Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28228 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. III, 10/12/2020, (ud. 09/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI ENRICO – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15382-2018 proposto da:

SASRIV SPA IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN CANDIDO DI GIOIA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

AGEA AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEI 1264 PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7366/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCA FIECCONI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con ricorso notificato il 21/5/2018, avverso la sentenza n. 7366/2017 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 23/11/2017 e non notificata, la S.A.S.R.I.V. s.p.a. in Liquidazione propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi. Con controricorso notificato il 4/6/2018, resiste l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura AGEA (già AIMA).

2. Per quanto qui d’interesse, con atto di citazione del luglio 2004, la società SASRIV conveniva in giudizio AGEA, dinanzi al Tribunale di Roma, per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati dagli omessi o ritardati pagamenti dovuti per l’attività di distillazione e di magazzinaggio di alcol che la società attrice svolgeva per conto della Agenzia convenuta. La SASRIV assumeva che i presunti danni consistessero nella progressiva diminuzione del volume di affari e nell’irreversibile deterioramento dell’attività d’impresa in ragione del quale non era stata più in grado di pagare i fornitori, nonchè nel ricorso ad un mutuo presso l’Isveimer che non era stato dalla medesima onorato a causa dei mancati introiti. Si costituiva in giudizio AGEA che giustificava i ritardi e le parziali omissioni di pagamento con l’esigenza di compensare in autotutela propri crediti risarcitori relativi a presunti abusi in materia di esportazione all’estero di alcol commessi dalle società A.L.A. e S.A.P.I.S. appartenenti allo stesso gruppo della società attrice. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 17586/2011, aderendo alle risultanze della CTU contabile espletata, riconosceva un credito residuo della SASRIV per compensi dovuti da AGEA per un importo complessivo di Euro 623.474,40; per il resto, rigettava la domanda risarcitoria e condannava la SASRIV al pagamento delle spese di giudizio, non ritenendo sussistente alcun nesso di causalità tra il peggioramento delle condizioni imprenditoriali ed i ritardi nei pagamenti da parte di AGEA. Rigettava altresì l’eccezione di compensazione formulata dalla convenuta.

3. Avverso la sentenza proponeva appello la società SASRIV. Resisteva al gravame AGEA, chiedendone il rigetto e avanzando altresì appello incidentale. Con la pronuncia oggi impugnata, la Corte d’Appello di Roma confermava integralmente la sentenza di primo grado, non ravvisando alcuna correlazione tra i presunti danni e i ritardi di AGEA, e compensava le spese del grado tra le parti.

Si dà atto della fissazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c., dell’assenza di conclusioni del p.m. e del deposito della memoria da parte della ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 “violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2043 c.c., all’art. 97 Cost. ed agli artt. 1175 e 1375 c.c.”.

1.1.L’illustrazione del motivo, al di là dell’equivoco indotto dall’intestazione, lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale omesso di pronunciare sui profili di doglianza prospettati nel primo motivo dell’atto di appello della SASRIV, consistenti, in particolare, nella dedotta violazione dell’art. 2043 c.c. che obbliga il danneggiante a risarcire l’evento quando questo è “ingiusto”; dell’art. 97 Cost. che doveva ispirare l’azione di AGEA in quanto da considerarsi come Amministrazione Statale; degli artt. 1175 e 1375 c.c. che obbligavano AGEA ai doveri di correttezza e buona fede. Secondo la ricorrente, tale omissione avrebbe indotto il giudice di secondo grado a ritenere erroneamente l’insussistenza del nesso causale tra i comportamenti ritorsivi dell’Agenzia, che deduceva una sorta di compensazione illegittima con crediti afferenti ad altre società collegate che mantenevano un’autonomia giuridica e strutturale rispetto alla capogruppo, sicchè AIMA- AGEA avevano compiuto un abuso del diritto rilevante sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello dei contrapposti interessi.

1.2. Il motivo è inammissibile perchè denuncia un’omissione di pronuncia inesistente.

1.3.La Corte territoriale ha espressamente affermato di esaminare il primo motivo di appello, come emerge a pagina 2 e l’ha ritenuto infondato, come si legge nella stessa pagina e nella prima metà della successiva, evidenziando che il Tribunale aveva rigettato la domanda risarcitoria non già in quanto risultava fondata la difesa dell’AGEA basata sulla c.d. “compensazione” di debiti in autotutela riferibili ad altre società dello stesso gruppo della ricorrente, ma in quanto dalla CTU espletata non era emerso alcun nesso di causalità tra i ritardati ed omessi pagamenti e il deterioramento delle condizioni economiche della società che oltretutto non si era dimostrato in costante aumento.

