Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28236 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. III, 10/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29185-2019 proposto da:

C.P., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato

FILIPPO LUIGI BERSANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE MILANO, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 15/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. O.P., cittadino (OMISSIS) ((OMISSIS), (OMISSIS)), ricorre per cassazione con 3 motivi avverso il decreto del Tribunale di Milano n. 6571 del 15 agosto 2019 che non ha accolto la richiesta del ricorrente di protezione internazionale ritenendo:

a) il richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè il richiedente asilo non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza del richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dalla Nigeria per sottrarsi al rischio della furia vendicativa dei vicini perchè un suo operaio aveva accidentalmente incendiato il suo campo e che l’incendio si era esteso sui terreni confinanti.

3. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la motivazione del decreto circa la credibilità del ricorrente, in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, art. 5, lett. b). Il tribunale ha effettuato una erronea e superficiale ricostruzione dei fatti compiendo una valutazione contra legem in merito alla credibilità del ricorrente.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la parte del decreto ove il Tribunale, in violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 14 e 19 non rinviene i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria alla luce delle personali vicissitudini del ricorrente, delle minacce e delle violenze subite.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente censura la motivazione del decreto ove dispone di non concedere la protezione umanitaria, non ravvisando la condizione di vulnerabilità e tralasciando di valutare ulteriori ed essenziali elementi necessari ai fini di una giusta decisione. Non sono state considerate le condizioni in cui versa il ricorrente ed il futuro significativo peggioramento ove O.P. in caso di rimpatrio.

6. Il ricorso è innanzitutto inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3 in quanto l’esposizione del fatto in esso contenuta è del tutto inidonea allo scopo.

Il Collegio rileva che il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003). Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

Il ricorso, nell’esposizione del fatto, non rispetta tali contenuti ed è pertanto inammissibile.

Peraltro, se si passasse a leggere l’esposizione dei tre motivi, fermo che essa resta impossibile in ragione della mancanza di conoscenza del fatto sostanziale e processuale, si dovrebbe rilevare che essi si sostanziano – al di là dei paradigmi invocati, in modo del tutto generico – in un’accusa del decreto impugnato di avere motivato in modo erroneo.

Ma il giudice del merito al contrario di quanto sostiene il ricorrente in merito al primo motivo la valutazione di (non) credibilità del ricorrente appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri che questo stesso collegio ha specificamente ed analiticamente indicato con la pronuncia n. 8819/2020 essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo, che lo ha visto, secondo quanto da lui dettagliatamente esposto, contraddire ripetutamente e irrimediabilmente se stesso, a far data dalle dichiarazioni rese. L’analisi, analitica e approfondita, di tutti gli elementi del racconto compiuta dal giudice di merito ne sottraggono la relativa motivazione alle censure mosse da parte ricorrente.

Conforme a diritto risulta per altro verso la pronuncia impugnata sotto il profilo del dovere di cooperazione del giudice, volta che la storia del Paese viene puntualmente ricostruita per oltre tre pagine (4, 5 e 6 decreto impugnato), escludendosene poi, fondatamente, la caratteristica di Stato attualmente teatro di conflitto armato, ed evidenziando anche che la situazione dell'(OMISSIS) è causata da una criminalità sostanzialmente comune e comunque non tale da determinare una rilevante e stabile perdita di controllo del territorio da parte dell’Autorità governative.

Per quanto riguarda poi la protezione umanitaria il giudice del merito ha effettuato, escludendola, la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

7. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, attesa la indefensio della parte pubblica.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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