Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28226 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2020, (ud. 06/10/2020, dep. 10/12/2020), n.28226

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15359-2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 141,

presso lo studio dell’avvocato LUCA DI GIANNANTONIO, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati FRANCESCO PAOLO

LUISO, MICHELE SUSINI;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144,

presso lo studio degli avvocati LUCIANA ROMEO, LETIZIA CRIPPA, che

lo rappresentano e difendono;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza n. 27809/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 22/11/2017 R.G.N. 10428/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA BLASUTTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

uditi gli Avvocati FRANCESCO PAOLO LUISO e MICHELE SUSINI;

udito l’Avvocato LETIZIA CRIPPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso per revocazione proposto da B.M. è stata impugnata per errore di fatto l’ordinanza n. 27809 del 2017, pronunciata da questa Corte in data 22 novembre 2017, con la quale era stato accolto il ricorso per cassazione proposto dall’INAIL e, cassata la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 426 del 2011, la causa era stata decisa nel merito, con integrale rigetto della originaria domanda proposta dall’assicurato.

2. L’ordinanza impugnata aveva affermato che l’assicurato aveva agito quale titolare di una rendita per inabilità da infortunio sul lavoro, riconosciutagli dall’INAIL nella misura del 18% con decorrenza dal 6 marzo 2003; che la domanda verteva sul riconoscimento di un ulteriore periodo di inabilità temporanea assoluta (rispetto al periodo già riconosciuto dall’Istituto fino al 6 marzo 2003) e di un maggior grado di inabilità parziale permanente; che il Tribunale aveva accolto in parte la domanda, riconoscendo maggiori postumi nella misura del 25% con decorrenza dal 18 novembre 2007, nonchè ulteriori periodi di indennità per inabilità temporanea assoluta dal 7 marzo 2003 al 2 febbraio 2006 e dal 4 aprile 2007 al 18 novembre 2007; che tale sentenza era stata confermata dalla Corte di appello di Firenze; che il ricorso per cassazione proposto dall’INAIL, vertente sulla violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 74 e 89 aveva censurato la sentenza di appello per avere violato il divieto di cumulo tra l’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta e la rendita per inabilità parziale permanente; che tale censura era fondata, non potendo l’assicurato vedere cumulate dal 6 marzo 2003 la rendita già in godimento, rapportata al grado di inabilità del 18%, con le prestazioni di cui agli artt. 66 e 68 D.P.R. cit. per i casi di inabilità temporanea assoluta.

3. Il ricorso, già fissato per la trattazione in sede camerale dinanzi alla Sesta Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 24199 del 2019 è stato rinviato a questa Sezione per la trattazione in pubblica udienza.

4. L’INAIL, controricorrente, ha depositato altresì memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il ricorso per revocazione denuncia errore di fatto ex art. 391-bis c.p.c., con riferimento all’art. 395 c.p.c., n. 4, per avere questa Corte erroneamente supposto che il B. avesse agito quale titolare di una rendita per ottenere in cumulo le prestazioni per l’inabilità temporanea. Deduce il ricorrente che costituiva un dato pacifico in giudizio che egli non avesse prestato adesione alle determinazioni dell’Istituto e avesse agito per chiedere la prosecuzione della prestazione per inabilità temporanea assoluta, assumendo l’erroneità della sua limitazione alla data del 6 marzo 2003, e per ottenere il riconoscimento della rendita con decorrenza successiva al consolidamento dei postumi e per un maggior grado di inabilità permanente.

6. Il ricorso è meritevole di accoglimento.

7. Occorre premettere che la revocazione per errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità, esperibile avverso le sentenze della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (ex plurimis, Cass. n. 24512 del 2009).

