Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28224 del 04/11/2019
Cassazione civile sez. III, 04/11/2019, (ud. 05/07/2019, dep. 04/11/2019), n.28224
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ARMANO Uliana – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –
Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
G.G., G.R., elettivamente domiciliati in ROMA,
VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato NICOLA
DOMENICO PETRACCA, che li rappresenta e difende unitamente
all’avvocato STEFANO MENDOLIA;
– ricorrenti –
contro
N.M., No.Ma., elettivamente domiciliate in ROMA,
VIA A. SECCHI 4, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI
STEFANELLI, che le rappresenta difende unitamente all’avvocato ALDO
GHIRARDI;
– controricorrenti –
e contro
G.M.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1669/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,
depositata il 04/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/07/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI;
Fatto
RILEVATO IN FATTO
CHE:
1. La Corte di Appello di Brescia con la impugnata
sentenza respingendo l’impugnazione proposta da G.G. e
R. nei confronti di G.M., nonchè nei confronti di
No.Ma. e M. – ha integralmente confermato la sentenza n. 421/2017
del Tribunale di Brescia che aveva respinto la domanda di riscatto
forzoso sul fondo agrario denominato (OMISSIS), con immobili siti nei
Comuni di (OMISSIS), proposta dagli appellanti ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 10.
2. Due premesse in fatto possono essere utili ai fini della migliore comprensione dei fatti.
2.1. I ricorrenti sono fratelli e comproprietari
per quota indivisa di 1/12 ciascuno del c.d. Fondo (OMISSIS) (costituito
da un terreno sito in Comune di (OMISSIS), di altro terreno sito in
Comune di (OMISSIS) e di altri terreni e fabbricati rurali siti in
Comune di (OMISSIS)) ad essi pervenuto per atti notarili in data
19/6/1962, 9/3/1972, 12/11/1980.
I rimanenti 10/12 della proprietà comune del
suddetto fondo sono appartenuti a G.M., sorella dei
ricorrenti, fino al 18/11/2009, data in cui la stessa con atto pubblico
notarile aveva donato la nuda proprietà della propria quota di proprietà
comune del Fondo alle nipoti No.Ma. e M. (persone
estranee alla comunione, all’impresa familiare agricola ed alla
conduzione del Fondo stesso), riservando a sè l’usufrutto.
Il Fondo, fin dalla data del suo acquisto, era
stato oggetto di coltivazione diretta da parte dei tre fratelli (i
fratelli G.G., R. e M.), dapprima, in regime di
comunione tacita familiare in agricoltura, e, poi, a seguito
dell’entrata in vigore della L. n. 151 del 1975,
nelle forme dell’impresa familiare. Da detta impresa G.M. era
uscita in data che era stata indicata dagli odierni ricorrenti nel
29/1/1998, ma che, in conformità di quanto dedotto dalle odierne
resistenti, era stata determinata da entrambi i giudici di merito nel
11/11/1997 (con effetto decorrente dall’annata agricola 1997/1998, tanto
che a partire da detta annata i ricorrenti deducevano di aver ricevuto
in affitto dalla sorella M. la quota dei 10/12 di sua proprietà).
2.2. I fratelli G.G., R. e M.,
oltre a condurre i terreni che costituiscono il Fondo controverso, a
mezzo di impresa familiare, hanno coltivato con T.G.,
F. e A., anche altri fondi, siti nei Comuni di (OMISSIS), mediante
altra comunione tacita familiare (poi regolarizzata in società semplice
con atto del 26.11.1997 ed infine cancellata in data 9.2.2000).
3. Orbene, era accaduto che G.G. e
R. con atto notificato in data 17 gennaio 2013 avevano esercitato il
riscatto forzoso della quota indivisa di 10/12 del Fondo Controverso, ai
sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8,
comma 10, richiedendo al Settore Agricoltura della Provincia di
Brescia, quale Ispettorato Agrario Provinciale, di determinare il prezzo
congruo dei beni oggetto di riscatto, incombente al quale l’Ufficio
aveva provveduto in data 21.2.2013.
