione delle norme indicate in rubrica, con la conseguenza che andava disapplicato D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, u.c.. Il Regolamento del Comune di Cernusco Sul Naviglio si porrebbe in palese contrasto con il principio comunitario “chi inquina paga”, avendo previsto: a) una forma di prelievo non coerente con il più volte citato principio; b) l’applicabilità del regime di assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani anche per quelli derivanti da utenze produttive; c) la tariffa della componente fissa e la riduzione della componente variabile anche nell’ipotesi in cui il rifiuto speciale non è ritenuto assimilabile agli urbani e viene conferiti autonomamente dal produttore.

4. Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità del ricorso per cassazione proposte da parte controricorrente, in ragione delle seguenti considerazioni.

Quanto alla nullità della notifica del ricorso per cassazione che contiene l’indicazione nella relata di notifica che la stessa è stata inviata all’ente “per conto della S.r.l. Italservizi 2007” è evidente che trattasi di un errore materiale, agevolmente desumibile dalla intestazione del ricorso e dalla indicazione della sentenza impugnata nell’atto di impugnazione, nè vi è contestazione che lo stesso sia regolarmente pervenuto al destinatario come risulta dall’allegato avviso di ricevimento.

Con riferimento agli altri profili di inammissibilità ne va rilevata l’infondatezza, in ragione della chiarezza espositiva delle argomentazioni difensive nonchè della precisione, coerenza e lucidità della illustrazione della vicenda processuale in ossequio ai doveri processuali di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

5.Per ragioni di priorità logica vanno trattati congiuntamente il secondo ed il terzo motivo di ricorso, per ragioni di connessione.

5.1. Le critiche sono fondate per i principi di seguito enunciati. a) L’art. 49, compreso nel Titolo I.II del (previgente) D.Lgs. n. 22 del 1997 ha istituito la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani usualmente denominata TIA (Tariffa di igiene ambientale), in sostituzione della soppressa TARSU, prevedendo, in particolare, nella modulazione della tariffa, agevolazioni per la raccolta differenziata “ad eccezione della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che resta a carico dei produttori e degli utilizzatori “(comma 10), e disponendo, altresì, che “sulla tariffa è applicato un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilatf che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua” detta at:ività (comma 14). La TIA, introdotta dal richiamato art. 49 del decreto Ronchi, prima dell’emanazione del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 33, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122 (che ha modificato del D.Lgs. n. 152 del 2006, l’art. 238 con una norma priva, peraltro di portata retroattiva) ha natura tributaria, e in quanto assimilata alla TARSU (Cass. n. 453 del 2018), impone al contribuente l’onere di provare la sussistenza celle condizioni per beneficiare della riduzione, desumibile dal regime delineato dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49 in caso di produzioni di rifiuti assimilati e smaltiti in proprio (Cass. r. 10787 del 2016).

Il contribuente lamenta l’illecito assoggettamento a TIA della superficie di mq.3220 e deduce nell’istanza di rimborso del 30.10.2013 (v. pag. 6 ricorso) di avere regolarmente presentato, per via telematica, la denuncia alla Camera di Commercio di competenza, nella quale sono state indicate le tipologie di rifiuti prodotti (urbani, assimilati agli urbani, speciali, pericolosi, sostanze escluse dalla normativa sui rifiuti) distinti per codice CER. Il Comune ha, invece, respinto l’istanza di rimborso parziale della TIA invocando l’art. 10, commi 2 e 3 del Regolamento Comunale TIA, in base al quale era stata “riconosciuta ed applicata la riduzione dell’80% della parte variabile della tariffa prevista dall’art. 10, comma 3, del Regolamento Comunale su una metratura totale di 3.061,711 mq. e la riduzione del 50% della parte variabile della tariffa sulla superficie di 240 mq. adibita ad officina”.

La ricorrente ha lamentato nel ricorso proposto innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (avverso il diniego del rimborso) una duplicazione di imposta per le superfici dove si producono rifiuti speciali, stante l’assimilabilità ai rifiuti urbani dei rifiuti speciali prodotti da utenze non domestiche e smaltiti a spese dei produttori. Precisa di svolgere attività industriale, per cui è tenuta alla compilazione e presentazione della dichiarazione MUD dove sono riportati le tipologie ed i riferimenti di controllo dei rifiuti speciali con obbligo di smaltimento in proprio.

Nell’atto di appello, il cui contenuto è stato riportato in ricorso in ossequio al principio di autosufficienza, la società riferisce di svolgere attività industriale con produzione di rifiuti non assimilabili agli urbani, perchè qualificati pericolosi.

