Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28251 del 06/11/2018

Cassazione civile sez. lav., 06/11/2018, (ud. 18/09/2018, dep. 06/11/2018), n.28251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1O7J2–2u-6 proposto da:

ARTA ABRUZZO, – AGENZIA REGIONALE PER LA TUTELA DELL’AMBIENTE,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NIZZA, 63, presso lo studio

dell’avvocato MARCO CROCE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MANUEL DE MONTE;

– ricorrente –

contro

D.G.E., rappresentata e difesa dall’avvocato ANGELO

TENAGLIA per procura speciale in calce al controricorso, domiciliata

come in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1054/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 22/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2018 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO CARMELO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Flavia De Battista per delega verbale dell’avv.

Manuel De Monte;

udito l’Avvocato Angelo Tenaglia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di L’Aquila, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello proposto da D.G.E. nei confronti dell’ARTA Abruzzo, Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Pescara, riconoscendo alla lavoratrice le differenze retributive nella misura risultante dai conteggi prodotti dalla parte appellata, nei limiti della prescrizione quinquennale e dunque limitatamente al periodo dal 27 gennaio 2006 al 20 aprile 2010, a titolo di retribuzione ordinaria, ratei di tredicesima mensilità e trattamento di fine rapporto, oltre interessi legali dal dì del dovuto sino al soddisfo, nonchè il diritto alla relativa regolarizzazione contributiva.

2. La lavoratrice aveva agito in giudizio per sentir dichiarare l’illegittimità dei plurimi contratti di collaborazione coordinata e continuativa intercorsi tra l’ARTA Abruzzo nel periodo di oltre otto anni (dal 2 aprile 2002 al 20 aprile 2010) e l’esistenza tra le parti di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato dal primo contratto, con condanna del datore di lavoro al pagamento delle relative differenze retributive ed al risarcimento dei danni ulteriori, oltre accessori e regolarizzazione contributiva.

3. La Corte d’Appello, respinta l’eccezione di decadenza formulata dall’ARTA ed accolta l’eccezione di prescrizione, nel merito, ha osservato che, pur avendo la lavoratrice svolto mansioni di Esperto Amministrativo, qualifica che esprime una specializzazione professionale, nulla risultava allegato o dimostrato in ordine ad altri decisivi aspetti, rilevanti ai fini del vaglio di legittimità dei contratti in questione. In particolare, non risultava provato che l’oggetto della prestazione corrispondesse ad obiettivi e progetti specifici e determinati ed anzi era incontestato che l’appellante fosse stata adibita a compiti istituzionali dell’ente, rientranti nelle ordinarie attività di istituto. Le prestazioni lavorative erano legate a parametri temporali e quantitativi, sottratti a qualsiasi determinazione autonoma della lavoratrice, la quale era pienamente inserita nell’organizzazione dell’ente, venendo a prestare un’opera del tutto sovrapponibile a quella propria dei dipendenti di ruolo. Era allora evidente che l’Amministrazione si era avvalsa, per il periodo in contestazione, delle prestazioni lavorative, mediante la sottoscrizione di contratti di collaborazione coordinata e continuativa, al di fuori dei presupposti tipici previsti dalla legge, mentre la lavoratrice aveva messo a disposizione dell’ARTA Abruzzo, in detto periodo, le proprie energie lavorative che erano state utilizzate dal datore di lavoro a proprio vantaggio.

3.1. La Corte di appello ha dunque ritenuto di fare applicazione dell’art. 2126 c.c., anche in ragione di quanto previsto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 5. Non ha riconosciuto il diritto a ferie e festività soppresse non godute. Ha rigettato la domanda di “ulteriore” risarcimento del danno, perchè non era stata data la prova di un pregiudizio aggiuntivo, oltre a quello relativo alle rivendicate differenze retributive.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre l’ARTA Abruzzo, prospettando tre motivi di ricorso. Resiste la lavoratrice con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, dell’art. 2222 c.c., del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, della L. n. 267 del 2000, art. 110, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame di un fatto controverso ex art. 360 c.p.c., n. 5,.

La Corte di appello, omettendo di esaminare il contenuto dei contratti, ha ritenuto che gli stessi non rispettassero il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 e art. 7, comma 6. Nè sussistevano nella specie gli elementi della subordinazione, di cui avrebbe dovuto dare prova la lavoratrice.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, con riferimento all’obbligo di rispettare il principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato con riferimento all’applicazione degli artt. 2126 e 2041 c.c..

Assume l’Agenzia ricorrente che la lavoratrice non aveva chiesto in via subordinata il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato di fatto con applicazione dell’art. 2126 c.c., nè aveva proposto un’azione di indebito arricchimento. Pertanto, la sentenza aveva violato il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2041,2126 e 2697 c.c., artt. 36 e 37 Cost., D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Omesso esame circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

Assume l’Agenzia ricorrente che la Corte d’Appello ha riconosciuto, in virtù dell’art. 2126 c.c. per il periodo in contestazione, coperto dai co.co.co, le differenze retributive a titolo di retribuzione ordinaria, ratei di tredicesima, TFR e ricostruzione contributiva, ma la specialità del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 preclude l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2126 c.c.

La Corte d’Appello si sarebbe dovuta limitare a condannare l’Amministrazione a corrispondere il trattamento economico risultante dal titolo invalido per la prestazione svolta dalla lavoratrice, non essendo dovuta una retribuzione maggiore rispetto a quella prevista dal titolo, ancorchè invalido, e dunque solo di quanto necessario a rendere il compenso rispettoso dell’art. 36 Cost., qualora il lavoratore dimostri che il compenso percepito non soddisfa i principi di tale disposizione costituzionale. Pertanto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto rigettare l’impugnazione, confermando la correttezza della sentenza di primo grado.

