Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28253 del 11/12/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/12/2020, (ud. 07/10/2020, dep. 11/12/2020), n.28253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16764-2017 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE COLETTA, che la rappresenta

e difende giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SANTI COSMA E DAMIANO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 9092/2016 della COMM.TRIB.REG. del Lazio

SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 22/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2020 dal Consigliere Dott. MARINA CIRESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato SALVATORE COLETTA che ha chiesto

l’accoglimento.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

P.P. impugnava dinanzi alla CTP di Latina gli avvisi di accertamento emessi dal Comune di Santi Cosma e Damiano relativi all’ICI per gli anni dal 2009 al 2011 ed all’IMU per l’anno 2012, deducendo che il PRG comunale aveva attribuito agli immobili di sua proprietà la natura di area edificabile, ma che detto strumento non era stato definitivamente approvato, mentre la successiva Delib. Giunta comunale 30 novembre 2010 aveva stabilito il valore commerciale di dette aree.

La CTP di Latina accoglieva parzialmente il ricorso, ovvero limitatamente alle sanzioni irrogate per gli immobili in proprietà per gli anni 2009, 2010 e 2011 e per la sola particella n. (OMISSIS) per il 2012.

Avverso detta pronuncia proponeva impugnazione la contribuente la quale rilevava che non sussiste la natura di area fabbricabile con la sola adozione del Piano Regolatore e che non può chiedersi il pagamento dell’ICI per un fondo agricolo.

La CTR del Lazio, con sentenza in data 22.12.2016, rigettava l’appello rilevando che la Delib. della giunta municipale inerente il valore delle aree edificabili ai fini dell’ICI non era stata impugnata, sicchè i valori ed i criteri ivi contenuti erano diventati definitivi, ed inoltre che il valore attribuito doveva ritenersi congruo alla luce della perizia di stima. Confermava quindi la sentenza di primo grado in relazione alla non debenza delle sanzioni.

Avverso detta pronuncia la contribuente proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi. La parte intimata non si costituiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 504 del 1992, art. 2 come interpretato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 nonchè della L. n. 203 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, omesso esame su di un punto decisivo della controversia che ha costituito oggetto di discussione tra le parti, illegittima attribuzione del valore nonchè dell’atto presupposto” parte ricorrente deduceva che il valore del bene era stato determinato sulla base della sola adozione del Piano regolatore generale e che tale valore non può essere commisurato a quello di un terreno che abbia realmente natura edificatoria. In altri termini, deduceva che se può assumersi che con l’adozione del PRG il bene immobile può subire un incremento di valore determinato dall’aspettativa che in futuro possa assumere la natura edificatoria, è altrettanto vero che tale valore non può essere commisurato al valore finale, ovvero quello del bene che abbia realmente natura edificatoria.

Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. b come interpretato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2 in relazione alle annualità di imposta 2012 e 2013 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, omesso esame su di un punto decisivo per la controversia che ha costituito oggetto di discussione tra le parti”(parte ricorrente deduceva che la decisione impugnata non aveva tenuto conto che l’imposta cade sugli immobili che hanno una rendita certa cosicchè non dovrebbero essere gravati i beni sulla base di un loro valore potenziale.

Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. nonchè del D.Lgs. n. 449 del 1997, art. 59 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 illegittimità della Delib. di determinazione del valore delle aree” parte ricorrente deduceva che la sentenza impugnata non aveva motivato in ordine alle doglianze mosse circa il valore commerciale delle aree, e che la commissione decidente ha deciso adottando una motivazione apparente che non dà atto della valutazione delle doglianze mosse.

I motivi primo e terzo del ricorso, da valutarsi congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione del valore attribuito alle aree, sono fondati.

Va premesso che con le diposizioni di cui alla L. n. 248 del 2005, art. 11 quaterdecies, comma 16, e alla L. n. 248 del 2006, art. 36, comma 2, il legislatore ha fornito una interpretazione autentica del D.Lgs. n. 248 del 2006, art. 2, comma 1, lett. b) precisando che “un’area è da considerarsi comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

