Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28251 del 15/10/2021

Cassazione civile sez. trib., 15/10/2021, (ud. 12/04/2021, dep. 15/10/2021), n.28251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. ARMONE Giovanni Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18256/2014 R.G. proposto da:

Romana Immobiliare e Costruzioni s.r.l., rappresentata e difesa dagli

avv. Giancarlo Zoppini e Giuseppe Pizzonia, con domicilio eletto

presso il loro studio, sito in Roma, via della Scrofa, 57;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 324/01/13, depositata il 23 maggio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 aprile

2021 dal Consigliere Paolo Catallozzi.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– la Romana Immobiliare e Costruzioni s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 23 maggio 2013, di reiezione dell’appello dal medesimo proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il suo ricorso per l’annullamento della cartella di pagamento, emessa ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis, per il pagamento dell’I.re.s. per l’anno 2006, risultante dall’applicazione della disciplina in materia di società di comodo;

– il giudice di appello ha disatteso il gravame ritenendo che la disapplicazione della normativa in tema di società di comodo, invocata dalla contribuente in ragione dell’asserita sussistenza di circostanze scriminanti, non poteva trovare applicazione in quanto la relativa istanza presentata dalla società non conteneva una dettagliata descrizione di tali circostanze;

– il ricorso è affidato ad un unico motivo;

– l’Agenzia delle Entrate non si costituisce tempestivamente, limitandosi a depositare atto con cui chiede di poter partecipare all’eventuale udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con l’unico motivo di ricorso la contribuente deduce la violazione e falsa applicazione della L. 23 dicembre 1994, n. 724, art. 30, comma 4-bis, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8, per avere la CTR ritenuto che la presentazione dell’istanza di interpello disapplicativo della disciplina in tema di società di comodo avesse carattere obbligatorio, con conseguente preclusione per la parte dalla facoltà di far valere in sede giudiziaria la sussistenza delle circostanze esimenti laddove non dettagliatamente descritte in tale istanza;

– il motivo è fondato;

– i soggetti di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 1, (società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, in nome collettivo e in accomandita semplice, nonché le società e gli enti di ogni tipo non residenti, con stabile organizzazione nel territorio dello Stato) si considerano “non operativi” quando non superino il “test operatività” di cui al medesimo comma 1, ossia quando l’ammontare complessivo dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi, esclusi quelli straordinari, risultanti dal conto economico ove prescritto, è inferiore alla somma degli importi che risultano applicando determinati coefficienti;

– il comma 3 del medesimo articolo prevede che, in tale situazione, fermo restando l’ordinario potere di accertamento dell’Ufficio, si presume che il reddito del periodo di imposta non sia inferiore ad un importo risultante dall’applicazione di criteri ivi indicati facenti leva sul valore di beni e immobilizzazioni posseduti;

– attraverso tale disciplina si è inteso disincentivare il fenomeno dell’uso improprio dello strumento societario, utilizzato come involucro per raggiungere scopi, anche di risparmio fiscale, diversi da quelli previsti dal legislatore per tale istituto (così, Cass. 21 ottobre 2015, n. 21358);

– il successivo comma 4-bis, nella formulazione applicabile ratione temporis, stabilisce che “in presenza di oggettive situazioni di carattere straordinario che hanno reso impossibile il conseguimento dei ricavi, degli incrementi di rimanenze e dei proventi nonché del reddito determinati ai sensi del presente articolo, ovvero non hanno consentito di effettuare le operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto di cui al comma 4, la società interessata può richiedere la disapplicazione delle relative disposizioni antielusive ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37-bis, comma 8”;

– tale interpello disapplicativo non presenta, ad avviso di questo Collegio, natura di una condizione di procedibilità e di limitazione della tutela giurisdizionale del contribuente, né ha comportato l’elisione della facoltà, per quest’ultimo, di superare la presunzione legale di “non operatività” (sancita dal comma 1 della disposizione in esame) mediante la dimostrazione in giudizio di circostanze oggettive e non imputabili che abbiano reso impossibile il conseguimento di ricavi in misura pari alle soglie determinata ai sensi dell’art. 30;

– infatti, i principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) non impediscono al contribuente sia di discostarsi dalla risposta negativa all’interpello resa dalla Amministrazione, senza doverla necessariamente impugnare, per evitarne la cristallizzazione, potendo comunque impugnare gli atti successivi di applicazione delle disposizioni antielusive, sia di esperire la piena tutela in sede giurisdizionale nei confronti dell’atto tipico impositivo che gli venga successivamente notificato, dimostrando in tale sede, senza preclusioni di sorta, la sussistenza delle condizioni per fruire della disapplicazione della norma antielusiva (cfr. Cass., ord., 24 febbraio 2021, n. 4946; Cass., ord., 28 maggio 2020, n. 10158);

– con specifico riferimento all’I.v.a., è stato affermato che, in virtù del principio fondamentale di neutralità dell’imposta, la società ritenuta non operativa può portare in detrazione l’imposta assolta, anche se non abbia presentato l’interpello disapplicativo – salvo che i costi siano fittizi e sia, perciò, configurabile una fattispecie fraudolenta o comunque effettivamente elusiva – potendo la prova della sussistenza del diritto essere fornita non solo con la procedura di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30 comma 4 bis, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis, ma anche in sede processuale (così, Cass., ord., 28 luglio 2017, n. 18807; Cass. 27 marzo 2015, n. 6200);

– pertanto, la Commissione regionale, nel ritenere che in difetto di una sufficiente descrizione dei fatti idonei a giustificare il mancato superamento del test di operatività il contribuente non possa contestare la legittimità della cartella di pagamento emessa in applicazione della disciplina antielusiva, essendogli precluso di allegare nel giudizio di impugnazione dell’atto impositivo nuove o più dettagliate circostanze scriminanti, non ha fatto corretta applicazione del richiamato principio di diritto;

– la sentenza impugnata va, dunque, cassata, in relazione al motivo accolto, e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2021

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