Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28234 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. III, 10/12/2020, (ud. 10/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28234

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28842-2019 proposto da:

I.L., domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria

della Corte di Cassazione rappresentate e difeso dall’avvocato

ALESSIA PONTENANI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 16/08/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/09/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. I.L., cittadina del (OMISSIS), chiese alla competente comniissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. fondamento della sua istanza dedusse di essere nata in (OMISSIS), dove ha preso la cittadinanza paterna, ma di essere cresciuta in Nigeria e di essere religione (OMISSIS) motivo per cui era fuggita dal suo paese. Di essere stata costretta da suoi connazionali, sia durante il viaggio per giungere in Italia, sia in Italia, a prostituirsi. Solo grazie all’aiuto di un amico è riuscita ad uscire dal giro della prostituzione e a trovare un lavoro come parrucchiera.

3. La Commissione Territoriale ha rigettato l’istanza. Avverso tale provvedimento propose opposizione ex art. 702 bis c.p.c. dinanzi al Tribunale di Milano, che con ordinanza n. 6657 del 16 agosto 2019 rigettò il reclamo.

Il Tribunale ha ritenuto:

a) la richiedente asilo non credibile;

b) infondata la domanda di protezione internazionale perchè I.L. non aveva dedotto a sostegno di essa alcun fatto di persecuzione;

c) infondata la domanda di protezione sussidiaria perchè nella regione di provenienza della richiedente asilo non era in atto un conflitto armato;

d) infondata la domanda di protezione umanitaria poichè l’istante non aveva nè allegato, nè provato, alcuna circostanza di fatto, diversa da quelle poste a fondamento delle domande di protezione “maggiore” (e ritenute inveritiere), di per sè dimostrativa d’una situazione di vulnerabilità.

4..Avverso tale pronuncia I.L. ricorre per cassazione con 2 motivi. Il Ministero dell’Interno non si è difeso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5. Denuncia che il Tribunale di Milano non avrebbe applicato in modo corretto le norme sull’onere della prova alla luce dei parametri fissati dalle predette disposizioni e violando i criteri legali per la valutazione di credibilità del ricorrente escludendo i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato. Il giudice avrebbe dovuto prevedere la partecipazione della giovane al fine di esperire un’approfondita istruttoria.

Il motivo è infondato.

La valutazione di (non) credibilità del ricorrente in merito alla vicenda narrata appare, difatti, rispettosa tout court dei criteri che questo stesso collegio ha specificamente ed analiticamente indicato con la pronuncia n. 8819/2020, essendo stata puntualmente condotta alla luce della necessaria disamina complessiva dell’intera vicenda riferita dal richiedente asilo.

5.2. Con il secondo motivo la ricorrente si duole che il giudice del merito non avrebbe considerato nel caso in esame, ai fini della concessione della protezione umanitaria le vicende vissute in Libia e le violenze subite dalla ricorrente sia durante la traversata sia nei centri di detenzione in Libia sia sulle imbarcazioni che l’hanno portato in Italia dove una volta giunta è stata costretta a prostituirsi.

Il motivo relativo alla richiesta di protezione umanitaria è fondato.

Il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso. Nel caso di specie il giudice del merito non ha comparato la situazione di vulnerabilità della ricorrente considerando le violenze subite nel territorio di transito (Libia) sia quelle subite per indurla alla prostituzione.

Risulta del tutto carente (ben al di sotto del “minimo costituzionale” imposto dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità), nella motivazione impugnata, la valutazione comparativa tra la odierna situazione della ricorrente e la possibile compressione del nucleo dei suoi diritti fondamentali, in caso di rimpatrio nel Pese d’origine, da condurre in ossequio ai principi che si andranno ad esporre.

Sul punto, va ricordato in premessa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4455/2018, per come confermata anche da Cass., ss.uu., sent. 29459/2019), in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

Quanto al giudizio di credibilità del racconto, va osservato come, nel caso di specie, il giudice del merito enunci i motivi per cui ha ritenuto non credibile il ricorrente ma lo fa in relazione alla valutazione della protezione sussidiaria.

Orbene occorre chiarire che per il riconoscimento dello status di rifugiato, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, deve essere dimostrato che il richiedente asilo abbia subito, o rischi concretamente di subire, atti persecutori come definiti dall’art. 7 (atti sufficientemente gravi per natura o frequenza, tali da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, ovvero costituire la somma di diverse misure il cui impatto si deve risolvere in una grave violazione dei medesimi diritti). La decisione di accoglimento consegue ad una valutazione prognostica dell’esistenza di un rischio.

Tali atti devono concretizzarsi sotto forma di persecuzione per i motivi di cui all’art. 2 (motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale, opinione politica);

gli atti persecutori devono provenire dai soggetti indicati nell’art. 5: stato, partiti, organizzazioni che controllano lo stato o gran parte del suo territorio, soggetti non statuali se i responsabili dello stato o degli altri soggetti indicati dalla norma non possano o non vogliano fornire protezione.

Requisito essenziale per il riconoscimento dello status di rifugiato è il fondato timore di persecuzione, personale e diretta, nel paese di origine del richiedente asilo, e la situazione socio-politica o normativa del richiedente asilo è rilevante, ai fini del riconoscimento della misura, solo se si correla alla specifica posizione del richiedente, il quale rischi verosimilmente specifiche misure sanzionatone a carico della sua integretà plico-fisica (cass. 18353/2006; cass. s.u. 27310; cass. 10177/2011).

In definitiva lo status di rifugiato presuppone, pertanto, l’accertamento di una violazione individualizzata – e cioè riferibile direttamente ed individualmente alla persona del richiedente asilo – in relazione alla situazione del paese di provenienza – in base al racconto ed alla valutazione di credibilità operata dal giudice di merito: una valutazione negativa esclude, pertanto, ipso facto, la possibilità del riconoscimento dello status di rifugiato.

La valutazione di credibilità potrebbe, comunque, non essere sempre necessaria ove, dalla stessa prospettazione del ricorrente, non emerga l’esistenza dei fattori di inclusione nelle due forme di protezione maggiori.

Completamente diversa, invece, è la prospettiva del giudice in tema di protezione umanitaria, per il riconoscimento della quale è necessaria e sufficiente (anche al di là ed a prescindere dalla valutazione di credibilità del racconto) la valutazione comparativa tra il livello di integrazione raggiunto in Italia e la situazione del paese di origine, qualora ne sia accertata la violazione del nucleo incomprimibile dei diritti della persona che ne vulnerino la dignità (accertamento da compiersi anche alla luce del dettato costituzionale di cui all’art. 10, comma 3, ove si discorre di impedimento allo straniero dell’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla costituzione italiana).

Per il riconoscimento della protezione umanitaria, infatti, è sufficiente la valutazione dell’esistenza di presupposti che non sono influenzati dalla valutazione (negativa) di credibilità: es. condizioni di salute, come confermate dall’esistenza di certificati medici; conflitto a bassa intensità nel paese d’origine (cfr. circolare della commissione nazionale per il diritto di asilo del 30.7.2015).

Ebbene nel caso di specie il giudice del merito non ha applicato nessuno dei principi sopra esposti.

6. Pertanto la Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese al Tribunale di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

la Corte rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese al Tribunale di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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