Tale norma interpretativa è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che, con ordinanza n. 41/2008 ha dichiarato manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale, confermando che “il terreno deve essere considerato fabbricabile dal momento in cui viene ad essere ricompreso in uno strumento urbanistico generale, anche se non definitivamente approvato dalla Regione e mancante dei relativi strumenti attuativi” ” e ciò in quanto “la potenzialità edificatorie dell’area, anche se prevista da strumenti urbanistici solo in itinere, o ancora inattuati, costituisce notoriamente un elemento oggettivo idoneo ad influenzare il valore del terreno e, pertanto, rappresenta un indice di capacità contributiva adeguato, ai sensi dell’art. 53 Cost., in quanto espressivo di una specifica posizione di vantaggio economicamente rilevante ed, inoltre, il criterio del valore venale non comporta affatto una valutazione fissa ed astratta del bene, ma consente di attribuire al terreno il suo valore di mercato, adeguando le valutazioni alle specifiche condizioni di fatto del bene e, quindi, anche alle più o meno rilevanti potenzialità edificatore dell’area”.

L’affermazione di edificabilità del terreno ai fini della determinazione del suo valore venale non può – una volta riconosciuta tale edificabilità da uno strumento urbanistico generale – ritenersi inficiata dalla mancanza di un piano particolareggiato o attuativo, atteso l’indirizzo giurisprudenziale di legittimità incentrato sul D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 2, convertito nella L. n. 248 del 2006 secondo il quale “in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 quaterdecies, comma 16, convertito con modificazione, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 e del D.L. 4 luglio 2006, n. 233, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dell’adozione di strumenti urbanistici attuativi” (Cass. n. 21156/2016; Cass. n. 11182/2014; Cass. 15792/2012 ed altre).

Si tratta di orientamento che recepisce quanto stabilito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 25506/2006, la quale ha osservato che: “L’inizio del procedimento di trasformazione urbanistica è infatti sufficiente a far lievitare il valore venale dell’immobile, le cui eventuali oscillazioni, in dipendenza dell’andamento del mercato, dello stato di attuazione delle procedure incidenti sullo ius aedificandi o di modifiche del piano regolatore che si traducano in una diversa classificazione del suolo, possono giustificare soltanto una variazione del prelievo nel periodo di imposta, conformemente alla natura periodica del tributo in questione, senza che ciò comporti il diritto al rimborso per gli anni pregressi, a meno che il Comune non ritenga di riconoscerlo, ai sensi del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 59, comma 1, lett. f). L’inapplicabilità del criterio fondato sul valore catastale dell’immobile impone peraltro di tener conto, nella determinazione della base imponibile, della maggiore o minore attualità delle sue potenzialità edificatorie, nonchè della possibile incidenza degli ulteriori oneri di urbanizzazione sul valore dello stesso in comune commercio”(vedi da ultimo Cass., Sez. 5 n. 6702/2020).

Va aggiunto, peraltro, che la stima dipendente da quelle che sono le concrete possibilità di edificazione opera su un piano logico e giuridico necessariamente posposto alla qualificazione della natura giuridica dell’area (vedi a riguardo Cass., Sez. 6-T, n. 21761/2018).

Nel caso di specie non vi è dubbio che l’attribuzione del valore alle aree in questione sia avvenuto sulla base del loro inserimento nel PRG senza che la Delib. della giunta comunale abbia fatto alcun riferimento allo stato del bene ed alle sue potenzialità edificatorie rispetto alla mera adozione del piano regolatore.

Inoltre la decisione impugnata sembra subordinare la contestazione della base imponibile alla impugnazione avanti al giudice amministrativo della Delib. comunale estimativa, laddove invece ricorre un’ipotesi di disapplicazione incidentale da parte del giudice tributario D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7.

Le censure svolte da parte ricorrente sono fondate anche laddove la decisione impugnata non dà conto della mancata valutazione degli elementi addotti dalla contribuente circa una minore stima dei beni limitandosi a menzionare le risultanze della perizia di stima del Comune e quindi non indicando il criterio logico seguito dal giudice nella determinazione del proprio convincimento così integrando una motivazione apparente.

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Ed invero, l’Imu si applica anche sulle aree edificabili secondo il criterio del valore venale, così come risulta dal richiamo operato dal D.Lgs. n. 201 del 2011, art. 13 al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 5 (relativo alla determinazione della base imponibile Ici).

In conclusione, in accoglimento dei motivi primo e terzo del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio per una nuova valutazione alla CTR del Lazio, in diversa composizione.

Alla stessa demanda altresì la regolamentazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

In accoglimento dei motivi primo e terzo del ricorso, rigettato il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2020

 

 

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