1.4.Pertanto, nel caso concreto si censura come omessa una statuizione che invece vi è stata, giacchè il motivo di appello è stato esaminato ed è stato nella sostanza disatteso perchè non si correlava alla motivazione del primo giudice, il quale aveva rigettato la domanda risarcitoria per una ragione diversa da quella individuata nel motivo di appello. In pratica, la sentenza impugnata ha riconosciuto che il motivo di appello denunciava un preteso vizio che dalla motivazione del Tribunale non emergeva, in quanto essa aveva un contenuto diverso da quello attribuitole dal motivo di appello. A stretto rigore il motivo avrebbe dovuto dichiararsi inammissibile, in quanto un motivo di impugnazione che denuncia una motivazione che nel provvedimento impugnato non c’è è inidoneo allo scopo e, dunque, affetto da nullità, categoria che il Codice, quando viene in rilievo con riferimento all’atto di impugnazione qualifica in termini di inammissibilità.

2. Con il secondo motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 la violazione dell’art. 324 c.p.c. per violazione del giudicato interno sul rapporto di monoclientela tra AGEA e la SASRIV.

2.1.L’illustrazione del motivo presenta la seguente articolazione: a) inizia enunciando, con la premessa che con “gli ulteriori profili del primo motivo dell’atto di appello la SASRIV aveva dedotto”, il tenore dell’atto di appello dalle ultime due righe della pagina 19 del ricorso sino al terzultimo rigo della pagina 27; b) riproduce, quindi, la motivazione della sentenza qui impugnata sino al penultimo rigo della pagina 29 del ricorso. Procede, quindi, ad enunciare la censura, deducendo che la sentenza emessa in primo grado aveva espressamente riconosciuto AGEA quale unico cliente della società attrice e tale statuizione, non essendo stata impugnata nè dalla società nè dall’Agenzia era passata in giudicato ex art. 324 c.p.c., con conseguente preclusione di ogni diversa statuizione. Ne deriva che la sentenza oggi impugnata, in presenza del giudicato interno sul punto, avrebbe errato nel disconoscere tale rapporto di monoclientela e nel ritenere che la SASRIV svolgesse libera azione sul mercato in relazione a svariati settori, così negando la sussistenza del nesso causale tra il blocco dei pagamenti di AGEA e il deterioramento delle condizioni economiche della società, sul presupposto che l’attività di distillazione e di magazzinaggio di alcol non fossero svolte esclusivamente in funzione delle richieste dell’ente.

2.2. Il motivo è inammissibile per inosservanza dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè: a) pur riproducendo il passo della sentenza di primo grado – per la verità indicandone in modo erroneo il n. i quello 17586 del 2011, quanto invece nell’esposizione del fatto è stato indicato in quello n. 17589 del 2011 – che avrebbe espresso la statuizione sulla monoclientela, omette tuttavia di indicare se e dove la sentenza di primo grado sarebbe stata prodotta in questo giudizio di legittimità ed omette pure, come avrebbe consentito Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011, di indicare di voler fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio del giudizio di appello, di cui ha fatto istanza di trasmissione; b) dopo avere erroneamente argomentato di non avere impugnato la detta statuizione, che evidentemente non avrebbe avuto interesse ad impugnare, essendole favorevole, sostiene che essa non sarebbe stata “impugnata” dalla controparte, ma omette sia di indicare se e dove abbia prodotto la comparsa di risposta di essa e, nuovamente, di voler fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo di ufficio di appello, sia di riprodurne direttamente od indirettamente, con precisazione della parte corrispondente all’indiretta riproduzione. Ne deriva che la Corte non è messa in grado di controllare sia l’esistenza della statuizione del primo giudice sia che essa non sia stata impugnata con un appello incidentale condizionato dall’Agea, parte vittoriosa in primo grado.

3. Con il terzo motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la sentenza impugnata tenuto conto delle deduzioni svolte nel terzo motivo di appello. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe valutato che nel 1999, la SASRIV, in mancanza di pagamenti di AGEA e nell’impossibilità di svolgere la propria attività di distillazione, si è adattata a svolgere una lavorazione per conto di altre società ricavandone un limitato compenso. Di tale specifico rilievo la sentenza non avrebbe tenuto conto, limitandosi a riprodurre la motivazione della sentenza di primo grado sul punto, così violando il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Si assume che l’attività di distillazione effettuata per conto terzi nel 1999, a distanza di cinque anni dall’inizio del blocco dei pagamenti attuato da AGEA, non poteva di per sè escludere il nesso di causalità nè, data la sua episodicità, poteva giustificare una illogica valutazione di “continua oscillazione” del volume di affari, in presenza di trend decrescente tranne che nel 1999.

