Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28247 del 06/11/2018

Cassazione civile sez. trib., 06/11/2018, (ud. 12/07/2018, dep. 06/11/2018), n.28247

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7265-2013 proposto da:

A.B., C.F. (OMISSIS), + ALTRI OMESSI, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE TRASTEVERE 244, presso lo studio

dell’avvocato CLAUDIO FASSARI, che li rappresenta e difende giusta

delega in atti;

– G.F.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA FLAMINIA 213, presso lo studio dell’avvocato ROMOLO

REBOA, che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO BENI e ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende

ope legis;

– controricorrente –

e contro

ARAN;

– intimato –

avverso la sentenza n. 375/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/03/2012, R.G.N. 5286/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/07/2018 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ROMOLO REBOA per FRANCESCO PAOLO GERMANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato le domande proposte dagli odierni ricorrenti nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, volte al riconoscimento della qualifica di Vice Dirigente D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 17-bis sin dalla entrata in vigore della L. n. 145 del 2002.

2. La Corte territoriale, richiamato la L. n. 15 del 2009, art. 18 richiamata la sentenza n. 14656 del 2011 delle Sezioni Unite di questa Corte, ha ritenuto, in sintesi, che: il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17-bis, inserito dalla L. n. 145 del 2002, art. 7, comma 3, poi modificato dal D.L. n. 115 del 2005, art. 14-octies conv. in L. n. 168 del 2005, e interpretato autenticamente dalla L. n. 15 del 2009, art. 8 aveva rimesso esclusivamente alla contrattazione collettiva il compito di istituire l’area della vice dirigenza, dettando i criteri ai quali le parti contraenti avrebbero dovuto attenersi per individuare quali dipendenti potessero essere inquadrati in detta area; in assenza di disciplina negoziale, non poteva sorgere alcun diritto a favore di coloro che vantano i requisiti di legge, posto che tali requisiti non costituiscono la sola condizione prevista dalla legge, essendo invece indispensabile l’intervento della disciplina negoziale ad opera delle parti sociali.

3. La Corte ha, altresì, escluso che potesse ravvisarsi un inadempimento dell’Amministrazione per avere omesso di inquadrare i dipendenti in possesso dei requisiti nell’area della vice dirigenza, trattandosi di un’area non venuta ad esistenza in difetto della specifica disciplina contrattuale istitutiva.

4. Infine, ha ritenuto che le allegazioni svolte a sostegno della domanda risarcitoria (danno esistenziale, professionale, all’identità professionale, all’immagine, alla libera esplicazione della personalità nel luogo di lavoro) fossero generiche.

5. Per la cassazione di tale sentenza gli originari ricorrenti hanno proposto ricorso affidato a due motivi, cui resiste con controricorso il Ministero per i beni e le Attività Culturali.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Con il primo motivo i ricorrenti, denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 17 bis e dell’art. 1337 c.c. e omessa motivazione in ordine agli atti di indirizzo della Funzione Pubblica, degli atti ricognitivi del personale destinatario dell’art. 17 bis e dell’atto di stanziamento dei fondi.

7. Deducono che tali atti costituiscono condotte precontrattuali idonee ad ingenerare l’affidamento della controparte in ordine al recepimento contrattuale del richiamato art. 17 bis, e che la lesione di tale affidamento comporta il riconoscimento della relativa tutela risarcitoria nei termini rivendicati negli atti del giudizio di primo grado.

8. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 omessa motivazione e mancata considerazione di elementi decisivi per il giudizio in ordine alla domanda risarcitoria e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. Sostengono che il danno deriva dal mancato conseguimento della qualifica rivendicata e che dalle circostanze allegate avrebbe potuto risalirsi con il ragionamento presuntivo alla prova dei danni lamentati.

9. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, non è fondato.

10. Il D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 17 bis, introdotto dalla L. 15 luglio 2002, n. 145, art. 7, comma 3, poi novellato dal D.L. 30 giugno 2005, n. 115, art. 14-octies, conv. con mod., in L. 17 agosto 2005, n. 168, aveva contemplato l’area della “vicedirigenza”. In particolare, aveva previsto che la contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplinasse l’istituzione di un’apposita “separata” area della vicedirigenza nella quale fosse ricompreso il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, che avesse maturato complessivamente cinque anni di anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche 8^ e 9^ del precedente ordinamento; previsione questa estesa, nei limiti della compatibilità, al personale dipendente dalle altre amministrazioni soggette alla disciplina dettata dal cit. D.Lgs. n. 165 del 2001 con riferimento a posizioni “equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri.

11. Successivamente, per l’interpretazione autentica dell’art. 17-bis intervenne la L. 4 marzo 2009, n. 15, art. 8, che previde che l’art. 17-bis si interpreta nel senso che la vicedirigenza è disciplinata esclusivamente ad opera e nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento, la quale ha facoltà di introdurre una specifica previsione costitutiva al riguardo. E aggiunse che il personale in possesso dei requisiti previsti dall’art. 17-bis potesse essere destinatario della disciplina della vicedirigenza soltanto a seguito dell’avvenuta costituzione di quest’ultima da parte della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento.

