Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2823 del 07/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 2823 Anno 2014
Presidente: AMATUCCI ALFONSO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 11336-2008 proposto da:
TAVERNA EMANUELE TVRMNL41H23A182F,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51, presso
lo studio dell’avvocato LUPONIO ENNIO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato PORRATI
CARLO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

2325

SECI

S.R.L.

dell’Amministratore

06151860159
delegato

in
EDOARDO

persona
ALBERTO

4

FRANCELLA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

1

Data pubblicazione: 07/02/2014

ALESSANDRO FARNESE 19, presso lo studio dell’avvocato
PUGLIESE ANDREA, che la rappresenta e difende
unitamente agli avvocati MINOLI LUISA, MINOLI GIULIA
giusta delega in atti;
FRANCHELLA

EDOARDO

ALBERTO

FRNDRD48R18D599Z,

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato GALANTI MARCO EMANUELE giusta delega in
atti;
– controricorrenti
avverso la sentenza n.
D’APPELLO

di

MILANO,

2769/2007
dep.

della CORTE

22/10/2007,

R.G.N.

323/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/12/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato ENNIO LUPONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine per il rigetto;

domiciliata ex lege in ROMA presso la CANCELLERIA

c
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 5 dicembre 1994 la SECI srl
conveniva in giudizio Emanuele Taverna esponendo: a) di avergli
conferito nel novembre 1992 mandato a gestire e vendere 15
imbarcazioni Dehler 36 db, concesse in leasing all’attrice dalla

ciascuna b) che il Taverna non aveva fornito il rendiconto del
proprio operato né versato il prezzo di 6 delle barche vendute.
Ciò premesso, chiedeva ordinarsi al convenuto di rendere il
conto generale delle operazioni di gestione di tutte le
imbarcazioni e, in particolare, della vendita delle sei
imbarcazioni a vela vendute per ultimo e condannarlo alla
restituzione delle somme riscosse con interessi e maggior danno.
Nel corso del giudizio si costituiva il convenuto resistendo
alla domanda e chiedendo in via riconvenzionale la condanna
dell’attrice e di Edoardo Franchella, da lui chiamato in causa,
in proprio e quale legale rapp.te della Seci, al pagamento della
somma di L.66.010.499 oltre rivalutazione ed interessi di cui
assumeva di essere creditore in relazione all’incarico ricevuto.
Si costituiva altresì il terzo riconoscendo di aver assunto
personalmente le obbligazioni di cui alla scrittura privata con
cui il mandato era stato conferito. In esito al giudizio, il
Tribunale adito condannava il convenuto al pagamento della somma
di C 171.269,33 in favore della Seci e della somma di C
24.906,43 in favore del Franchella, oltre interessi legali;
respingeva le domande riconvenzionali del convenuto, che

3

Mercantile Leasing Spa, al prezzo minimo di 7 milioni + Iva

condannava alla rifusione delle spese. Avverso tale decisione il
soccombente proponeva appello ed in esito al giudizio, in cui si
costituivano gli appellati, la Corte di Appello di Milano con
sentenza depositata il 22 ottobre e notificata in data 13
febbraio 2008 respingeva l’impugnazione, provvedeva al governo

società Seci.

Avverso la detta sentenza il Taverna ha quindi

proposto ricorso per cassazione articolato in undici

motivi.

Resistono con controricorso la Seci Srl ed il Franchella, il
quale ha altresì depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con la prima

doglianza,

deducendo la violazione

degli

artt.112 cpc, 183 e 184 cpc (nel testo anteriore alla riforma di
cui alla legge 353/90) nonché la motivazione omessa ed
insufficiente, il ricorrente, premesso che in citazione la Seci
aveva chiesto il conto delle operazioni di gestione riguardanti
soltanto sei imbarcazioni nonchè chiesto la restituzione delle
somme riscosse solo per esse; premesso che soltanto con
successiva memoria la Seci aveva cercato di estendere la sua
domanda anche alle prime nove imbarcazioni; premesso che il
Tribunale di Milano,ad onta del suo rifiuto di accettazione del
contraddittorio su tale domanda nuova, aveva illegittimamente
deciso su di essa; tutto ciò premesso, ha censurato la sentenza
impugnata deducendo che la Corte di merito avrebbe ingiustamente
disatteso il motivo di impugnazione, con cui era stato dedotto il
vizio di ultrapetizione, sulla base di una inesatta interpretazione