3.1.Il motivo è inammissibile, poichè, non diversamente da quanto rilevato in riferimento al primo motivo, si denuncia un’omissione di pronuncia che non vi è stata. Infatti, a pagina 3 della sentenza impugnata, dopo la motivazione sul primo motivo di appello, si legge quanto segue: “In tal senso risulta infondato anche il terzo motivo di appello, nel quale sostanzialmente la società critica tali passaggi motivazionali della pronuncia impugnata”. Dunque, sul terzo motivo la sentenza si è pronunciata e, pertanto, il motivo in esame non si correla alla motivazione della sentenza impugnata.

3.2. In realtà, il motivo – la cui illustrazione si concreta nel riportare un passo della motivazione della pagina 3 della sentenza precedente l’affermazione sopra riportata cui fa seguire l’assunto che detta motivazione sarebbe erronea e, quindi, la riproduzione del suo motivo di appello – si risolve nell’espressa affermazione che la sentenza “non ha tenuto conto alcuno di tali deduzioni violando, anche in questo caso, il precetto di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., limitandosi a riprodurre la motivazione della sentenza di primo grado sul punto, erronea per le considerazioni dedotte con lo stesso terzo motivo di appello”. Denuncia, dunque, una insufficienza motivazionale e non un’omissione di pronuncia nella stessa illustrazione del motivo.

3.3. Al riguardo, si rileva – ad abundantiam – che non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando il giudice dell’appello esamini la censura mossa al giudice di primo grado, ma accolga una tesi incompatibile con quella prospettata dall’appellante, implicandone il rigetto (Cass., Sez. 5 -, Ordinanza n. 2153 del 30/1/2020; Sez. 2 -, Ordinanza n. 20718 del 13/8/2018; Sez. 1, Sentenza n. 5351 dell’8/3/2007). Nel caso in esame, la Corte territoriale non ha omesso di pronunciarsi in ordine alla censura prospettata nel terzo motivo di appello della società, ma semplicemente ha offerto una diversa lettura delle deduzioni con esso svolte dall’appellante. Nella specie, ha ritenuto che lo svolgimento dell’attività di distillazione per conto di terzi diversi da AGEA smentisse radicalmente la circostanza per la quale l’Agea era la sua unica cliente e, dunque, avallasse ulteriormente la non correlazione tra i danni lamentati e i ritardi nei pagamenti di AGEA, già emersa in sede di CTU, rigettando per tal motivo la pretesa risarcitoria.

3.4. Si aggiunga che il motivo in esame non considera nemmeno l’ampia motivazione resa dalla Corte di merito dopo il passo limitato che riproduce.

4. Con il quarto motivo si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c. in relazione al secondo motivo di appello. La società ricorrente deduce di aver depositato in primo grado analitiche e documentate controdeduzioni alla ctu espletata atte a dimostrare la sussistenza del nesso di causalità tra gli inadempimenti di AGEA e i danni subiti. Il giudice di prime cure, ritenendo necessaria la loro valutazione da parte del consulente tecnico, aveva disposto che lo stesso rispondesse a tali controdeduzioni. Ciò avveniva con relazione integrativa del 26/5/2009 con la quale, tuttavia, il perito disattendeva sbrigativamente le controdeduzioni, limitandosi a confermare integralmente le proprie precedenti conclusioni. Assume la ricorrente che la mancata risposta del ctu alle osservazioni mosse dalla società veniva denunciata con il secondo motivo dell’atto di appello che, tuttavia, il giudice di secondo grado rigettava trincerandosi dietro la presunta genericità della censura, così mancando di valutare le analitiche controdeduzioni della SASRIV e la allegata documentazione.

4.1.Il motivo è inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

4.2. La Corte territoriale ha rigettato il secondo motivo di appello della società anzitutto perchè infondato, in quanto il perito nominato in primo grado aveva fornito risposta alle osservazioni dell’appellante non ritenendo per ciò solo di dover modificare le proprie conclusioni; in secondo luogo, perchè generico, in quanto il motivo di gravame non chiariva a quale delle controdeduzioni il consulente non avesse dato specifica risposta.

4.3. Ciò premesso, in tema di ricorso per cassazione, per infirmare, sotto il profilo della insufficienza argomentativa, la motivazione della sentenza che recepisca le conclusioni di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui il giudice dichiari di condividere il merito, è necessario che la parte alleghi di avere rivolto critiche alla consulenza stessa già dinanzi al giudice “a quo”, e ne trascriva, poi, per autosufficienza, almeno i punti salienti onde consentirne la valutazione in termini di decisività e di rilevanza, atteso che, diversamente, una mera disamina dei vari passaggi dell’elaborato peritale, corredata da notazioni critiche, si risolverebbe nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità (Cfr., Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 19427 del 03/08/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 11482 del 3/6/2016; Cass. Sez. 1, Sentenza 16368 del 17/7/2014; Sez. 2, Sentenza n. 13845 del 13/6/2007).