Successivamente, con ricorso 20/5/2013, non
essendosi raggiunta tra le parti un’intesa nè sull’an del riscatto nè
sul quantum, i fratelli G. avevano attivato la procedura di cui
alla L. n. 607 del 1966, artt. 2,3,4 e 5, (affrancazione enfiteusi) richiamata dalla L. n. 590 del 1965, art. 8.
La fase sommaria del procedimento si era conclusa con ordinanza di rigetto.
Avverso detta ordinanza i fratelli G.G. e R. avevano proposto ricorso al Tribunale di Brescia.
Si erano costituite No.Ma. e M., mentre era rimasta contumace G.M..
Il giudice di primo grado con sentenza n. 421/2017
– dopo aver premesso che G.G. e R. avevano allegato che
la sorella M. aveva cessato far parte della impresa familiare che
coltivava i fondi a partire dalla annata agraria 1997-1998 – aveva
ritenuto che il diritto di riscatto forzoso, che spetta ai componenti
della famiglia coltivatrice qualora il componente che ne è uscito non
venda la quota di sua spettanza entro cinque anni dal giorno in cui ha
lasciato l’azienda ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8,
comma 10, fosse un diritto potestativo prescrittibile nel termine
ordinario decennale; e – dopo aver accertato che il diritto di riscatto
era sorto in data 11/11/2002, decorsi cioè cinque anni dalla cessazione
della coltivazione di G.M., e si era prescritto in data
11/11/2012 – ha ritenuto tardiva la domanda di riscatto proposta dagli
attori con atto notificato il 17.1.2013.
Avverso la suddetta sentenza i fratelli
G.G. e R. avevano proposto appello, articolando due motivi. Con il
primo si erano lamentati che il Tribunale di Brescia non aveva
correttamente interpretato le prove documentali, trascurando di valutare
le scritture datate 29 gennaio 1998 (che, in tesi difensiva,
dimostravano come la sorella M. avesse agito ed operato quale loro
compartecipe dell’impresa familiare sino a detto giorno); all’uopo,
avevano chiesto che venisse ammessa la prova per testi sul capitolo 19
riportato nel ricorso in appello che avrebbe dovuto dimostrare la
contestualità tra la sottoscrizione di dette scritture private e la
uscita di G.M. dalla impresa familiare coltivatrice del fondo,
del quale era restata proprietaria dei 10/12. Con il secondo motivo si
lamentavano che il Tribunale aveva dichiarato prescrittibile il loro
diritto di agire per il riscatto forzoso, mentre detto diritto dovrebbe
essere imprescrittibile in considerazione dei connotati peculiari che lo
caratterizzano (costituendo un diritto potestativo connesso ed
accessorio al diritto di proprietà dei coltivatori della quota del fondo
riscattato e quindi imprescrittibile come il diritto di proprietà, e
perdurando sino a che permane lo stato di comproprietà sul fondo di cui
si riscattano le quote, nonchè la conduzione in regime di impresa
familiare originaria o succeduta a questa in sua prosecuzione). Gli
appellanti, illustrati i motivi, avevano concluso chiedendo che la Corte
territoriale, in riforma della sentenza impugnata, previo espletamento
della istruttoria non compiuta in primo grado, dichiarasse che essi
appellanti avevano esercitato validamente il riscatto del fondo
(OMISSIS) (e che, quindi, fosse loro trasferita in quote uguali la
proprietà dei 10/12 degli immobili che lo costituivano, già in capo alla
sorella coltivatrice M., per la somma di Euro 170.400 in favore
della usufruttuaria e di Euro 483.050 per ciascuna delle nude
proprietarie, trasferimento sottoposto alla condizione sospensiva del
pagamento delle somme dovute a titolo di correspettivo).
No.Ma. e M. si erano costituite, resistendo
all’appello, del quale avevano chiesto il rigetto, con la conferma
della sentenza impugnata ed il favore delle spese del grado.
G.M. era rimasta contumace.