4

delle spese, rigettava la domanda ex art.96 cpc proposta dalla

e

della domanda attrice in quanto aveva ritenuto erroneamente che essa
si sarebbe riferita, fin dall’inizio, alla generalità delle
operazioni di gestione di tutte le quindici imbarcazioni oggetto
del mandato.
La doglianza è infondata. Come ha già avuto modo di avvertire questa

lamentata l’omessa pronuncia su una domanda o su specifiche
eccezioni fatte valere da una parte integra un “error in
procedendo”, in relazione al quale la Corte di Cassazione e’
anche giudice del fatto ed ha il potere – dovere di esaminare
direttamente gli atti di causa.
Ciò posto, premesso che i giudici di appello hanno escluso la
sussistenza del vizio di ultrapetizione sulla base del rilievo che già
nell’atto introduttivo del giudizio, l’attrice aveva chiesto
ordinarsi al convenuto di rendere il conto generale delle
operazioni di gestione di tutte le imbarcazioni, oggetto del
mandato, deve sottolinearsi che il diretto esame degli atti
consente di riscontrare la correttezza del rilievo dei giudici
di merito, fondato sullo specifico richiamo – previo ricorso al
carattere corsivo – operato in merito ad alcune espressioni
contenute nella citazione della Seci (v. “operazioni di gestione
oggetto del mandato;

di tutte le imbarcazioni”,
particolare”,

“in

le operazioni concernenti le ultime sei). Deve

quindi affermarsi che l’azione di rendiconto proposta dalla Seci
srl, fin dall’inizio, si riferiva effettivamente alla generalità

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Corte, con orientamento consolidato, la doglianza con cui viene

delle imbarcazioni, oggetto del mandato, e non solo delle ultime
sei vendute.
Ciò posto,contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, deve
confermarsi l’assoluta correttezza della conclusione, alla quale
sono pervenuti i giudici di secondo grado, attraverso un iter

lettura della sentenza, la quale consente di seguire con
assoluta chiarezza il percorso argomentativo della Corte di
merito e di cogliere le ragioni fondamentali poste da essa a
base della decisione, onde l’infondatezza della doglianza in
esame.
Passando all’esame del secondo motivo, svolto per insufficiente
e contraddittoria motivazione, il ricorrente ha richiamato
l’attenzione sul fatto che la Corte di appello, dopo aver
rilevato che all’epoca del conferimento del mandato di vendita
al Taverna le imbarcazioni erano prive di dotazioni ed
attrezzature, ha poi riconosciuto che, come risultava dalla
documentazione in atti e dalle deposizioni dei testi, esse
vennero successivamente vendute complete di dotazioni ed
attrezzature. Ciò malgrado, la Corte ha negato al Taverna il
riconoscimento dei relativi importi sotto l’aspetto che le
fatture non sarebbero state emesse direttamente nei suoi
confronti. L’illogicità e la contraddittorietà risiederebbe nel
rilievo che, una volta accertato che il Taverna aveva
personalmente effettuato le dotazioni, non gli si sarebbe dovuto
escludere il riconoscimento dei relativi importi. Anche tale

6

assolutamente lineare, chiaro ed esaustivo, come risulta dalla

doglianza è infondata, non sussistendo il preteso vizio
motivazionale in quanto, contrariamente a quanto asserito dal
ricorrente, la Corte di merito non ha mai affermato che le
forniture di vele, accessori e ricambi sarebbero state
effettuate personalmente dal Taverna.

seconde cure hanno invece affermato che il Taverna non aveva
affatto provato di aver provveduto personalmente a dotare le
imbarcazioni di vele, accessori, ovvero a portarle a condizioni
in cui erano al momento della vendita, utilizzando il ricavato
delle vendite delle prime imbarcazioni od anticipando le somme
occorrenti. Invero,

pur essendo state le barche rimesse in

pristino secondo le indicazioni del Taverna,

i relativi

interventi, eseguiti dalla Geo srl, furono fatturati a Cema srl
(e dalla stessa saldati) e non già al Taverna.
Tali circostanze

così continua la Corte di merito

risultavano dagli atti di causa (v. docc.106-112 fasc.I’grado
appellante; fatture Elvstrom Sails, Plastimar, srl Tomasoni,srl
Adria Yachts, tutte risalenti al 1992; nonchè deposizione del
teste Greco,responsabile del cantiere Geo). Inoltre, le fatture
successivamente emesse, nel corso del 1994, dalla srl Cema nei
confronti del Taverna (e da costui prodotte in giudizio), non
solo non risultavano onorate da parte del Taverna, ma non
potevano neppure ritenersi riferibili, per difetto di prova
idonea,a spese specificamente effettuate per il ripristino ed il
riequipaggiamento delle 15 imbarcazioni