4. Preliminarmente, il Collegio rileva che altre cause aventi il medesimo oggetto e vertenti sulle stesse questioni giuridiche sono state già esaminate dalla Corte nella camera di consiglio del 13 dicembre 2017 e decise, in senso sfavorevole per l’ARTA Abruzzo, con le ordinanze nn. 9592, 9591, 7491, 7335, 7334, 7117, 7116, 7115, 7114, 7113, 7061, 7060, 6935, 6904 e 6781 del 2018.

5. Il primo motivo è inammissibile, perchè lo stesso è incentrato sulle pattuizioni negoziali intercorse tra le parti con i contratti in questione, in quanto censura l’interpretazione dei suddetti documenti, ma non li allega nè indica il luogo di produzione nel corso del giudizio, in violazione dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6. Parte ricorrente omette di indicate la specifica sede processuale in cui i documenti, contenente la dichiarazione negoziali sono stati prodotti; omette inoltre di indicarne il contenuto, trascrivendo in particolare le causali (il ricorrente si limita ad affermare che nei contratti erano indicate in modo puntuale e chiaro le ragioni relative alla temporaneità e alle sopravvenute esigenze di nuovo personale; che nel contratto di collaborazione erano adeguatamente specificati i programmi su cui la lavoratrice avrebbe operato), limitandosi a darne la propria qualificazione degli stessi.

5.1. Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche ove intenda far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena di inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (tra le più recenti, Cass. n. 14107 del 2017).

5.2. Per il resto, il motivo è infondato in quanto “la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità” (Cass. n. 14434 del 2015).

5.3. La Corte territoriale, oltre a valorizzare l’assenza dei presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7 per il ricorso alla collaborazione coordinata e continuativa, è pervenuta ad affermare la natura subordinata del rapporto dopo avere esaminato le modalità di svolgimento dello stesso ed escluso qualsiasi margine di autonomia della prestatrice. Il giudice di appello, in particolare, ha evidenziato che le risultanze di causa consentivano di ritenere provati: lo stabile inserimento nell’organizzazione dell’ente interessata, l’adibizione a mansioni rientranti nei compiti istituzionali dell’Agenzia, l’assenza di autonomia, la totale coincidenza delle mansioni svolte con quelle espletate dai dipendenti di ruoli.

5.4. Il giudizio di merito compiutamente espresso dalla Corte territoriale non è sindacabile in questa sede nè vi è spazio per il denunciato vizio motivazionale atteso che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame ” di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. S.U. n. 8053/2014).

6. Il secondo motivo è inammissibile.

6.1. In caso di denuncia di un error in procedendo l’esercizio del potere-dovere di esame diretto degli atti da parte del giudice di legittimità è condizionato dalla proposizione di una valida censura, sicchè la parte non è dispensata dall’onere di indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, provvedendo, inoltre, alla allegazione degli stessi o quantomeno a indicare, ai fini di un controllo mirato, i luoghi del processo ove è possibile rinvenirli (fra le più recenti Cass. 21.12.2017 n. 30708; Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. S.U. 22.5.2012 n. 8077; Cass. 10.11.2011 n.23420).

6.2. Detti oneri non sono stati assolti nella fattispecie, perchè I’A.R.T.A. si è limitata a riportare nel ricorso le sole conclusioni dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado non sufficienti ai fini della qualificazione dell’azione proposta e non ha fornito indicazioni finalizzate al pronto reperimento di detto atto.

7. Il terzo motivo è infondato.

7.1. Va richiamata la giurisprudenza di questa Corte consolidata nell’affermare che “la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti dell’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale” (Cass. 9591 del 2018, nonchè Cass. n. 3384 del 2017).

7.2. Con le richiamate pronunce si è evidenziato che l’art. 2126 c.c. ha applicazione generale e riguarda tutte le ipotesi di prestazione di lavoro alle dipendenze di una pubblica amministrazione, salvo il caso in cui l’attività svolta risulti illecita perchè in contrasto con norme imperative attinenti all’ordine pubblico e poste a tutela di diritti fondamentali della persona.

7.3. Si è precisato anche che il trattamento retributivo e previdenziale spettante al lavoratore è quello proprio “di un rapporto di impiego pubblico regolare” (in motivazione Cass. n. 12749/2008) e, quindi, quello previsto D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 2 dal contratto collettivo di comparto.

7.4. Questa Corte ha già affermato, con la sentenza n. 3384 del 2017, che la stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con un’amministrazione pubblica, al di fuori dei presupposti di legge, non può mai determinare la conversione del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potendo il lavoratore conseguire tutela nei limiti di cui all’art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale.

7.5. La Corte d’Appello ricorda come, in ragione della disciplina vigente, la Pubblica Amministrazione può ricorrere a rapporti di collaborazione solo per prestazioni di elevata professionalità, contraddistinte da una elevata autonomia nel loro svolgimento, tali da caratterizzarle come prestazioni di lavoro autonomo, e nell’ipotesi in cui l’amministrazione non sia in grado di far fronte ad una particolare e temporanea esigenza con le risorse professionali presenti in quel momento al suo interno. Nel caso di specie – rileva il giudice di secondo grado – l’ARTA si era avvalsa delle prestazioni della lavoratrice mediante sottoscrizioni di contratti di collaborazione coordinata e continuata al di fuori dei presupposti previsti dalla legge, venendo l’attuale resistente inserita nella struttura organizzativa dell’Agenzia. Trovava dunque applicazione l’art. 2126 c.c..

8. Il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

9. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater occorre dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’ente ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’ARTA Abruzzo al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

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