E la Corte di Appello di Brescia, come sopra
rilevato, con la menzionata sentenza ha per l’appunto confermata la
sentenza del giudice di primo grado.
4. Avverso la sentenza della Corte territoriale hanno proposto ricorso i fratelli G.G. e R..
Hanno resistito con controricorso le sorelle
No.Ma. e M., nipoti di G.M. (sorella dei
ricorrenti), mentre nessuna attività è stata svolta da quest’ultima.
In vista dell’odierna adunanza i fratelli ricorrenti hanno depositato memoria a sostegno del ricorso.
Diritto
RITENUTO IN DIRITTO
CHE:
1. I ricorrenti con un unico motivo di ricorso, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., denunciano violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 10, nonchè degli artt. 2934 e 2946 c.c., e dell’art. 12
preleggi, nella parte in cui la Corte territoriale ha qualificato la
facoltà di retratto del familiare coltivatore come diritto potestativo
primario e autonomo ed ha ritenuto applicabili a tale retratto, così
qualificato, le norme generali in materia di prescrizione.
Sostengono che detta interpretazione e applicazione delle norme sia errata, in quanto:
a) in contrasto con il disposto dell’art. 12 disp. gen.,
perverrebbe ad attribuire alle disposizioni interpretate un significato
non necessitato dal tenore letterale delle norme interpretate e
contrario all’intenzione del Legislatore ed a principi generali
dell’ordinamento, tra i quali deve farsi rientrare il favor per la
proprietà, diretta coltivatrice ex art. 47 Cost.;
b) non sarebbe coerente con la lettera della L. n. 590 del 1965, art. 8,
comma 10, la quale prevede per l’esercizio del retratto un termine
iniziale (il decorso del quinquennio dalla cessazione della
partecipazione alla conduzione del fondo da parte del soggetto passivo),
ma non un termine finale e delinea che a fondamento della facoltà
acquisitiva si pone una situazione giuridica soggettiva complessa, che
ricomprende: l’appartenenza a famiglia coltivatrice, la comproprietà del
fondo coltivato, la prosecuzione della conduzione di tale fondo comune;
c) non sarebbe coerente con la lettera e la ratio degli artt. 2934 e 2946 c.c.,
atteso che tali norme, con il termine “diritti” si riferiscono ai
diritti soggettivi primari e non alle facoltà connesse a situazioni
giuridiche soggettive perduranti (c.d. diritti facoltativi), nè
escludono che la previsione legale di imprescrittibilità dei diritti
possa essere desunta dalla ricostruzione dell’istituto del retratto del
familiare coltivatore;
d) contrasterebbe con la ratio della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 10, di tutela del consolidamento dell’impresa familiare agricola, che trova fondamento anche negli artt. 44,47 e 3.2. Cost.,
ratio in relazione alla quale il decorso del tempo non è suscettibile
di affievolire, ma eventualmente di rafforzare, le esigenze di interesse
anche sociale tutelate dalla facoltà acquisitiva legalmente prevista;
e) trascurerebbe la rilevante indicazione esegetica desumibile dal
rinvio dell’art. 8, comma 10, citato al procedimento di affrancazione,
coerente con la qualificazione del particolare retratto in argomento
come facoltà acquisitiva perdurante, al pari della facoltà di
affrancazione.
