Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28236 del 14/10/2021

Cassazione civile sez. II, 14/10/2021, (ud. 03/12/2020, dep. 14/10/2021), n.28236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24852/2019 proposto da:

O.U., rappresentato e difeso dall’avvocato FEDERICO LERA, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 901/2019 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 18/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2020 dal Consigliere Dott. SERGIO GORJAN.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.U. – cittadino della Nigeria – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Genova avverso la decisione della locale Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, che aveva rigettato la sua istanza di protezione in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essersi dovuto allontanare dal suo Paese poiché, alla morte del padre, gli adepti della setta cui il genitore aderiva volevano costringerlo ad aderire contro la sua volontà, giungendo anche a porre in essere violenze fisiche nei suoi riguardi.

Il Tribunale ligure rigettò il ricorso e l’ O. propose gravame avanti la Corte d’Appello di Genova, che respinse l’impugnazione osservando come effettivamente il racconto reso dal richiedente asilo non era credibile; come non appariva concorrere situazione socio-politica di violenza generalizzata nello Stato nigeriano, in cui il ricorrente viveva, e che, nemmeno con riguardo alla protezione umanitaria, il ricorrente aveva fornito elementi utili per poter individuare sua condizione di vulnerabilità mentre gli indici afferenti all’integrazione sociale non erano significativi.

Avverso detta sentenza l’ O. ha proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi.

Il Ministero degli Interni, ritualmente vocato, s’e’ costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dall’ O. appare inammissibile a sensi dell’art. 360 bis c.p.c. – siccome ricostruita la norma ex Cass. SU n. 7155/17.

Con il primo mezzo d’impugnazione proposto il ricorrente deduce omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5, fatto individuato nell’errata valutazione di un passaggio delle sue dichiarazioni e delle informazioni afferenti la setta degli (OMISSIS) in relazione alle modalità di affiliazione, anche desumibili da altri arresti giurisprudenziali.

La censura siccome formulata s’appalesa inammissibile poiché non inquadrabile nella fattispecie disciplinata ex art. 360 c.p.c., n. 5.

Difatti, nella versione vigente, detta norma disciplina solamente il vizio di omesso esame di un fatto storico e non anche vizio di motivazione e, nella specie, per le stesse argomentazioni critiche svolte dal ricorrente appare come la Corte ligure ebbe puntualmente ad esaminare le sue dichiarazioni e ad assumere specifiche informazioni circa la setta de quale le sue modalità di affiliazione. Dunque il fatto storico in questione fu all’evidenza esaminato dai Giudici genovesi che hanno puntualizzato come l’affiliazione coatta sia bensì possibile – come enfatizzato dal ricorrente con la riproduzione di stralci di studi in materia – ma solo allorquando l’interessato sia a conoscenza di segreti della setta; ma ad apposita domanda l’ O. ha escluso di conoscere alcunché riguardo la setta.

Con la seconda ragione di doglianza l’ O. deduce violazione delle regole di diritto desumibili del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b) c) ed D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, poiché il Collegio ligure non ebbe a ben apprezzare sia la minaccia rappresentata dalla potente setta – pericolo specifico -, che la concorrenza del pericolo generico rappresentato dalla situazione socio-politica della Nigeria, connotata da violenza diffusa, come ben lumeggiato e da decisioni di altri Giudici e dalle informazioni desumibili da rapporti di Amnesty International ed altri Organismi e dal sito curato dal Ministro degli Esteri di avvisi ai viaggiatori.

L’argomentazione critica svolta si compendia nella proposizione di mera tesi alternativa rispetto al decisum della Corte d’Appello, senza un effettivo confronto con la motivazione espressa dai Giudici liguri, sicché le censure risultano generiche ed inammissibili.

Difatti il Collegio genovese ha puntualmente esaminato, con riguardo al profilo di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), il pericolo specifico prospettato dal richiedente asilo e correlato alle minacce formulate dagli adepti alla setta, cui ha rifiutato d’aderire, e ritenuto questo non sussistente per la non credibilità del suo narrato.

Quindi la Corte territoriale ha puntualmente esaminato D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), la situazione socio-politica attualmente esistente in Nigeria, con particolar risguardo alla zona di residenza dell’ O., ed indicato partitamente le fonti di conoscenza utilizzate – rapporti redatti da Enti internazionali all’uopo predisposti – dalle quali ha ricavato che, se anche esistenti ragioni di instabilità specie per l’azione di gruppi criminali, tuttavia la situazione non era connotata da violenza diffusa nell’accezione individuata dalla Corte Europea.

La contestazione mossa al riguardo si limita ad enfatizzare le criticità già segnalate dai Giudici genovesi correlate all’azione di criminali, dediti anche al sequestro a scopo di estorsione di stranieri, ed attentati terroristici però limitati a determinate zone del Paese diverse dall’Edo State.

Dunque la censura si compendia nella richiesta a questa Corte di legittimità di un’inammissibile valutazione circa il merito della causa, proponendo tesi meramente alternativa rispetto alla statuizione adottata dalla Corte di merito.

Con il terzo mezzo d’impugnazione l’ O. deduce violazione delle norme del D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 32, comma 3 ed D.P.R. n. 268 del 1998, art. 5, comma 6, in tema di protezione umanitaria, poiché il Collegio ligure non ha ritenuto rilevante, ai fini di detta protezione, la situazione socio-politica dell’Edo State e la sua situazione personale di fuoriuscito da oramai 4 anni e con pochi parenti ancora abitanti in Nigeria.

La censura mossa appare generica poiché non viene svolto argomento di contestazione critica specifica rispetto alla motivazione sul punto articolata dalla Corte genovese.

Difatti i Giudici liguri hanno puntualmente motivato circa l’assenza d’allegazione di condizioni di vulnerabilità diverse da quelle addotte a sostegno della domanda di godere degli altri due istituti di protezione – ritenute non esistenti poiché non credibile il narrato reso – e sottolineato come il ricorrente abbia legami familiari in Nigeria e non abbia dedotto dato fattuale atto a lumeggiare suo radicamento in Italia – privo di legami e privo di lavoro stabile e remunerativo -, operando pure la comparazione richiesta e valutando che il rimpatrio non inciderebbe sui suoi diritti fondamentali.

Questa motivazione non appare specificatamente incisa dall’argomentazione critica svolta, che si risolve nella mera contestazione apodittica di alcune delle valutazioni fatte dalla Corte territoriale – incapacità della sorella di mantenerlo adeguatamente.

Alla declaratoria d’inammissibilità dell’impugnazione non segue, ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità poiché l’Amministrazione degli Interni si è costituita con controricorso che non palesa i requisiti minimi propri di detto atto processuale. Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di consiglio, il 3 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 ottobre 2021

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