8. Tale situazione è ravvisabile nel caso di specie.

9. L’ordinanza oggetto del ricorso per revocazione muove dal presupposto di fatto che il B. avesse agito quale titolare di una rendita con decorrenza dal 6 marzo 2003. Tanto si evince da alcuni passaggi del provvedimento impugnato, dove si afferma che la sentenza del Tribunale di Lucca era stata confermata dalla Corte di appello di Firenze “sull’implicito presupposto della irrilevanza della circostanza che il B. già percepiva la rendita per inabilità permanente dal 6 marzo 2003” e che “….una rendita era già in erogazione sin dal marzo 2003”, con la conseguenza che il ricorrente, al più, “in presenza dei denunciati aggravamenti sanitari” avrebbe potuto chiedere una “revisione t.u. n. 1124 del 1965, ex art. 83 ma non l’indennità temporanea”. L’ordinanza assume, dunque, come un dato di fatto incontestato la titolarità, in capo al B., di una rendita per inabilità nella misura del 18% con decorrenza dal marzo 2003 e da ciò fa discendere la qualificazione dell’azione in termini di richiesta di cumulo di tale prestazione con l’indennità per inabilità temporanea.

10. Rileva il Collegio che il suddetto presupposto di fatto non risulta in alcun modo affermato, nè implicitamente ammesso dalla stessa sentenza di appello. Questa ha affermato che il Tribunale di Lucca aveva condannato l’INAIL ad attribuire a B.M. la rendita per infortunio nella misura del 25% con decorrenza dal 18.11.2007 e l’indennità giornaliera dal 7 marzo 2003 al 2.2.2006 e dal 4.4.2007 al 18.11.2007; che tale sentenza aveva formato oggetto di impugnazione sia dall’INAIL che dal B. (quest’ultimo per ottenere il riconoscimento dell’indennità temporanea anche per il periodo dal 2.2.2006 al 4.4.2007); che nel giudizio di appello era stata disposta la rinnovazione della c.t.u. medico-legale, la quale aveva confermato l’esito del giudizio di primo grado; che in conformità a tale c.t.u. doveva concludersi per il rigetto di entrambe le impugnazioni. La motivazione della sentenza prosegue affermando che “il Collegio si dà carico di un ulteriore argomento speso dall’Inali che ha ritenuto una ingiustificata sovrapposizione fra la rendita e la temporanea, spiegando come la prima non può decorrere se non dalla cessazione della seconda. Sul punto il Collegio osserva come la rendita decorra – secondo gli esiti della c.t.u. – dal novembre 2007, e cioè dal momento nel quale è certamente cessata l’inabilità temporanea assoluta; nè, nonostante le diverse indicazioni del consulente – è possibile alternare periodi coperti da rendita a periodi coperti dalla temporanea, poichè in definitiva tutto il periodo anteriore alla data di attribuzione della rendita è stato connotato da una sostanziale incapacità a rendere la prestazione, ancorchè, in sede di appello incidentale, il B. abbia richiesto che a titolo di temporanea assoluta venisse riconosciuto solo il più breve periodo di cui alle conclusioni”.

11.Risulta dagli atti che la stessa Corte di appello, con successiva sentenza n. 129 del 2013 (passata in giudicato), ha rigettato il ricorso per revocazione proposto dall’INAIL ex art. 395 c.p.c., n. 4, osservando anche in tale occasione che il B. aveva “sempre contestato la data della chiusura della temporanea e che la effettiva controversia tra le parti si concentrava sul momento dell’effettivo consolidamento dei postumi e quindi sulla iniziale decorrenza della rendita”.

12. Nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l’errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell’effettuato emendamento (Cass. n. 8051 del 2020).

13.Una volta rimossa l’affermazione errata, ossia che il B. avesse agito in giudizio quale titolare di rendita, e sostituita con quella esatta, ossia che oggetto della domanda era la contestazione del provvedimento dell’INAIL sia con riguardo all’epoca del consolidamento dei postumi (e quindi alla decorrenza della rendita), sia con riguardo al mancato prolungamento della inabilità temporanea assoluta, ne discende che la decisione impugnata risulta priva della sua base giuridica.

14.Occorre quindi procedere alla fase rescissoria, con l’esame del ricorso per cassazione proposto dall’INAIL.