7

cui si riferiva

il

Ed invero, come risulta dalla sentenza impugnata, i giudici di

mandato de quo. Infatti, mancavano nelle fatture le indicazioni
specifiche in tal senso e mancavano le relative bolle di
accompagnamento o di consegna. Ciò, senza considerare che le
loro date di emissione erano posteriori alla vendita delle
singole imbarcazioni in questione.

come la Corte territoriale abbia argomentato adeguatamente sul
merito della questione con una motivazione non solo sufficiente,
logica,

e rispettosa della normativa in questione,

ma

soprattutto coerente e completamente priva della pur minima
contraddizione. Ne deriva l’infondatezza della censura.
Passando all’esame delle successive doglianze, va rilevato che,
con il terzo motivo, svolto per omessa o comunque insufficiente
motivazione, il ricorrente, premesso che aveva denunciato quale
ulteriore motivo di gravame, l’errore in cui era incorso il
Tribunale, nel computare nel totale del ricavato delle cessioni
la somma di L.70 milioni per l’ultima imbarcazione ceduta mentre
il prezzo convenuto era stato di soli 27 milioni e la somma di
43 milioni riguardava la cessione del magazzino di ricambi della
srl CEMA, ha lamentato che la Corte di appello avrebbe rigettato
erroneamente il motivo di gravame omettendo di prendere in esame
il contratto del 2.5.1994 e la relativa fattura quietanzata
della CEMA.
Inoltre

e tale rilievo sostanzia la quarta doglianza, per

omessa o comunque insufficiente motivazione

il ricorrente

lamenta che la Corte di merito avrebbe errato nell’includere nel

8

Tutto ciò premesso e considerato, risulta con chiara evidenza

prezzo di cessione della ceduta al prezzo di lire 70 milioni la
somma di L.6 milioni non pagata dall’acquirente, trascurando che
con lettera del giugno 1994 il Taverna aveva contestato a Ulrich
Lauterjung che l’assegno non era stato onorato.
Ancora – e tale rilievo sostanzia la quinta doglianza, per

il ricorrente lamenta che la Corte avrebbe erroneamente incluso
nel prezzo di cessione di un’imbarcazione ceduta ad Amar Jean
Paul la somma di L.14 milioni, che andava invece riferita alla
fornitura personale da parte del Taverna al detto cliente di una
muta completa di vele nuove, sostenendo erroneamente la mancanza
di prova circa la vendita di tale muta ed omettendo di prendere
in esame il contratto tra il Taverna e l’Amar dell’1.9.93 e la
lettera dell’Amar prodotta quale documento n.197.
Ancora

e tale rilievo sostanzia la sesta doglianza, per

insufficiente e contraddittoria motivazione – la Corte di
appello avrebbe errato nel non riconoscere tra le spese esposte
dal Taverna quelle relative alla fattura 1/95 emessa dallo
stesso Taverna alla Seci, riguardante ripristini e integrazioni
alle imbarcazioni sostenendo che non sarebbe risultato provato
l’effettivo pagamento da parte del Taverna di quanto fatturato
dalla CENA laddove ciò che rileva è il fatto obiettivo
dell’esistenza di tali passività inerenti alla vendita delle
imbarcazioni rimaste a carico del Taverna.
Inoltre,

sarebbe incorsa nel vizio della contraddittoria

motivazione, nel sostenere che mancherebbe la prova della

9

omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione –

ricollegabilità delle spese alle operazioni effettuate dal
Taverna dopo che essa stessa aveva riconosciuto che
effettivamente dalla documentazione in atti e dalle deposizioni
dei testi risultava che le imbarcazioni vennero vendute in
condizioni non coincidenti con quelle esistenti all’epoca del