La circostanza non risulta essere stata contestata e, comunque, è stata provata dal contribuente nel corso del giudizio di merito.

b)Ciò premesso in fatto, questa Corte, con sentenza n. 9859 del 2016 ha ribadito i principi già espressi con la pronuncia n. 9630 del 2012 intervenuta tra le stesse parti e riguardante l’esame del Regolamento comunale istitutivo della Tarsu.

Il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, dettato per la Tarsu, stabilisce che nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto di quella parte di essa ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, deve ritenersi applicabile anche alla TIA, introdotta dal D.Lgs. n. 22 del 1997, sostitutiva dalla Tares ed oggi dalla TARI, come si deduce dal D.Lgs. n. 22 del 1997, stesso art. 49 che, al quattordicesimo comma, stabilisce, infatti, un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti speciali assimilati auto smaltiti e che, pertanto, logicamente implica l’intassabilità dell’area in cui si producano soli rifiuti speciali auto smaltiti non assimilati, ovvero ex lege non assimilabili (Cass. n. 3756 del 2012).

Per indirizzo condiviso questa disposizione, per cui all’impresa contribuente incombe soltanto l’onere di fornire all’Amministrazione comunale i dati relativi all’esistenza ed alla delimitazione delle aree che, producendo di regola rifiuti speciali, non concorrono alla quantificazione della complessiva superficie imponibile, vale senz’altro anche per la nuova tassa, per la riconosciuta sua natura di mera variante della Tarsu (v. Corte costituzionale n. 64 del 2010).

Inoltre, il citato D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3 e art. 14 stabilendo che la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi a qualsiasi uso adibiti esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l’applicazione di un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di ri9uti assimilati che il produttore dimostri di avere avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto svolgente attività di recupero dei rifiuti stessi, chiaramente presuppone l’assoggettamento a TIA dei soli rifiuti urbani, con una sua riduzione per quelli cosiddetti assimilati che siano smaltiti in proprio.

Originariamente sussisteva un’assimilazione ope legis ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purchè aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984, ai sensi della L. n. 146 del 1994, art. 39. La L. n. 128 del 1998, art. 17, comma 3, ha abrogato l’art. 39 ed a questo proposito la S.C. ha chiarito che, venendo meno tale assimilazione ope legis “risulta pienamente operativo il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, lett. g), attributivo ai Comuni della facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche, sicchè, a partire dall’annualità d’imposta 1997, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dei regolamenti comunali circa l’assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari ” (Cass. n. 22223 del 2016).

Per quanto rileva nel presente giudizio trova applicazione il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 21, comma 2, che ha attribuito ai comuni il potere di disciplinare la gestione dei rifiuti urbani attraverso appositi regolamenti. Tale norma contiene un’analitica e dettagliata previsione circa il contenuto di tali regolamenti, tra cui la disciplina delle modalità di raccolta dei rifiuti urbani, di quelli urbani pericolosi, la promozione di forme di recupero, e alla lett. g) la possibilità dell'”assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. d”.

Va precisato che nell’ambito della TIA, la tassabilità della superficie aziendale produttiva di rifiuti speciali è ammessa solo nel caso in cui un’apposita Delib. dell’ente comunale disponga l’assimilazione ai rifiuti urbani del rifiuto prodotto dalla società per l’aspetto sia qualitativo che quantitativo, sulla base dei criteri che vengono indicati dal D.P.R. n. 158 del 1999. I Comuni disciplinano la gestione dei rifiuti con appositi regolamenti che stabiliscono in particolare l’assimilazione per qualità e quantità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, ai fini della raccolta e dello smaltimento sulla base dei criteri fissati ai sensi dell’art. 18, comma 2, lett. d), sancendo tale disposizione le competenze dello Stato ed attribuendo, al comma 2, lett. g., all’autorità statale la determinazione dei criteri quantitativi e qualititativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani. Se il rifiuto non è assimilato con apposita Delib. o se questa contempla rifiuti ex lege non assimilati agli urbani, sussiste l’intassabilità prevista dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62. I rifiuti speciali non assimila bili sono assoggettati ad una disciplina normativa differente da quella prevista per quelli assimilabili. In particolare, i rifiuti speciali non assimilabili sono regolati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, ai sensi del quale i locali ove si producono tali rifiuti sono esenti dal pagamento dell’imposta. Nella determinazione della superficie tassabile non si tiene conto, infatti, di quella parte di essa nella quale, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano di regola rifiuti speciali, tossici o nocivi, per il cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti.

