Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28215 del 04/11/2019

Cassazione civile sez. III, 04/11/2019, (ud. 07/06/2019, dep. 04/11/2019), n.28215

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26838/2017 proposto da:

T. SPA, in persona dell’amministratore delegato

T.L., elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio

dell’avvocato VINCENZO DONATIVI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANTONIO GIROLAMO ALBARELLO;

– ricorrente –

contro

TREND INIZIATIVE IMPRENDITORIALI SRL, in persona del legale

rappresentante pro tempore Z.F., elettivamente

domiciliata in ROMA, P.ZZA SS APOSTOLI 81, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE FORNARO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO ALVIGINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1816/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata in data 1/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VINCENZO DONATIVI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE FORNARO e l’Avvocato PAOLO ALVIGINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nel 2005 Pietra S.r.l. convenne in giudizio T. S.p.a. chiedendo l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre e l’ingiunzione al pagamento dei canoni scaduti, a seguito della mancata stipula, entro il termine convenuto dell’11 maggio 2005, del contratto definitivo, come stabilito con il contratto preliminare di locazione stipulato tra le parti in data 29 aprile 2005 e relativo ad un capannone per il canone annuo di Euro 204.000,00 annuo, ridotto per il solo primo anno ad Euro 192.000,00.

Con memoria ex art. 183 c.p.c., l’attrice chiese, in via subordinata, la risoluzione del contratto per inadempimento ed il risarcimento del danno nella misura corrispondente ai canoni dal 1 giugno 2005 al 1 gennaio 2006 e propose ulteriore domanda di condanna per lite temeraria.

Si costituì T. S.p.a. eccependo l’errore essenziale sulle qualità della cosa locata, avendo sempre affermato, sia durante le trattative, sia durante la proposta di affitto, che costituisse condizione essenziale la destinazione dell’immobile ad uso commerciale; rappresentò, inoltre, che, essendo il capannone situato in zona industriale, non era possibile modificarne la destinazione e, pertanto, chiese l’annullamento del contratto ai sensi dell’art. 1428 c.c., e art. 1429 c.c., n. 2, e propose domanda di risarcimento del danno ex art. 1337 e 1338 c.c..

Anche T. S.p.A. propose, in subordine, domanda di risoluzione del contratto per inadempimento di Pietra S.r.l., con conseguente richiesta di risarcimento del danno da determinarsi in via equitativa, fondando tale domanda sulla modifica delle condizioni richieste da Pietra S.r.l. dopo la stipula del preliminare.

In sede di precisazione delle conclusioni Pietra S.r.l. rinunciò alla domanda principale di esecuzione in forma specifica e insistette per la risoluzione del contratto.

Con sentenza n. 2644/10 il Tribunale di Padova dichiarò risolto il contratto preliminare per inadempimento di T. S.p.a., pose a carico di quest’ultima le spese di CTU e compensò le spese di lite.

Secondo il primo Giudice era ammissibile la domanda di risoluzione di Pietra S.r.l. anche a seguito della rinuncia alla domanda di adempimento, in considerazione della facoltà, ex art. 1453 c.c., comma 2, di mutare nel corso del giudizio di primo grado nonchè in appello, la domanda di adempimento in quella di risoluzione, in deroga al divieto di mutatio libelli di cui all’art. 183 c.p.c., come confermato dalla richiamata giurisprudenza di legittimità.

Il Tribunale ritenne invece destituita di fondamento l’allegazione di inadempimento di Pietra S.r.l., per essere l’immobile inidoneo all’uso previsto in contratto, poichè la c.t.u. aveva accertato che nell’immobile era consentita la destinazione urbanistica ad attività commerciale per la vendita di veicoli e accessori limitatamente ad una superficie di mq 2500, previa richiesta di variante al permesso di costruire con corresponsione di maggiori oneri e dotazione di parcheggi pubblici o ad uso pubblico.

Non essendo stato allegato un inadempimento conseguente alla mancata collaborazione della promittente locatrice per dotare l’immobile dei parcheggi, nè risultando provato che vi fosse stato, da parte attrice, la manifestazione di volontà contraria alla stipula del definitivo alle condizioni di cui al preliminare, il Tribunale ritenne che la domanda attorea fosse giustificata ed accoglibile ma che non poteva essere accolta la domanda di risarcimento del danno, essendo emerso, in corso di causa, a seguito dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. del nuovo contratto di locazione stipulato da Pietra S.r.l. con Bohler Uddeholm Italia S.p.a., che Pietra S.r.l non aveva subito alcun danno per la mancata stipula del definitivo con T. S. p.a..

Avverso tale decisione Trend Iniziative Imprenditoriali s.r.l. (già Pietra S.r.l.) propose appello, al quale resistette T. S.p.a., che propose, a sua volta, appello incidentale.