Ancora – e tale rilievo sostanzia la settima doglianza, per
omessa o comunque insufficiente motivazione – il Tribunale aveva
erroneamente decurtato gli onorari del Taverna, quale addetto
alle vendite, riconoscendogli, anziché L.95 milioni oltre Iva,
solo L.50 milioni. La Corte di appello aveva quindi sbagliato
nell’equiparare l’attività dell’addetto alla vendita a quella di
un dipendente impiegatizio medio, così attribuendo al Taverna
l’importo pari al costo medio mensile di un dipendente
impiegatizio senza tener conto della maggiore complessità
dell’attività dell’addetto alla vendita e del grado di autonomia
che essa implicava.
Infine

e tale rilievo sostanzia l’ottava doglianza per

insufficiente motivazione – il Tribunale aveva arbitrariamente
decurtato al 50% le spese per l’utilizzo di un’autovettura tg MI
8×1971, addebitate dalla CEMA al Taverna. Ora, la Corte aveva
sostenuto erroneamente che la decurtazione troverebbe
giustificazione

nell’eccessività

del

c.d.

chilometraggio

indicato in fattura ed aveva ritenuto inconferenti per
genericità i capitoli di prova orale dedotti, senza spiegare le
ragioni delle sue valutazioni.

10

u/t/

conferimento del mandato di vendita.

I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in
quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano
ragioni di censura intimamente connesse tra loro, sono tutti
inammissibili. A riguardo, mette conto di sottolineare che le
ragioni di doglianza formulate come risulta di ovvia evidenza

dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non
evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso
motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame
degli elementi fattuali già sottoposti ai giudici di seconde
cure e da questi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione
delle risultanze processuali, che non è consentita in sede di
legittimità.
Ed invero, premesso che la valutazione degli elementi di prova e
l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del
giudice di merito, deve ritenersi preclusa ogni possibilita’ per
la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di
merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli
atti di causa. Con la conseguenza che deve ritenersi
inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente
avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di
revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di
merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del
giudizio di cassazione. (cfr Cass.n. 9233/06)
Passando all’esame della nona doglianza, deducendo la violazione
dell’art.265 co.2 cpc e l’omessa motivazione, il ricorrente,

11

(i

premesso che il Tribunale aveva arbitrariamente decurtato le
spese sostenute dal Taverna per telefono, fax, corrispondenza,
taxi, soccorso Aci, autostrade, treni, alberghi e ristoranti,
lamenta che la Corte, nel respingere il motivo di appello sul
punto, avrebbe osservato che tali spese erano state riconosciute

sensi del comma secondo dell’art.265 cpc, il Collegio può
ordinare a chi rende il conto di asseverare con giuramento le
partite per le quali non si può o non si suole richiedere
ricevute ed omettendo di spiegare la mancata applicazione di
tale norma.
La doglianza è infondata. Invero, la deferibilità del giuramento
suppletorio, di cui all’art.265 co. 2 del codice di rito,
postula che si versi in tema di partite per le quali non si può
o non si suole richiedere la ricevuta, secondo la valutazione
discrezionale del giudice del merito, sottratta al Sindacato di
legittimità.
Con la conseguenza che l’ammissione di tale giuramento
sostitutivo, che peraltro rientra nei poteri discrezionali del
giudice di merito (il dato letterale “può” contenuto nella norma
è assolutamente significativo), non è invece consentito al fine
di colmare lacune istruttorie, imputabili ad esclusiva colpa
della parte tenuta al rendiconto, la quale ometta di esibire oppure lo fa solo in parte – la documentazione necessaria a
dimostrare talune spese (per telefono e fax, corrispondenza,
DHL, taxi, soccorso ACI, autostrade, treni, alberghi,

12

nei limiti in cui risultavano documentate, trascurando che, ai

ristoranti), tutte agevolmente documentabili e per le quali è
onere consueto, da parte di un soggetto tenuto al rendiconto,
chiedere le relative ricevute. Ne deriva che la decisione sul
punto della Corte di merito deve essere ritenuta assolutamente
esente da censura, onde il rigetto della doglianza.

