Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28223 del 04/11/2019
Cassazione civile sez. III, 04/11/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 04/11/2019), n.28223
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28314/2017 proposto da:
Azienda Sanitaria Locale (OMISSIS), in persona del legale
rappresentante in carica, elettivamente domiciliato in Roma alla via
Giuseppe Ferrari n. 35, presso lo studio dell’AVVOCATO MARCO
VINCENTI che lo rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO CARLO
NARDI;
– ricorrente –
contro
M.L., S.S. in proprio e nella qualità di tutore di
S.G., elettivamente domiciliati in Roma al viale delle
Milizie, n. 124 presso lo studio dell’AVVOCATO CARLA CORDESCHI che
li rappresenta e difende unitamente all’AVVOCATO ANDREA PETTINI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 01773/2017 della CORTE d’APPELLO di FIRENZE,
depositata il 26/07/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
04/07/2019 da Cristiano Valle;
udito l’Avvocato Carlo Nardi per la ricorrente e l’Avvocato Andrea
Pettini per i controricorrenti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SGROI Carmelo.
osserva:
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza n.
01773 del 2017, per quanto ancora rileva in questa sede, ha confermato,
in ordine alla sussistenza del nesso casuale tra condotta dei medici in
servizio presso l’Ospedale (OMISSIS), che avevano assistito nelle ultime
settimane di gravidanza di M.L., moglie di S.S. e
madre della minore G., nata il (OMISSIS), la sentenza del Tribunale
della stessa sede per danni subiti da nascitura e genitori, riformandola
parzialmente in punto di determinazione del risarcimento in favore di
S.G..
La ASL (OMISSIS) impugna la sentenza della Corte territoriale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5.
Resistono con controricorso M.L.,
S.S., questi in proprio e quale tutore della figlia S.G.,
interdetta.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c., per l’udienza di discussione.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
L’unico motivo di ricorso proposto dalla ASL Toscana Centro è formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Esso è così formulato: “non avendo la Corte Territoriale
considerato quanto accertato dal CTU Dott. prof. C.L. (V. in
specie, le quattro ultime righe della pag. 13 della sua perizia
depositata il 23/07/2013 nel primo grado del giudizio) per cui:
“l’esistenza di una primitiva condizione di sofferenza che, secondo il
parere concorde del sottoscritto e dello specialista consultato (Prof.
Venturini) avrebbe con massima verosimiglianza determinato di per sè
conseguenze di danno dimodochè la condotta dei medici (ritardo
nell’espletamento del parto) aggravò una “preesistente condizione
patologica” ma non causò i postumi che per quest’ultima si sarebbero
“comunque” determinati (V. le prime quattro righe della pag. 14 di detta
perizia); e ciò con conseguente riliquidazione dei danni attorei in
funzione di una quota di aggravamento dei danni stessi imputabile ai
medici da ritenersi equitativamente inferiore o, quantomeno, paritetica ex art. 2055 c.c.”.
Il motivo è destituito di fondamento ed è, altresì, avulso dal
testo della sentenza impugnata e inoltre prospetta vizio motivazionale
non più esperibile nel vigente contesto normativo.
La Corte di Appello di Firenze, seguendo l’impostazione
motivazionale del Tribunale, ha ritenuto la condotta dei medici
causalmente determinante della nascita in stato di grave sofferenza di
S.G., non solo perchè essi avessero ritardato di disporre il
parto cesareo, ma anche in quanto, a fronte di una situazione di battito
tachicardico riscontrata nel feto sin dal 7 aprile 1997 avevano
ritardato di effettuare a brevi intervalli ulteriori tracciati,
rinviandone uno dal (OMISSIS) e dopo che M.L. si era recata in
ospedale il (OMISSIS) avevano sospeso l’effettuazione del tracciato,
precludendo, in tal modo la stessa possibilità di accertare la necessità
di un più tempestivo parto cesareo.
La situazione patologica preesistente alla quale il Dott. C.,
secondo consulente d’ufficio in primo grado, ha fatto riferimento nel
proprio elaborato peritale è ben presente alla Corte territoriale, che a
pag. 11 della sentenza così motiva: “…va ravvisata la responsabilità
dell’appellante non solo per la condotta gravemente colposa tenuta dai
medici in occasione del parto, ma anche per la situazione patologica
provocata al feto nelle settimane precedenti, in quanto anch’essa
riconducibile a negligenza, imprudenza ed imperizia dei sanitari, per
cui, in accoglimento dell’appello incidentale avanzato dagli appellati,
la sentenza impugnata va riformata sul punto con l riconoscimento in
favore di G. dell’intero danno non patrimoniale da lei subito”.
La Corte di Appello motiva, pertanto, ampiamente valutando
adeguatamente la (seconda) consulenza tecnica d’ufficio del Dott. prof.
C., sul quale si appunta il mezzo di censura, ed afferma che
comunque il comportamento omissivo dei medici nell’ultimo mese di
gravidanza e comunque tenuto per tre settimane di seguito, a decorrere
dall’esame cardiotografico del (OMISSIS) e fino al (OMISSIS), aveva
determinato lo stato anossico ed i medici stessi avrebbero potuto
evitare l’evento (ipossia perinatale) non posticipando ulteriori esami
dal 24 aprile al (OMISSIS) ed anticipando adeguatamente il parto
cesareo, nonchè evitando la somministrazione di medicinali (quali
l’ossitocina) controindicati in caso di ipossia.
La Corte territoriale addebita correttamente ai medici della
struttura sanitaria “la mancata adeguata ricerca della sofferenza fetale
nel suo primo insorgere”, con la conseguenza che non viene in alcun
modo in rilievo, come sottintende capziosamente il motivo di ricorso,
una pregressa patologia del feto non imputabile a noxa iatrogena (ossia
una situazione di sofferenza fetale del tutto autonoma dalla condotta
omissiva dei medici).
Il motivo è, peraltro, anche inammissibile, in quanto è formulato richiamando l’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5 evidentemente nell’attuale formulazione, risalente al
2012, ma chiaramente denuncia una contraddittorietà della motivazione,
in più parti, secondo il precedente paradigma normativo.
La censura reitera un motivo di impugnazione non più esperibile,
nella specie di sindacato di fatto sulla motivazione, in contrasto con
la giurisprudenza formatasi in tema (Sez. U n. 08053 del 07/04/2014 e
più di recente Cass. del 12/10/2017 n. 23940), secondo la quale: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134,
deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del
sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in
cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza
della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della
sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di
motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione
apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”
e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”,
esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della
motivazione”).
Il ricorso, basato su detto unico motivo, è, conclusivamente, rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza della ricorrente e sono liquidate come da dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per
il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Si reputa opportuno disporre che in caso di utilizzazione della
presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione
scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti
di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e
degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che si
liquidano in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre
rimborso forfetario al 15%, CA ed IVA per legge;
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002,
dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma
1 bis.
Dispone oscuramento dati identificativi e generalità.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Corte di Cassazione nella Sezione Terza Civile, il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019