Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28242 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. VI, 04/11/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 04/11/2019), n.28242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30945-2018 proposto da:

H.M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CATERINA BOZZOLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 936/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 19/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARINA

MELONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte di Appello di Venezia con sentenza in data 19/4/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dal Tribunale di Venezia in ordine alle istanze avanzate da H.M.A., nato in BANGLADESH il 1/2/1996, volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di VERONA di essere fuggito dal proprio paese in quanto non aveva un lavoro per mantenere la sua famiglia e non era in grado di restituire i debiti. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 342,350 e 352 c.p.c. in riferimento all’art. 702 quater c.p.c., in quanto la Corte di Appello di Venezia ha ritenuto di applicare il rito camerale anzichè il rito ordinario al procedimento di appello in tema di protezione internazionale.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la Corte di Appello di Venezia, non ha acquisito informazioni sul paese di origine del ricorrente e non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria ed umanitaria.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice di merito nonostante la situazione di vulnerabilità dal ricorrente non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il primo motivo di ricorso si palesa infondato lamentando con esso il ricorrente una limitazione del proprio diritto di difesa che tuttavia non precisa, nell’avere la Corte territoriale applicato, proprio a norma dell’art. 702 quater c.p.c., il rito sommario di cognizione.

I motivi due e tre del ricorso, pur rubricati sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contengono in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

La Corte di Appello di Venezia ha confermato il provvedimento della Commissione Territoriale ritenendo non credibili le affermazioni del ricorrente in quanto inattendibili ed inverosimili.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che le minacce a carattere meramente privatistico e l’assenza di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine ed in particolare nella zona di provenienza del ricorrente escludano il diritto alla protezione sussidiaria.

Ciò premesso, nella specie, la Corte territoriale non è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona tenuto anche conto della concreta possibilità di accesso alla protezione interna da pericoli derivanti da soggetti non statuali, non risultando dimostrata la sua assenza e l’incapacità dello stato di origine di offrire adeguata tutela.

A fronte di tali accertamenti, inammissibile si mostra la censura, espressa in ricorso, circa la mancata attivazione nella specie dei poteri ufficiosi di indagine, tenendo presente: a) che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c): tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. tra molte: Cass. n. 340/19); b) che qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la situazione persecutoria nel Paese di origine prospettata dal richiedente ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. tra molte: Cass. n. 16925/18; n. 28862/18), ipotesi che nella specie non ricorre; c) che, quanto alla sussistenza nella zona di provenienza del ricorrente di una fattispecie sussumibile nella previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la Corte di merito ha precisato come la zona del Sud della Nigeria (OMISSIS) non risulti dalle indicate fonti reperibili interessata dalla presenza di un conflitto di livello così elevato da comportare per i civili, per la sola presenza nel territorio in questione, il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona.

Del tutto generica, infine, si mostra la doglianza avverso il diniego di protezione umanitaria: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato. Quanto infine al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero è appena il caso di osservare che esso non integra da solo nè prima e tantomeno adesso nel vigore della nuova normativa motivo idoneo al riconoscimento del diritto dello straniero alla protezione umanitaria.

Per quanto sopra si impone il rigetto del ricorso in ordine a tutti i motivi. Nulla per le spese.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese. Ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, non essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sesta sezione civile della Corte di Cassazione, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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