15.Con il primo motivo l’Istituto si duole della violazione del D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 74 e 89 (art. 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte di appello confermato la pronuncia di primo grado nella parte in cui l’INAIL era stato condannato ad erogare, nel periodo in cui era in pagamento la rendita commisurata al grado di inabilità del 18%, l’indennità giornaliera per il periodo di inabilità temporanea assoluta dal 7.3.2003 al 2.2.2006 e dal 4.4.2007 al 18.11.2007, ciò in violazione del t.u. n. 1124 del 1965, artt. 74 e 89. Deduce che, in costanza di erogazione di una rendita, non è possibile il cumulo con l’indennità temporanea e che eventuali ricadute nella malattia o di riacutizzazioni degli esiti dell’infortunio, che determinino l’impossibilità temporanea di attendere al lavoro, possono essere prese in considerazione ove aggravino stabilmente la condizione del lavoratore in sede di revisione della rendita di inabilità D.P.R. n. 1124 del 1965, ex art. 83 restando salva la tutela del lavoratore predisposta in via generale dall’art. 2110 c.c. a mezzo delle prestazioni per malattia a carico dell’INPS.

16.Con in secondo motivo l’Istituto denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), assumendo come circostanza non contestata tra le parti che con provvedimento del 23 settembre 2003 la competente sede di Lucca avesse disposto la costituzione di una rendita con decorrenza dall’8 dicembre 2001 nella misura del 18%.

17. Il ricorso per cassazione è inammissibile.

18.Mentre la rendita per inabilità permanente ha la funzione d’indennizzare il danno fisico subito dall’assicurato in relazione alle percentuali di riduzione della sua attitudine al lavoro, l’indennità giornaliera per invalidità temporanea costituisce una prestazione economica, a carattere assistenziale, diretta ad assicurare al lavoratore i mezzi di sostentamento finchè dura l’inabilità che impedisce totalmente e di fatto all’infortunato di rendere le sue prestazioni lavorative (tra le altre Cass. n. 12402 del 2002). Ai sensi dello stesso D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 104 se l’infortunato non accetta la liquidazione della rendita comunque fatta dall’assicuratore comunica all’istituto entro sessanta giorni i motivi per i quali non ritiene giustificabile il provvedimento stesso, precisando la misura dell’indennità che ritiene essergli dovuta.

19. Nel caso in esame, con il ricorso introduttivo l’assicurato aveva chiesto che fosse accertata l’erroneità della liquidazione della rendita. Poichè non si verteva in ipotesi di domanda di aggravamento, ma di una originaria contestazione del provvedimento di liquidazione delle prestazioni assicurative, non è conferente il principio di diritto invocato dall’INAIL.

20. Il secondo motivo è del pari inammissibile. Premesso il carattere di novità ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 della questione secondo cui la decorrenza della rendita, nei termini di cui all’originario provvedimento di riconoscimento da parte dell’INAIL, sarebbe l’8 dicembre 2001 e non il 6 marzo 2003, è assorbente rilevare che l’oggetto della domanda giudiziale, come già ampiamente riferito, concerneva la contestazione in toto del provvedimento amministrativo, anche con riguardo al momento della stabilizzazione dei postumi, e non una revisione per aggravamento.

21.L’esito del ricorso per cassazione è dunque l’inammissibilità, non senza osservare che alcuni passaggi dello sviluppo argomentativo dell’impugnazione lasciano infondatamente ipotizzare, inducendo all’equivoco interpretativo, che la “ricaduta” subita dal ricorrente il 30 gennaio 2003 fosse questione che avrebbe potuto giustificare una domanda di revisione per aggravamento dei postumi.

22. In conclusione, va accolto il ricorso per revocazione e, revocata la decisione impugnata, decidendo in sede rescissoria, va dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’INAIL avverso la sentenza n. 426/2011 della Corte di appello di Firenze, confermativa della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Lucca.

23. Le spese del giudizio di legittimità e del giudizio di revocazione sono poste a carico dell’Inail e liquidate, per ciascuna delle due fasi, rescindente e rescissoria, nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso per revocazione; revoca l’ordinanza impugnata e, decidendo in sede rescissoria, dichiara inammissibile il ricorso per cassazione proposto dall’INAIL; condanna l’INAIL al pagamento delle spese del giudizio di cassazione e del giudizio di revocazione, che liquida per ciascuna fase, in Euro 5.250,00 per compensi e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

 

 

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