I ricorrenti – dopo essersi soffermati sulla distinzione
concettuale esistente tra diritti soggettivi e facoltà connesse a
situazioni giuridiche soggettive – deducono che il retratto del
familiare coltivatore del fondo comune – che si distingue dal retratto
agrario ordinario e dal retratto successorio – va ricostruito (non come
diritto soggettivo primario, soggetto a prescrizione ordinaria,
decorrente dal compimento del quinquennio di inerzia da parte del
componente della famiglia coltivatrice che abbia cessato la conduzione
del fondo, ma) come facoltà acquisitiva inscindibilmente connessa alla
situazione giuridica soggettiva di comproprietario, componente della
famiglia coltivatrice, che continua la conduzione del fondo comune, con
la conseguenza che, proprio in quanto tale, può essere esercitato nei
confronti del comproprietario che ha abbandonato la coltivazione del
fondo per oltre 5 anni (senza alienare la quota) e non è suscettibile di
prescrizione nel perdurare della situazione giuridica soggettiva di cui
costituisce espressione e contenuto (cioè nel perdurare della comunione
tra familiari coltivatori del fondo comune). Svolgono, a sostegno
dell’assunto sopra esposto, argomenti di ordine letterale,
logico-teologico e storico-sistematico. E rilevano che l’interpretazione
dell’istituto, da essi offerta, non conduce ad un sacrificio
intollerabile dell’autonomia del soggetto passivo del retratto
successorio, in quanto questi, una volta abbandonata la coltivazione del
fondo, non è comunque soggetto al retratto per l’apprezzabile periodo
di 5 anni e, una volta soggetto al retratto, può comunque chiedere la
divisione (così liberandosi della soggezione al retratto determinata per
effetto della propria inerzia quinquennale).
2. Il ricorso va rigettato.
2.1. La questione di diritto, ad esso sottesa, concerne la natura e
la ratio (ed i conseguenti effetti del decorso del termine)
dell’istituto del diritto di retratto del familiare coltivatore del
fondo comune L. n. 590 del 1965, ex art. 8, comma 10, a norma del quale:
“Se il componente di famiglia coltivatrice, il quale abbia cessato
di far parte della conduzione colonica in comune, non vende la quota del
fondo di sua spettanza entro cinque anni dal giorno in cui ha lasciato
l’azienda, gli altri componenti hanno diritto a riscattare la predetta
quota al prezzo ritenuto congruo dall’Ispettorato provinciale
dell’agricoltura, con le agevolazioni previste dalla presente legge,
semprechè l’acquisto sia fatto allo scopo di assicurare il
consolidamento di impresa coltivatrice familiare di dimensioni
economicamente efficienti. Il diritto di riscatto viene esercitato, se
il proprietario della quota non consente alla vendita, mediante la
procedura giudiziaria prevista dalle vigenti leggi per l’affrancazione
dei canoni enfiteutici”.
2.2. La Corte di Appello di Brescia, confermando integralmente la
sentenza di primo grado, ha a sua volta ritenuto prescrittibile nel
termine decennale il diritto di riscatto degli appellanti sulla base
delle seguenti argomentazioni:
-il diritto di riscatto previsto in favore dei comproprietari
coltivatori del fondo avverso il componente della famiglia coltivatrice
che abbia cessato la conduzione è certamente un diritto potestativo
inerente la proprietà del fondo ma da essa distinto ed autonomo. Tale
diritto, in considerazione della sua natura di diritto potestativo,
impone uno stato di soggezione in capo al soggetto che ne è gravato (e
che nulla può fare sino a che non viene esercitata la manifestazione di
volontà del titolare diretta ad avvalersene, manifestazione di volontà
che automaticamente provoca effetti nella sfera patrimoniale del
soggetto passivo); quest’ultimo vanta un diritto ad essere certo del
momento in cui cessa il suo vincolo e la correlativa potestà del
titolare, che, in assenza di altre specifiche, coincide con il
compimento della prescrizione a suo danno;
– secondo quanto dispone l’art. 2934 c.c.,
al fine di equilibrare i diritti dei soggetti attivo e passivo ed
uniformare lo stato di diritto allo stato di fatto, esiste la
prescrizione: come è noto, il decorso del termine di prescrizione
determina la estinzione di ogni diritto, quando il titolare non lo
esercita per il tempo determinato dalla legge, salvo che si tratti di un
diritto indisponibile oppure vi sia una espressa previsione normativa
che esclude l’operare della prescrizione;