profilo della violazione dell’art.112 cpc, va rilevato che, ad
avviso del ricorrente, la Corte di Appello avrebbe omesso di
esaminare uno specifico motivo di appello, con cui il Taverna
aveva censurato la sentenza di primo grado per averlo condannato
a versare alla SECI anche la somma di L.67.315.461 per Iva
accantonata ed incassata dai clienti benché la detta società non
avesse emesso alcuna fattura per la cessione delle imbarcazioni.
La censura è inammissibile per difetto di autosufficienza. Al
riguardo, torna opportuno premettere che il ricorrente assume in
ricorso di aver formulato, nell’atto di appello, uno specifico
motivo di impugnazione, che la Corte di merito avrebbe omesso di
esaminare. Fatto sta che ha poi completamente mancato di
riportare, nel ricorso per cassazione, previa trascrizione nei
suoi esatti termini, il contenuto della doglianza, che avrebbe
costituito il motivo di appello e sul quale la Corte di merito
avrebbe omesso di pronunciarsi.
Ed è appena il caso di sottolineare che, pur configurando la
violazione dell’articolo 112 del Cpc un error in procedendo, per
il quale la Corte di cassazione è giudice anche del «fatto
processuale», il potere-dovere della Corte di esaminare

13

Passando ad esaminare la decima doglianza, articolata sotto il

direttamente gli atti processuali non comporta che la medesima,
debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte,:
in ragione del principio di “autosufficienza”, specificare il
contenuto del motivo di appello, che dichiara di aver proposto
mediante la sua trascrizione nel ricorso, non essendo
assolutamente sufficiente all’uopo il semplice richiamo all’atto
di appello. E ciò, al fine di consentire la verifica della
specificità e dell’esattezza del contenuto, riportato negli atti
difensivi.
Nel caso di specie, detto onere non è stato invece assolto dal
ricorrente cosicchè non è consentito a questa Corte il
necessario controllo dell’effettiva proposizione del motivo di
appello nonché la verifica della specificità e congruenza del
suo contenuto rispetto ai termini della doglianza formulata nel
ricorso per cassazione. Ne consegue che in applicazione di
questo principio la censura formulata deve essere dichiarata
inammissibile.
Resta da esaminare

l’undicesima doglianza, con cui il

ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione
dell’art.1406 cc, lamenta l’arbitrario riconoscimento, alla
SECI, della somma di L.1.800.000, per imbarcazione, per rimborso
spese di volturazione relative a quattro imbarcazioni.
La Corte avrebbe erroneamente sostenuto che tale volturazione
non costituiva un “abuso”, come dedotto da esso appellante, ma
era necessaria per la regolarità del trasferimento della
proprietà, dalla Seci ai vari acquirenti. In tal modo,la Corte

14


.,

avrebbe trascurato che, ai sensi dell’art.1406 cc cc, ciascuna
parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un
contratto con prestazioni corrispettive se queste non sono state
ancora eseguite, purchè l’altra parte vi consenta.
Anche tale censura è inammissibile. Ed invero, con la doglianza

del danno liquidato, avendo la Corte di merito riconosciuto alla
Seci srl una voce (per rimborso spese di volturazione relative a
quattro imbarcazioni) che la stessa società avrebbe potuto
evitare facendo ricorso all’istituto della cessione dei
contratti di

leasing.

Il

punto nodale della doglianza riguarda

quindi la misura del danno liquidato e la pretesa erroneità
della relativa valutazione effettuata dal giudice del merito,
venendo in definitiva a costituire una

guaestio facti,

che in

quanto tale, è sottratta al sindacato di legittimità, qualora il
ragionamento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato,
come nella specie, da completezza, correttezza e coerenza dal
punto di vista logico-giuridico. Ciò, senza considerare che,
come rileva il contro ricorrente Franchella (v. pag.35 del
controricorso), la volturazione era comunque necessaria per la
regolarità del trasferimento delle imbarcazioni.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle
censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in
esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del

ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle
spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in favore di

15

in questione, a ben vedere, il ricorrente lamenta l’eccessività

ciascun contro ricorrente come in dispositivo, alla stregua dei
soli parametri di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al

del giudizio di legittimità che liquida in complessivi C
12.200,00 di cui C 12.000,00 per compensi, oltre accessori di
legge, ed 200,00 per esborsi.
Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 6.12.2013

pagamento, in favore di ciascun contro–ricorrente, delle spese

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