Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28215 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2020, (ud. 24/07/2020, dep. 10/12/2020), n.28215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5338-2020 proposto da:

H.Y., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE PAFUNDI,

rappresentato e difeso dall’avvocato DANIEL SUSSMAN DETTO STEINBERG;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – PREFETTURA MILANO, in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI

12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso il provvedimento del GIUDICE DI PACE di MILANO, depositata il

20/11/2019 R.G.N. 41315/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/7/2020 dal Consigliere Dott. PATTI ADRIANO PIERGIOVANNI.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con ordinanza 20 novembre 2019, il Giudice di Pace di Milano rigettava il ricorso proposto da H.Y., di cittadinanza albanese, avverso il decreto di espulsione 30 maggio 2019 del Prefetto di Milano, notificato in pari data, sui presupposti della mancata dichiarazione di presenza (al Questore della provincia in cui lo straniero si trovi) entro gli otto giorni dall’ingresso sul territorio nazionale (nel caso di specie il 8 maggio 2019 dalla frontiera del Brennero), secondo quanto stabilito per gli stranieri provenienti da Paesi aderenti all’accordo di Schengen (come appunto l’Albania) e della pericolosità sociale del predetto, ritenuta ai sensi del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 13, comma 2 per il suo arresto in flagranza di illecita detenzione e cessione di quantità modica di cocaina in (OMISSIS), con contestuale applicazione della misura cautelare del divieto di dimora ivi;

2. avverso l’ordinanza lo straniero ricorreva tempestivamente per cassazione con due motivi; il Ministero dell’Interno rilasciava procura, al fine di eventuale partecipazione alla discussione, all’Avvocatura Generale dello Stato e la Prefettura di Milano, pure ritualmente intimata, non svolgeva difese.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. in applicazione del principio processuale della “ragione più liquida” (Cass. 11 maggio 2018, n. 11458; Cass. 9 gennaio 2019, n. 363), giova avviare l’esame dal secondo motivo, con il quale il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 1426 del 1956, art. 1 come sostituito dalla L. n. 327 del 1988, art. 2 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2 per la ritenuta pericolosità sociale del ricorrente sulla sola base del reato ascrittogli, neppure grave, senza alcun elemento probatorio a sostegno della sua attualità, nè valutazione effettiva della sua personalità di operaio edile per anni nel proprio Paese (attestata dalla significativa restituzione, con la sentenza del Tribunale di Milano di applicazione della pena, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., della somma sequestrata eccedente quella di Euro 1.600,00 provento della cessione di stupefacente: come da copia del provvedimento allegato), in violazione dei criteri stabiliti dalle norme denunciate, secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, con motivazione apodittica e gravemente carente;

2. esso è infondato;

3. è noto che il giudice ordinario, investito dell’opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione dello straniero adottato per motivi di pubblica sicurezza, abbia il potere-dovere di verificare, con accertamento pieno non limitato da un’insussistente discrezionalità dell’amministrazione, l’esistenza dei presupposti di appartenenza dello straniero a una delle categorie dei soggetti socialmente pericolosi previste dalla legge (prevenuti, terroristi, mafiosi), avendo l’accertamento ad oggetto non l’atto, ma i diritti soggettivi che esso comprime e le condizioni per la loro legittima compressione, sicchè il giudice ben può sindacare la completezza, logicità e non contraddittorietà delle valutazioni operate dall’amministrazione, con l’unico limite rappresentato dall’impossibilità di sostituire o integrare gli elementi di fatto su cui si fonda il provvedimento espulsivo (Cass. 21 ottobre 2019, n. 26830; Cass. 25 novembre 2015, n. 24084);

3.1. in tema di valutazione della ricorrenza dei presupposti stabiliti dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c) il Giudice di pace, per verificare l’appartenenza dello straniero ad una delle categorie di persone pericolose indicate dalla predetta norma, non può limitarsi alla valutazione dei suoi precedenti penali, ma deve compiere il suo esame in base ad un accertamento oggettivo e non meramente soggettivo degli elementi che giustificano sospetti e presunzioni, estendendo il suo giudizio anche all’esame complessivo della personalità dello straniero, desunta dalla sua condotta di vita e dalle manifestazioni sociali nelle quali quest’ultima si articola, verificando in concreto l’attualità della pericolosità sociale (Cass. 31 luglio 2019, n. 20692);

3.2. nel caso di specie, il Giudice di Pace, nel ritenerne la pericolosità sociale, ha accertato l’applicazione al ricorrente del regime di sorveglianza speciale (penultimo capoverso di pg. 2 dell’ordinanza), in assenza di offerta di altri elementi di segno contrario, quale in particolare la sentenza del Tribunale di Milano, di condanna del predetto per illecita detenzione e cessione a terzi di cocaina, recante la restituzione del denaro in suo possesso, eccedente la “garanzia dei crediti di cui all’art. 316 c.p.p.” (doc. 1 all. ricorso): provvedimento dal quale non risulta alcun riferimento alla fonte della sua provenienza (in particolare alla “professione di operaio”, meramente asserita al penultimo capoverso di pg. 8 dl ricorso);

4. il ricorrente deduce altresì, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione della L. n. 68 del 2007, art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 4 del Regolamento CE 810 del 13 luglio 2009, aggiornato con Regolamento n. 1091/2010 e dell’Accordo tra UE e Repubblica d’Albania di facilitazione del rilascio dei visti del 18 settembre 2007, per la sufficienza, ai fini della dichiarazione di presenza sul territorio nazionale dei cittadini di provenienza da Paesi non aderenti all’accordo di Schengen (come l’Albania, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dal Giudice di Pace), del passaporto biometrico e l’apposizione su di esso del timbro dalla polizia di frontiera dello Stato d’ingresso, nel caso di specie l’Ungheria, come avvenuto per l’ingresso del ricorrente, uscito dal Kossovo il 8 maggio 2019 e nello stesso giorno entrato nell’Area Shengen attraverso il varco aeroportuale di Budapest – Ferihegy, da cui poi transitato in Italia;

5. benchè fondato, per la possibilità (essendo stata soppressa, per i cittadini appartenenti a Paesi in regime di esonero dal visto di ingresso, l’espressione “nonchè del visto di ingresso quando richiesto”, contenuta all’art. 9, comma 5, lett. A) ed all’art. 10, comma 3, lett. A), per effetto del D.L. n. 89 del 2011, art. 1, n. 2 conv. in L. n. 129 del 2011, nel completamento del recepimento della direttiva 2004/38/CE, attuata con D.Lgs. n. 30 del 2007) dello straniero di accedere sul territorio nazionale con il passaporto, previa apposizione alla frontiera del timbro uniforme di schengen ai sensi della L. n. 68 del 2007 ed ivi trattenersi per tre mesi salva la presentata documentazione della presenza (Cass. 14 ottobre 2014, n. 21671, in termini per specifico riferimento a cittadino albanese; Cass. 5 maggio 2016, n. 8983), esso è tuttavia assorbito dalla prevalente infondatezza del precedente;

6. pertanto il ricorso deve essere rigettato, senza alcun provvedimento sulle spese di giudizio, in assenza di difese delle parti intimate vittoriose, con esenzione dal raddoppio del contributo unificato, a norma del D.Lgs. n. 151 del 2011, art. 18, comma 8 (Cass. nn. 6285, 11493, 11954/2020);

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.

Rilevato che dagli atti il processo risulta esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

 

 

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