12. Nella vigenza di tale disciplina, le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14656 del 2011 hanno affermato che l’art. 17-bis, nel prefigurare una nuova qualifica dei dipendenti pubblici, quella di “vicedirigente”, ne aveva demandato “la disciplina dell’istituzione”, e quindi innanzi tutto l’istituzione, alla contrattazione collettiva, in piena sintonia con il riparto delle fonti di disciplina del rapporto quale definito dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, che assegna appunto in generale alla contrattazione collettiva la regolamentazione del rapporto, lasciando agli atti organizzativi delle pubbliche amministrazioni, nel rispetto dei principi generali fissati da disposizioni di legge, solo la definizione delle linee fondamentali di organizzazione degli uffici, l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza e dei modi di conferimento della titolarità dei medesimi, la determinazione delle dotazioni organiche complessive.

13. Le Sezioni Unite nella sentenza innanzi richiamata hanno osservato che: si trattava di una disciplina che, nell’immediato, non era autoapplicativa perchè presupponeva la prevista istituzione della categoria da parte della contrattazione collettiva; il ruolo determinante della contrattazione collettiva era confermato dalla disposizione di interpretazione autentica dell’art. 17-bis; il personale in possesso dei requisiti previsti dal predetto articolo avrebbe potuto essere destinatario della disciplina della vicedirigenza soltanto a seguito dell’avvenuta costituzione di quest’ultima da parte della contrattazione collettiva nazionale del comparto di riferimento.

14. Va anche considerato che anche in precedenza la giurisprudenza di questa Corte aveva evidenziato che ragioni di ordine logico-sistematico portavano ad escludere, in relazione al pubblico impiego privatizzato, una diretta e completa trasposizione – per effetto del richiamo operato dalla D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2 – dell’art. 2095 c.c. e della disciplina normativa della categoria (legale) dei quadri di cui alla L. n. 190 del 1985.

15. E’ stato, al riguardo, osservato che nei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche il diritto al riconoscimento della categoria di quadro postula la previsione del contratto collettivo applicabile e che al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, dopo la cosiddetta privatizzazione, non è applicabile la disciplina prevista in materia di categorie e qualifiche per il settore privato, con la relativa individuazione dei quadri (art. 2095 c.c. e L. n. 190 del 1985), stante la specialità del regime giuridico previsto per il primo, soprattutto con riferimento al sistema delle fonti, cosicchè la contrattazione collettiva può intervenire senza incontrare il limite dell’inderogabilità delle norme concernenti il lavoro subordinato privato (cfr. Cass. 6063/2008, 14193/2005).

16. Nelle more del giudizio, come noto, il D.L. n. 95 del 2012, art. 5, comma 13, conv. con modificazioni in L. 6 luglio 2012, n. 95, ha abrogato del D.Lgs. n. 546 del 2001, l’art. 17-bis.

17. Tale norma abrogativa ha formato oggetto di ordinanze di rimessione alla Consulta.

18. La Corte costituzionale, con sentenza n. 214 del 2016, ha dichiarato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3,24,97 e 101 Cost., art. 102 Cost., comma 1, art. 103 Cost., comma 1, art. 111 Cost., commi 1 e 2, art. 113 Cost. e art. 117 Cost., comma 1 del D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 5, comma 13, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 135, che abroga, a distanza di anni, la disciplina relativa all’istituzione, attraverso la contrattazione collettiva, di un’apposita area separata della vice dirigenza nella quale ricomprendere il personale laureato appartenente alle posizioni C2 e C3, con cinque anni di anzianità in tali posizioni o nelle corrispondenti qualifiche 8^ e 9^ del precedente ordinamento.

19. Con riguardo alle domande risarcitorie, va, poi, osservato che questa Corte anche nella recente sentenza n. 2829/2018, ha affermato che nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, l’omessa istituzione, ad opera della contrattazione collettiva nazionale di comparto, della categoria della vicedirigenza non determina la violazione di un interesse dei dipendenti tutelabile in forma risarcitoria, in quanto il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17 bis oggi abrogato – si è limitato ad individuare il livello della contrattazione collettiva facoltizzata ad introdurre tale figura professionale, con una disciplina tutta interna all’azione della parte pubblica nella formazione della contrattazione collettiva, senza configurare alcuna posizione tutelata – a livello di interesse legittimo – dei dipendenti predetti.

20. Nella richiamata sentenza del 2018 è stato anche rilevato che non può avere rilievo l’atto di indirizzo di cui all’art. 41 predetto D.Lgs., che si inserisce in un rapporto di mandato tra le pubbliche amministrazioni e I’ARAN che le rappresenta nelle trattative contrattuali, cui sono estranei non solo le associazioni sindacali dei dipendenti, quali controparti contrattuali, ma anche i dipendenti stessi, che non hanno alcuna situazione tutelata per orientare l’attività di indirizzo in un senso piuttosto che in un altro.

21. Per tali assorbenti considerazioni il ricorso va rigettato con onere delle spese a carico di parte soccombente.

22. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di Consiglio, il 12 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2018

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