4.4. Il motivo, invece, fa un rinvio del tutto generico alle controdeduzioni della c.t.u. ed omette qualsiasi riproduzione diretta od indiretta della relazione integrativa del c.t.u., in tal modo violando la citata norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

4.5.Mette conto, inoltre, di rilevare che il motivo trascrive il tenore del terzo motivo di appello, il quale a sua volta si presenta generico, come la Corte d’appello di Roma non ha mancato di rilevare a pagina 3.

5. Con il quinto motivo si censura – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. per avere la Corte territoriale rigettato il quarto motivo di gravame, per mezzo del quale la società appellante censurava la sentenza di prime cure per aver considerato tardiva la produzione del contratto di mutuo stipulato con la Isveimer nell’anno 1994, in quanto effettuata oltre i termini di cui all’art. 184 c.p.c., a conclusione delle operazioni peritali. Sul punto, la Corte d’Appello avrebbe errato nel dare rilevanza alla tardività della produzione rilevata in primo grado, dal momento che il mutuo risultava dai bilanci sociali tempestivamente depositati. In punto di fatto, la ricorrente adduce che il mutuo era stato stipulato nel 1994 e che se la SASRIV avesse già allora avuto consapevolezza del blocco totale dei pagamenti da parte di AGEA, non lo avrebbe stipulato e non avrebbe adeguato gli impianti e le attrezzature.

5.1. Il motivo è inammissibile perchè non si confronta con la ratio decidendi che è stata duplice.

5.2.E’ vero che la sentenza ha considerato corretta la statuizione del primo giudice di tardività della detta produzione ed al riguardo si dovrebbe rilevare che il motivo, se fosse ammissibile, risulterebbe infondato per la parte che ha ritenuto errata la statuizione di tardività della produzione documentale (il contratto di mutuo) nella fase delle controdeduzioni alla relazione della CTU, poichè in tema di consulenza tecnica di ufficio, l’acquisizione ad opera dell’ausiliare di elementi di prova (nella specie, documenti) in violazione del principio dispositivo cagiona persino la nullità della consulenza tecnica, da qualificare come nullità a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio e non sanabile per acquiescenza delle parti, in quanto le norme che stabiliscono preclusioni, assertive ed istruttorie, nel processo civile sono preordinate alla tutela di interessi generali, non derogabili dalle parti (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 16800 del 26/06/2018; Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 31886 del 06/12/2019).

5.3. Tuttavia, poichè la Corte d’Appello non solo ha legittimamente confermato la pronuncia di prime cure in punto di tardività della produzione documentale e, dunque, ha rigettato la doglianza sotto tale profilo, ma ha anche osservato che il CTU ha comunque tenuto conto (pag. 3) del mutuo con l’Isveimer, considerato che le relative uscite per la stessa società erano contabilizzate nei bilanci regolarmente acquisiti nel corso del giudizio di prime cure.

5.4. La Corte di merito ha invero ritenuto che la stipula dello stesso non fosse causalmente collegata ai ritardati od omessi pagamenti da parte di AGEA, anche in considerazione della circostanza temporale per cui il mutuo era stato stipulato nel 1994, ovvero, appena all’inizio del periodo dei ritardi (1992). Tale ratio decidendi ulteriore, che ha supposto la ritualità della produzione, non è stata impugnata e si è consolidata, il che renderebbe inutile l’esame della questione pur si è detto infondata – proposta dal motivo e, dunque, il motivo stesso.

6. Con il sesto motivo (erroneamente indicato ancora come quinto motivo) si denuncia – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. per avere la Corte di merito rigettato il quinto motivo di appello della SASRIV con cui la società appellante censurava la sentenza di primo grado per non aver constatato che l’esposizione della SASRIV nei confronti dei propri creditori si aggravava progressivamente negli anni, come da documentazione prodotta (decreti ingiuntivi, atti di precetto, istanze di fallimento) in sede di controdeduzioni alla ctu di cui non era stata dichiarata la tardività dal giudice di primo grado. La ricorrente adduce che la Corte d’Appello ha erroneamente assunto, in primo luogo, che la relativa documentazione fosse stata tardivamente prodotta dalla parte appellante; in secondo luogo in quanto la medesima ha ritenuto che l’esposizione verso i creditori, comunque esaminata dalla relazione peritale, presentava un iter talmente incostante da non poter essere messa in relazione con i mancati o ritardati pagamenti di AGEA; inoltre, ha erroneamente rilevato che il dato dell'”incostanza dell’indebitamento” non era stato contestato dall’appellante e, quindi, la doglianza si palesava generica, in quanto contestato nel quinto motivo di appello, ove si denunciava che l’indebitamento sfociato nei decreti ingiuntivi, atti di precetto ed istanze di fallimento depositati come allegati 8 e 9 delle controdeduzioni alla CTU, dimostravano invece un trend crescente.