– il diritto di riscatto forzoso del fondo agricolo è un diritto
disponibile ed è prescrittibile nel termine di 10 anni, decorrente dallo
scadere del 5 anno dalla cessazione della coltivazione del Fondo, con
la conseguenza che nella specie si era prescritto in data 11/11/2012;
– l’esame dei documenti prodotti dagli appellanti, entrambi datati
29 gennaio 1998, non portava a diversa conclusione: invero, con un
documento, sottoscritto anche da G.M., era stata disposta la
divisione delle aziende agricole che coltivavano il fondo (OMISSIS) ed
altro fondo denominato Pudiano tra i due fratelli G.R. e
G.; la circostanza che nel gennaio 1998 si fosse reso necessario,
tramite i buoni uffici del cugino Toninelii, provvedere ad un accordo in
merito alla divisione tra i fratelli G.R. e G. sulla
conduzione del fondo controverso rafforzava la prova del fatto che al
mese di novembre 1997 G.M. aveva cessato la coltivazione del
fondo; d’altronde dallo stesso articolato del capitolo 19 si evinceva
che al mese di gennaio 1998 G.M. fosse già uscita dalla
impresa familiare coltivatrice del fondo (OMISSIS); in definitiva, il
termine della coltivazione del fondo era stato correttamente individuato
dal giudice di primo grado nella data del 11/11/1997, data di scadenza
dell’annata agraria 1996/1997;
– il diritto di riscatto forzoso L. n. 590 del 1965, ex art. 8,
comma 10, poteva essere fatto valere decorsi i cinque anni, ovvero alla
data dell’11/11/2002, giorno che costituiva il termine di decorrenza
iniziale della prescrizione, interamente decorsa all’11/11/2012,
precedentemente all’esercizio del diritto che gli appellanti avevano
compiuto con atto notificato il 17 gennaio 2013.
2.3. Il dictum della Corte di merito si colloca nel quadro di una corretta cornice ermeneutica.
Invero, come questa Corte ha già avuto modo di precisare (cfr. sent. n. 10417/2002), la L. n. 590 del 1965, art. 8,
comma 10, è una norma che, nello spirito della legislazione agraria,
tende ad assicurare il consolidamento dell’impresa coltivatrice
familiare di dimensioni economicamente efficienti, favorendo, in caso di
uscita di uno dei componenti, il subentro degli altri attraverso
l’esercizio di una speciale forma di riscatto. Tale riscatto può essere
richiesto anche in caso di dissenso del proprietario uscente, attraverso
una procedura complessa che consenta la determinazione di un prezzo
congruo, con la partecipazione dell’ispettorato provinciale
dell’agricoltura.
La disposizione in esame è strutturata secondo ben precise cadenze
temporali, giacchè richiede che siano passati 5 anni dal momento in cui
il componente abbia cessato di far parte della conduzione colonica in
comune senza vendere la propria quota. La norma va interpretata nel
senso che chi esce dalla conduzione in comune, ha 5 anni di tempo per
decidere se vendere o meno la propria quota e, dopo 5 anni di inerzia,
gli altri potranno riscattare anche forzatamente la sua quota. Il che, a
ben vedere, si spiega in modo del tutto ragionevole perchè tiene
presente, da un lato, il diritto alla libera determinazione di chi
decide di uscire dalla conduzione comune e, dall’altro, pone gli altri
componenti in condizione di impedire che l’inerzia si protragga
indefinitamente, con danno anche alle ragioni di un’efficiente attività
di coltivazione.
Occorre aggiungere che questa Corte, esaminando fattispecie nella
quale la Corte territoriale aveva dichiarato la prescrizione del diritto
di riscatto azionato ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8,
– ha già avuto modo di osservare che detto diritto, una volta evitata
la decadenza, rimane soggetto alle disposizioni che regolano la
prescrizione (sent. n. 10760 del 29/9/1999).
A tale principio, come sopra rilevato, si è conformata la Corte territoriale anche nel caso in esame.
3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente
alla rifusione delle spese processuali sostenute da parte resistente.
Parte ricorrente non va altresì dichiarata tenuta al pagamento
dell’ulteriore importo dovuto per legge e indicato in dispositivo.
PQM
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte
resistente delle spese del presente giudizio, che, per ciascuna parte,
liquida in Euro 3000, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli
accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1,
comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a
norma del citato art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019