Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2823 del 02/02/2017

Cassazione civile, sez. lav., 02/02/2017, (ud. 17/11/2016, dep.02/02/2017),  n. 2823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHNOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29113-2014 proposto da:

C.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DARDANELLI 23, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO RICCIUTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO DOMENICO CATERINA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FIAT POWERTRAIN TECHNOLOGIES S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato

FRANCESCO GRISANTI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIANO

MORGESE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 129/2014 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 28/05/2014 R.G.N. 137/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato GAETANO DOMENICO CATERINA;

udito l’Avvocato FERRARI MARCO PAOLO per delega orale Avvocato

MORGESE MARIANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità e in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 28/5/2014 la Corte d’appello di Campobasso confermò la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto l’impugnativa di licenziamento per giusta causa avanzata nei confronti di Fiat Powertrain Technologies s.p.a. nei confronti di C.G., dipendente della società con mansioni di addetto alla manutenzione elettrica dell’area lavorazione. Al lavoratore era stato contestato di essere stato sorpreso nell’area montaggio motori dell’officina (OMISSIS) (del tutto estranea alla sua sfera di competenza e al tempo non interessata da alcuna attività lavorativa a causa della CIG) mentre era intento a forzare la cassettiera dei capi UTE, chiusa a chiave, nonchè di avere ammesso il fatto a seguito di richiesta di spiegazioni da parte del sorvegliante, contestualmente invitando quest’ultimo a non segnalare l’episodio ai responsabili aziendali.

2.Sulla scorta delle emergenze probatorie la Corte territoriale ritenne di ravvisare in capo al lavoratore fatti idonei a integrare il delitto di tentato furto aggravato, rispetto al quale, ex art. 10, lett. B del CCNL di riferimento, non era consentita alcuna valutazione nè della condotta nè della gravità della medesima, avendo le parti concordemente predeterminato l’importanza del fatto con la previsione contrattuale.

3. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il C. sulla base di sei motivi, illustrati con memorie. Resiste con controricorso Fiat S.p.A.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360, comma 1, punto 4: omesso esame di tutti i motivi di gravame ed omessa pronuncia su una parte della domanda. Rileva che la sentenza, con laconica motivazione per relationem, non ha esaminato in modo specifico tutte le censure formulate dall’appellante alla sentenza impugnata, in tal modo fornendo una risposta insufficiente a sostegno del mancato accoglimento dei motivi d’appello.

1.2. La censura è generica, giacchè manca l’indicazione dei motivi di cui sarebbe stata omessa la trattazione. La stessa, inoltre, non risulta corredata da adeguato supporto in termini di allegazione documentale, a mente dell’art. 369 c.p.c., n. 4, nonchè di specifica indicazione ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, difettando l’allegazione dell’atto d’appello e la riproduzione del medesimo con riferimento ai motivi d’impugnazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente rileva violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3: violazione ed erronea applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 5 e art. 421 c.p.c.; violazione del diritto difesa ex art. 24 e 111 Cost. e del diritto al contraddittorio ex art. 101 c.p.c., comma 1. La censura investe l’ordinanza istruttoria pronunciata in primo grado, ritenuta correttamente adottata anche dal giudice d’appello. In proposito il C. rileva che l’ammissione della parte ricorrente alla sola prova contraria non ha consentito un compiuto esercizio del diritto di difesa, poichè l’ammissione della prova testimoniale diretta aveva la finalità di dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati. Osserva che la violazione del principio del contraddittorio determina la nullità di tutti i provvedimenti successivi a quello che ha comportato la violazione e può essere rilevata in ogni stato e grado del giudizio.

2.2. Il motivo è infondato. Il ricorrente, infatti, nell’investire la Corte del tema attinente alle richieste istruttorie disattese, non censura le argomentazioni contenute nella sentenza d’appello in ordine all’inutilità della prova, come articolata, a fornire elementi favorevoli al richiedente, in relazione alla irrilevanza e superfluità delle circostanze di prova diretta invocate e alla luce delle quali doveva ritenersi del tutto estranea al caso qualsiasi presunta violazione del principio del contraddittorio.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, punti 3 e 5: manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza; erronea e/o omessa valutazione delle risultanze istruttorie. Lamenta che le circostanze emerse dall’esito dell’attività istruttoria sono state valutate in maniera erronea.

4. Il ricorrente deduce, ancora, violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3: violazione e falsa applicazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. Osserva che la Corte d’appello ha del tutto omesso di analizzare ulteriori elementi e fatti decisivi, oggetto di discussione tra le parti che, se presi in considerazione, avrebbero portato alla determinazione dell’illegittimità del licenziamento per insussistenza dei presupposti della giusta causa.

5. I motivi che precedono possono essere esaminati unitariamente in ragione dell’intima connessione. Va rilevato preliminarmente, quanto al profilo di censura attinente all’asserita violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che non risultano denunciati vizi sussumibili nell’ambito dei limiti della doglianza come enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte in relazione alla nuova formulazione della norma richiamata, risultante dall’intervento della L. n. 134 del 2012, vigente ratione temporis (“La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). Per altro verso è da rilevare come con le censure il ricorrente sostanzialmente si è limitato a proporre una valutazione delle risultanze istruttorie alternativa rispetto a quella offerta in sentenza, in tal modo sottoponendo alla Corte di legittimità questioni di mero fatto atte a indurre a un preteso nuovo giudizio di merito precluso in questa sede (v. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014, Rv. 633335: Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti). Quanto, poi, alle doglianze attinenti alla mancata considerazione di elementi rilevanti, va rimarcato che “E’ devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, nonchè la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato; conseguentemente, ai fini di una corretta decisione, il giudice non è tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 5964 del 23/04/2001, Rv. 546251).

6. Con altra censura il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3: violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità fra infrazione contestata e sanzione disciplinare irrogata di cui all’art. 2106 c.c. Rileva che la decisione è stata adottata in violazione del principio della proporzionalità tra le infrazioni e le sanzioni di cui all’art. 2106 c.c..

6.2. Il motivo è privo di fondamento. Al riguardo va tenuto presente il principio enunciato da Cass. Sez. L, Sentenza n. 6848 del 22/03/2010, Rv. 612262: “In tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso – rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto, e l’inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicchè l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto”. In tale prospettiva si evidenzia che le critiche svolte con i motivi di ricorso concernono non già la verifica in ordine ai criteri ermeneutici di applicazione della clausola generale di cui all’art. 1455 c.c., ma, piuttosto, l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi ritenuti dai giudici del merito idonei a integrare il giustificato motivo di licenziamento.

6. Con l’ultimo motivo deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, punto 3: sulla violazione e falsa applicazione del ccnl di settore – titolo 7^ art. 10, lett. B. Rileva che, effettuando un raffronto tra gli addebiti contestati al lavoratore e le ipotesi di giusta causa di licenziamento indicate, seppur a titolo esemplificativo, nel CCNL di riferimento, appare in maniera inequivocabile come tutti i fatti contestati non integrano una giusta causa di licenziamento. Evidenzia che il ricorrente non ha posto in essere alcuna condotta che integri un’ipotesi delittuosa, nè ha arrecato grave danno morale e materiale all’azienda.

7. Anche il predetto motivo è infondato, posto che, ai fini della valutazione della sua condotta alla stregua delle disposizioni di cui alla contrattazione collettiva, il ricorrente propone la sua personale ricostruzione dei fatti, smentita dai giudici di merito in forza di congrua motivazione. La prospettazione, pertanto, risente dei limiti propri della natura in fatto della censura.

8. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità sono regolate secondo soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2017

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