6.1. Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che nessuna indicazione si fornisce della documentazione cui si fa riferimento. In ogni caso, il motivo illustra una censura che suppone che il primo giudice avesse ritenuto rituale ed avesse esaminato la detta produzione, mentre nella riproduzione del motivo di appello fatta nelle ultime otto righe della pagina 9 del ricorso e nelle prime 8 della successiva emerge che si era dedotto che la sentenza di primo grado di quella documentazione non aveva tenuto conto, il che significa che implicitamente non l’aveva ritenuta rituale (valutazione che avrebbe dovuto esser impugnata). Tanto rende la prospettazione del motivo, là dove imperniata sul fatto che la corte territoriale non avrebbe potuto considerare irrituale la documentazione di cui il primo giudice non aveva rilevato la tardività, priva di fondamento secondo le stesse allegazioni del motivo in esame.

7. Con il settimo ed ultimo motivo (erroneamente indicato come numero 6) si lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, per avere la Corte territoriale rigettato il sesto motivo dell’atto di appello della SASRIV in cui si deduceva l’erroneità della statuizione della sentenza di prime cure in ordine alla condanna alle spese in capo alla società. La ricorrente adduce che, in primo grado, la convenuta AGEA aveva proposto sia una eccezione di prescrizione dell’azione risarcitoria, sia una eccezione di compensazione costituente vera e propria domanda riconvenzionale, entrambe rigettate, da ciò derivando la soccombenza reciproca delle parti e, dunque, in forza dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo vigente al 31/9/2011, la Corte di merito avrebbe dovuto operare la compensazione per intero o parziale delle spese tra le parti. Si deduce inoltre che, sotto altro profilo, l’importo di Euro 26.500,00 per onorari e di Euro 3.500,00 per diritti violerebbe la tariffa professionale applicabile al 31/9/2011, come rilevato nel sesto motivo di gravame. Di contro, la Corte d’Appello avrebbe ritenuto generica la censura sul quantum, sebbene trovasse applicazione il principio iura novit curia.

Il motivo è inammissibile per entrambi i profili di doglianza.

7.1.Quanto al primo profilo di doglianza, ove la ricorrente si duole che la Corte territoriale avrebbe rigettato il motivo con cui si invocava la mancata compensazione delle spese in sede di giudizio di primo grado, considerando solo l’eccezione di prescrizione e non anche il rigetto dell’eccezione riconvenzionale di compensazione, che avrebbe giustificato l’esistenza della soccombenza reciproca, se ne deve rilevare l’inammissibilità, in quanto si omette di riprodurre il motivo di appello sul punto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, sicchè non si dimostra che la corte territoriale, oltre a valutare il problema della prescrizione, avrebbe dovuto valutare anche quello dell’eccezione riconvenzionale.

7.2. Quanto al secondo profilo, se ne deve rilevare l’inammissibilità, in quanto la sentenza impugnata ha espressamene considerato il motivo di appello generico e, dunque, inammissibile nella sostanza ai sensi dell’art. 342 c.p.c. Ha, infatti, affermato che: “il quantum di spese liquidate non viola la tariffa professionale con riferimento alle cause di valore indeterminato e comunque la doglianza appare al riguardo talmente generica, nemmeno menzionandosi le voci specifiche eventualmente applicate in violazione della tabella”. Con tale affermazione la Corte territoriale, pur invertendone l’ordine, ha scrutinato nel merito il motivo e, quindi, l’ha ritenuto generico, cioè aspecifico. Solo quest’ultima motivazione sarebbe stata impugnabile alla stregua di Cass., Sez. Un., n. 3840 del 2007, giacchè il rilievo di genericità privava la Corte del potere di decidere nel merito. In breve, parte ricorrente non ha impugnato tale preliminare rilievo.

7.3. Conclusivamente il ricorso, stante l’inammissibilità di tutti i motivi, dev’essere dichiarato inammissibile, con ogni conseguenza in ordine alle spese, che si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014 a favore della parte resistente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 10.000, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello in ipotesi dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione terza civile, il 9 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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