La Corte di appello di Venezia, con sentenza n. 1816/2017, pubblicata il 1 settembre 2017, accolse l’appello proposto da Trend Iniziative Imprenditoriali S.r.l. avverso la sentenza impugnata, che riformò parzialmente; condannò T. S.p.a. a pagare, a Trend Iniziative Imprenditoriali S.r.l., la somma di Euro 96.000,00, oltre I.V.A. se dovuta, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo; condannò T. S.p.a. a rifondere a Trend Iniziative Imprenditoriali S.r.l., le spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, con distrazione delle stesse a favore del procuratore antistatario; condannò T. S.p.a. a rimborsare le spese di c.t.u. sostenute dall’appellante nel primo grado di giudizio e la tassa di registrazione della sentenza n. 2644/2010 Tribunale di Padova, di Euro 225,91, pagata dall’appellante; confermò nel resto la decisione impugnata.

Avverso la sentenza della Corte di merito T. S.p.a. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.

Ha resistito con controricorso Trend Iniziative Imprenditoriali S.r.l. (già Pietra S.r.l.).

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta “omessa pronuncia e, dunque, per violazione dell’art. 112 c.p.c., quale error in procedendo per avere la Corte di Appello di Venezia omesso di pronunciarsi sui motivi di appello incidentale proposti dalla T.”, evidenziandosi che “nella decisione impugnata “non una parola è spesa per argomentare le ragioni del rigetto dei motivi di appello incidentale”.

1.1. Il motivo è infondato.

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, cui va data continuità in questa sede, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass., ord., 13/10/2017, n. 24155, Cass. 4/10/2011, n. 20311; v. anche Cass., ord., 4/06/2019, n. 15255, Cass., ord., 13/08/2018, n. 20718).

Peraltro, come evidenziato dalla stessa ricorrente (v. p. 16 del ricorso), nella sentenza impugnata è affermato espressamente che “l’accoglimento dell’appello principale implica il rigetto dell’appello incidentale proposto da parte appellata”, sicchè non sussiste il lamentato vizio.

2. Con il secondo motivo, rubricato “nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 c.p.c., n. 4), per vizio di motivazione per avere la Corte di appello di Venezia operato un mero rinvio alla decisione del giudice di primo grado senza motivare in alcun modo la propria adesione a tale decisione pur essendo la stessa fatta oggetto di appello incidentale”, la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata risulterebbe altresì viziata “per palese vizio di motivazione”, in quanto la Corte di merito, “lungi dal pronunciarsi sui motivi di appello proposti dalla ricorrente,… li ha dichiarati semplicemente assorbiti e ha operato una mera, laconica, conferma dell’accertamento svolto dal giudice di prime cure in merito alla risoluzione del preliminare”.

Sostiene la T. S.p.a. che, pur a voler ritenere che trattasi di motivazione per relationem, comunque la Corte territoriale avrebbe dovuto, sia pure succintamente, indicare le ragioni per le quali ha ritenuto di aderire alle statuizioni del Tribunale in merito alla risoluzione del preliminare e al conseguente inadempimento dell’attuale ricorrente, che, peraltro, non si era limitata a svolgere mere difese, a fronte dell’atto di appello proposto ex adverso, ma aveva proposto appello incidentale sul preciso rilievo dell’inadempimento della controparte e sulla conseguente responsabilità di quest’ultima per la risoluzione del preliminare.

2.1. Il motivo è fondato e va, pertanto, accolto.

La Corte di merito si è limitata ad affermare che “la sentenza di primo grado è condivisibile nella parte riguardante la risoluzione del contratto” senza null’altro aggiungere al riguardo, sicchè deve ritenersi sussistente il lamentato vizio, alla luce del principio affermato da questa Corte e secondo cui ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure (Cass., ord., 18/06/2018, n. 16057).

Si evidenzia, inoltre, che questa Corte ha pure precisato – e tale principio va ribadito in questa sede – che la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la Corte territoriale come nel caso all’esame – si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., ord., 5/11/2018, n. 28139; Cass., ord., 21/09/2017, n. 22022; Cass. 19/07/2016, n. 14786).

3. Dall’accoglimento del secondo motivo resta assorbito l’esame del terzo motivo (con il quale si lamenta “Omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di appello di Venezia e il giudice di prime cure omesso di pronunciarsi sull’inadempimento della Trend Iniziative che era stato dedotto in giudizio dalla T. con la propria domanda riconvenzionale subordinata e, in grado di appello, con un motivo di appello incidentale”) e del quarto motivo (così rubricato: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 1429 c.c., n. 2, nella parte in cui la sentenza della Corte di appello impugnata, nel rinviare alla sentenza di primo grado, ha ritenuto non sussistente l’errore essenziale dedotto dalla T. in merito alla carenza della destinazione commerciale dell’immobile pur avendo accertato che al momento della sottoscrizione del preliminare di locazione l’immobile non vantava la destinazione ad uso commerciale”).

4. Conclusivamente, sulle base delle considerazioni sopra esposte deve essere rigettato il primo motivo, accolto il secondo, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure; la sentenza impugnata va cassata, con rinvio per un nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia, cui è demandato anche il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

5. Stante l’accoglimento, sia pure per quanto di ragione, del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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