Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28215 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Presidente –

Dott. TOFFOLI Gabriella – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8356/2008 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, PATTERI ANTONELLA, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.I., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER Paolo, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 791/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 15/03/2007 r.g.n. 660/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2011 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI;

udito l’Avvocato PAOLO BOER;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bologna, confermando la decisione del Tribunale di Ravenna, ha accolto la domanda con la quale B.I. – divenuta, in data 1 dicembre 1986, unica titolare della pensione di reversibilità della quale fruiva, in regime di contitolarità dal 1 ottobre 1978 – aveva chiesto la riliquidazione di tale pensione nella percentuale del 60% di quella spettante al coniuge deceduto, integrata al trattamento minimo e con gli aumenti previsti della L. n. 140 del 1985, artt. 3 e 4. La Corte d’appello ha osservato che la perdita della contitolarità di una pensione di reversibilità, successiva al 30 settembre 1983, rendeva necessaria un’operazione di riliquidazione, da effettuare con decorrenza dalla morte del dante causa e comportante – ove il de cuius potesse far valere 781 contributi utili, l’evento morte si fosse realizzato prima del 1984 e la quota spettante all’unico superstite fosse stata, all’epoca, integrabile al minimo, (circostanze queste, dal giudice di secondo grado ritenute tutte pacifiche in causa) – il diritto agli aumenti pensionistici di cui alle citate norme della L. n. 140 del 1985. Ha escluso, invece, la Corte territoriale (citando, a conforto la sentenza di cassazione n. 15644/2005) il diritto del titolare residuo, divenuto tale dopo il 30 settembre 1983, alla “cristallizzazione” della pensione nell’importo (integrato) spettante alla data in questione, essendo il meccanismo di conservazione, previsto per la cristallizzazione, inconciliabile con il meccanismo del ricalcalo da applicare nel caso concreto.

L’INPS ha chiesto la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su due motivi.

La B. ha resistito con controricorso e ha, poi, depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nel primo motivo l’INPS denunzia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, come risultante dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, in relazione al D.L. n. 463 del 1983, art. 6, convertito nella L. n. 638 del 1983 e della L. n. 140 del 1985, artt. 3, 4 e 5, chiedendo alla Corte di stabilire “se, in caso di pensione di reversibilità avente decorrenza dall’ottobre 1978 e spettante a più contitolari, qualora nel novembre 1986 perdano il diritto tutti i contitolari eccetto uno, per stabilire se sul trattamento spettante all’unico superstite siano dovuti l’integrazione al minimo, la cristallizzazione e gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, artt. 3 e 4, si deve avere riguardo alle condizioni del titolare residuo esistenti al momento del decesso del dante causa, oppure a quelle esistenti alla data di cessazione della con titolarità”.

2. Nel secondo motivo, con deduzione di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, l’INPS contesta alla sentenza impugnata di non aver tenuto conto della circostanza, dedotta in primo grado e ribadita nel ricorso in appello, che la pensione di cui era titolare controparte era stata liquidata nella Gestione (autonoma) Artigiani e acquisita con contribuzione mista di lavoro dipendente. Trattasi, secondo il ricorrente di una circostanza di fatto decisiva, essendo ostativa l’avvenuta liquidazione della pensione in una gestione autonoma all’attribuzione dei richiesti aumenti, segnatamente di quelli previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 3.

9. Il ricorso, i cui motivi si esaminano congiuntamente per la connessione delle questioni con essi proposte, è fondato nei sensi e nei limiti di cui alla considerazioni che seguono.

10. Quanto al quesito posto dall’INPS nel primo motivo la questione, così come prospettata, non può essere risolta in senso favorevole all’INPS in considerazione sia della normativa regolatrice della materia, sia della motivazione della sentenza impugnata le cui affermazioni, su diversi punti decisivi, non sono state specificamente e adeguatamente censurate in questa sede.

Va, escluso, in primo luogo, che la Corte d’appello di Bologna abbia riconosciuto il diritto della pensionata alla “cristallizzazione”, dal 1 ottobre 1983, dell’importo della integrazione dalla stessa Corte riconosciuto spettante per il periodo precedente. Tutta la motivazione (dalle ultime righe di pag. 7 a tutta pag. 8) è in questi termini (e significativo è il richiamo di Cass. 15644/2005 che tale diritto aveva escluso), mentre non risulta censurata l’affermazione che anche la sentenza di primo grado aveva adottato analoga decisione.

Del pari, il ricorso non investe l’affermazione che la pensione spettante al contitolare superstite, calcolata con riguardo alla sua spettanza teorica, avrebbe dovuto essere integrata al minimo, nonchè la considerazione della Corte di merito secondo cui “l’Istituto appellante non ha, peraltro censurato specificamente” la risposta affermativa data, sul punto, dal giudice di primo grado.

Quanto alle decisioni di questa Corte che l’INPS cita a conforto della propria tesi difensiva (Sez. unite n. 17888/2002 e Cass. n. 18493/2005), la prima affronta – per risolverla in senso negativo- soltanto la questione relativa alla riconoscibilità, all’unico titolare di pensione di reversibilità, divenuto tale in epoca successiva al 30 settembre 1983, del diritto alla “cristallizzazione” dell’importo della integrazione e non pure quella concernente la spettanza o meno dei miglioramenti di cui alla L. n. 140 del 1985.

A sua volta, la seconda delle indicate decisioni (Cass. n. 18493/2005) si limita a trarre dal principio espresso dalle Sezioni unite appena citate il corollario della non spettanza degli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, senza esplicitare, tuttavia, le ragioni di una simile conclusione che necessitava, viceversa, di un adeguato supporto giuridico, stante l’opposto orientamento nel frattempo espresso dalla giurisprudenza della Corte (vedi Cass. n. 11457/2004; n. 22743/2004; n. 15 644/2005 già citata).