Nell’ipotesi in cui il Comune non abbia stabilito, con apposita valida Delib., l’assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, con l’individuazione delle caratteristiche sia qualitative che quantitative dei rifiuti assimilati tale omissione, anche con riferimento alla sola determinazione quantitativa, implica l’assoluta intassabilità dell’area, con conseguente disapplicazione del regolamento comunale (Cass. n. 9631 del 2012). Questa Corte ha, altresì, precisato che il contribuente è gravato dell’onere di provare di produrre, nell’area industriale, soltanto rifiuti speciali, quale condizione per ritenere esente da TIA l’area di lavorazione (Cass. n. 3756 del 2O’12), ma tale adempimento diviene affatto incidente laddove sia mancata, da parte dell’ente comunale, una valida assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani, costituendo il presupposto dell’imposizione, pertanto ne deriva l’intassabilità dell’area di lavorazione (Cass. n. 25573 del 2009).

Secondo l’indirizzo prevalente espresso da questa Corte, inoltre, alla mancata determinazione dei criteri quantitativi consegue l’illegittimità della Delib. di assimilazione e quindi la disapplicazione, anche d’ufficio, da parte del giudice (Cass. n. 9631 del 2012).

I criteri indicati dal D.P.R. n. 158 del 1999 non solo per le caratteristiche qualitative del rifiuto, ma anche per l’aspetto quantitativo, costituiscono soltanto indici di riferimento in base ai quali il Comune può e deve orientarsi nel procedimento di assimilazione, con l’obbligo di provvedere ad individuare specificamente, pur sulla base di essi, per l’aspetto qualitativo, le specifiche caratteristiche dei rifiuti ritenuti assimilati e, per quello quantitativo, le specifiche quantità delle soglie di prelievo, tenuto conto che, semmai, l’onere di una maggiore precisa specificazione sussiste proprio con riferimento a quest’ultimo profilo.

c)Il giudice di appello, con accertamento in fatto, ha verificato che il Comune di Cernusco Sul Naviglio non ha impostato ” e reso operativo un sistema di calibratura individuale”, ma “si è avvalso della facoltà di determinare la tariffa di riferimento secondo quanto previsto dal D.P.R. n. 158 del 1999. Dall’applicazione dei coefficienti inseriti in dette tabelle derivano le tariffe applicate dal Comune di Cernusco Sul Naviglio. Tali coefficienti tengono conto esclusivamente dei rifiuti speciali conferibili, con esclusione dei rifiuti da imballaggio secondari e terziari al cui smaltimento devono provvedere direttamente i produttori”. Si precisa, inoltre, nella sentenza impugnata, che proprio con riferimento ai locali di produzione è stata prevista “una riduzione del 80% della parte variabile della tariffa su una metratura totale di 3.016,11 mq” ai sensi dell’art. 10, comma 3, del Regolamento Comunale.

Il semplice rinvio del Regolamento comunale ai parametri indicati dalle disposizioni contenute nel D.P.R. n. 158 del 1999 non consente di rispettare i principi sopra precisati, trattandosi di coefficienti del tutto variegati, indicati soltanto in un minimo ed in un massimo variabili per le diverse aree territoriali del Paese, che pertanto non sono suscettibili di generico ed indifferenziato richiamo, come invece è stato fatto dal Comune di Cernusco Sul Naviglio. E’ necessarb, invece, che il Regolamento comunale fornisca, nell’ambito dei margini tabellari ex lege stabiliti, l’esplicita indicazione della esatta soglia prescelta, e delle categorie produttive dei rifiuti, con precisazione dal punto di vista qualitativo e quantitativo.

Ne discende che siffatta determinazione della riduzione della tassazione, operata con criterio meramente quantitativo non è legittima, con la conseguenza che il giudice del merito avrebbe dovuto disapplicare il Regolamento comunale che l’ha disposta, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5.

Il potere del giudice tributario di disapplicare gli atti amministrativi costituenti il presupposto per l’imposizione è espressione del principio generale dell’ordinamento, contenuto nella L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 5, allegato E, e dettato nell’interesse, di rilevanza pubblicistica, all’applicazione di tali atti in giudizio solo se legittimi. Ne consegue che detto potere può essere esercitato anche d’ufficio purchè gli atti in questione siano stati investiti dai motivi di impugnazione dedotti dal contribuente in relazione all’atto impositivo annullato (Cass. n. 9631 del 2012; Cass. n. 1952 del 2019), come nella specie è avvenuto.

6.In definitiva, da siffatti rilievi consegue l’accoglimento del secondo e del terzo motivo di ricorso e l’assorbimento del primo; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in tatto, decidendo nel merito, va accolto il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Le spese di lite dei gradi di merito vanno interamente compensate tra le parti, tenuto conto dell’andamento del processo e del consolidarsi della giurisprudenza di legittimità sulle questioni trattate in epoca successiva alla introduzione della lite, mentre la parte soccombente è tenuta al rimborso delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il primo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente. Compensa le spese di lite dei gradi di merito e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 7.300,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 16 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

 

 

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