Ritiene, in ogni caso, il Collegio di seguire quest’ultimo – del tutto prevalente – orientamento (da ultimo ribadito nella recente sentenza n. 20104/2011, condividendo la tesi che la regolamentazione della pensione del titolare residuo pone problematiche completamente diverse a seconda che si tratti del diritto agli aumenti di cui alla citata L. n. 140 del 1985, oppure del diritto alla c.d.

cristallizzazione, di talchè i criteri applicabili al secondo non sono applicabili sic et sempliciter al primo; conseguendone che la non operatività, per l’unico titolare di pensione rimasto tale dopo la data (30 settembre 1983) prevista dal D.L. n. 463 del 1983, art. 6, comma 1 (convertito nella L. n. 638 del 1983), del principio della conservazione “cristallizzata” dell’importo del trattamento pensionistico in atto (principio dettato dal comma 7 dello stesso art. 6), non osta a che gli siano riconosciuti gli aumenti pensionistici previsti dalla L. n. 140 del 1985, nell’operazione di ricalcalo della pensione, allorquando si accerti che, secondo il regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 463 del 1983 citato la sua quota teorica – e non già quella concretamente erogata in regime di con titolarità – sarebbe stata integrabile al minimo.

11. In conclusione, al quesito di diritto posto dall’INPS deve rispondersi nel senso che “Alla cessazione del regime di contitolarità tra più beneficiari di un trattamento di reversibilità, intervenuta dopo l’entrata in vigore del decreto L. n. 463 del 1983 (convertito nella L. n. 638 del 1983), la pensione del titolare residuo deve essere determinata tenendo conto non già di quanto di fatto percepito durante il periodo di contitolarità, ma operando un conteggio virtuale, fin dalla morte del dante causa, al fine di ricostruire la prestazione come se vi fosse stato sempre un unico titolare; ne consegue, per il caso in cui si accerti che la quota di pensione spettante a tale unico titolare era, nel regime precedente a quello introdotto dal decreto legge citato, passibile di integrazione al minimo, che la riliquidazione di tale quota va operata applicandosi ad essa gli aumenti mensili previsti dalla L. n. 140 del 1985 per le pensioni integrate al minimo, a prescindere dal fatto che, durante il regime di contitolarità, la pensione in godimento non beneficiasse della integrazione al minimo”.

12. Quanto al difetto di motivazione oggetto della censura di cui al secondo motivo di ricorso, in effetti la circostanza di fatto di cui si lamenta la mancata considerazione non è neppure menzionata nella sentenza della Corte di Bologna, benchè fosse stata espressamente segnalata dall’Istituto ricorrente nel ricorso in appello (trascritto in questa sede per la parte che interessa, in ossequio al principio di autosufficienza).

13. Orbene, mentre l’omissione addebitata al giudice a quo deve considerarsi irrilevante ai fini della decisione adottata per quanto riguarda il riconoscimento degli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4- essendo questi dovuti (nella concorrenza degli altri requisiti prescritti dalla medesima disposizione normativa) sulle “pensioni acquisite con più di 780 contributi settimanali” senz’altra specificazione che consenta di distinguere tra le varie prestazioni pensionistiche, a seconda della gestione che ne operi la liquidazione e del tipo di contribuzione versata – al contrario, l’omissione in questione assume significato determinante ai fini dell’attribuzione degli aumenti previsti dall’art. 3 della stessa legge.

14. Quest’ultima disposizione, infatti, menziona, esplicitamente e in via esclusiva, nel primo comma, come destinatarie dell’ivi previsto aumento (pari a L. 100.000 mensili), “le pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti e della gestione speciale per i lavoratori delle miniere cave e torbiere” di importo superiore al trattamento minimo (fin dalla data di decorrenza o da epoca posteriore) e successivamente assorbite nel trattamento minimo;

dove per “pensioni a carico” non possono che intendersi, secondo le regole proprie dell’ordinamento previdenziale, le pensioni liquidate (e, pertanto, corrisposte) dall’assicurazione generale dei lavoratori dipendenti e dalla gestione speciale per i lavoratori delle miniere cave e torbiere.

15. In relazione a tale esplicito e specifico dettato normativo, non può fornire ulteriori e divergenti criteri di interpretazione l’argomento del controricorso (che va, di conseguenza, disatteso), secondo cui occorrerebbe tener conto della L. n. 233 del 1990, art. 16, il quale, riferendosi alle pensioni liquidate nelle gestioni autonome con il cumulo di contributi versati nell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti, le considera come un unico trattamento, si che ogni pensione dovrebbe considerarsi una pensione “a carico” dell’AGO, sia pure pro quota.

15. Deve, quindi, concludersi nel senso che gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 3, sono stabiliti ad esclusivo vantaggio delle pensioni indicate in questa stessa norma, ossia delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e della gestione speciale per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere; conseguentemente gli aumenti in questione non spettano sulle pensioni liquidate a carico di altre gestioni, ancorchè acquisite con il cumulo di contributi di lavoro dipendente.

16. Per tutte le considerazioni su esposte, mentre deve ritenersi che la sentenza impugnata non sia suscettibile di cassazione per quanto riguarda l’affermazione del diritto della B. agli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4, se ne impone, invece l’annullamento in punto di spettanza dell’aumento previsto dall’art. 3 della stessa legge, non essendo stato compiuto alcun accertamento in ordine al tipo di pensione della quale in concreto era titolare la odierna resistente.

17. Per la verifica di tale indispensabile elemento di fatto la causa va rinviata ad altro giudice di merito, designato nella stessa Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione; cassa, nei limiti di tale accoglimento, la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolazione delle spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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