Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28214 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2011, (ud. 22/11/2011, dep. 22/12/2011), n.28214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – rel. Presidente –

Dott. TOFFOLI Gabriella – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 7764/2008 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, PATTERI ANTONELLA, VALENTE NICOLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

R.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO

POMA. 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO Giuseppe Sante, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 136/2006 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 06/03/2007 r.g.n. 601/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/11/2011 dal Consigliere Dott. GABRIELLA COLETTI DE CESARE;

udito l’Avvocato ANTONELLA PATTERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Bologna, confermando la decisione del Tribunale di Ravenna, ha accolto la domanda con la quale R.M.T. – divenuta, in data 1 luglio 1988, unica titolare della pensione di reversibilità della quale fruiva, in regime di con titolarità, dal 1 ottobre 1977 – aveva chiesto la riliquidazione di tale pensione nella percentuale del 60% di quella spettante al coniuge deceduto, integrata al trattamento minimo e con gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985.

La Corte d’appello ha osservato che la perdita della contitolarità di una pensione di reversibilità, successiva al 30 settembre 1983, rendeva necessaria un’operazione di riliquidazione da effettuare con decorrenza dalla morte del dante causa e comportante – ove il de cuius potesse far valere 781 contributi utili, l’evento morte si fosse realizzato prima del 1984 e la quota spettante all’unico superstite fosse stata, nel regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 463 del 1983 (convertito nella L. n. 638 del 1983), integrabile al minimo, (circostanze queste, dal giudice di secondo grado ritenute tutte pacifiche in causa) – il diritto agli aumenti pensionistici di cui alla citata L. n. 140 del 1985, art. 4. Ha escluso, invece, la Corte territoriale (citando, a conforto la sentenza di cassazione n. 15644/2005) il diritto del titolare residuo, divenuto tale dopo il 30 settembre 1983, alla “cristallizzazione” della pensione nell’importo (integrato) spettante alla data in questione, essendo il meccanismo di conservazione, previsto per la cristallizzazione, inconciliabile con il meccanismo del ricalcalo da applicare nel caso concreto.

L’INPS ha chiesto la cassazione di questa sentenza con ricorso fondato su due motivi.

La R. ha resistito con controricorso e ha, poi, depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Nel primo motivo l’INPS denunzia violazione e falsa applicazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 13, come risultante dalla L. n. 903 del 1965, art. 22, in relazione al D.L. n. 463 del 1983, art. 6, convertito nella L. n. 638 del 1983 e della L. n. 140 del 1985, artt. 4 e 5, chiedendo alla Corte di stabilire “se, in caso di pensione di reversibilità avente decorrenza dall’ottobre 1977 e spettante a più contitolari, qualora nel luglio 1988 perdano il diritto tutti i contitolari eccetto uno, per stabilire se sul trattamento spettante all’unico superstite siano dovuti l’integrazione al minimo, la cristallizzazione e gli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, art. 4, si deve avere riguardo alle condizioni del titolare residuo esistenti al momento del decesso del dante causa, oppure a quelle esistenti alla data di cessazione della contitolarità”.

2. Al quesito proposto deve rispondersi tenendo presente sia la normativa regolatrice della materia, sia la motivazione della sentenza impugnata le cui affermazioni, su diversi punti decisivi, non sono state specificamente e adeguatamente censurate in questa sede.

3. Va, escluso, in primo luogo, che la Corte d’appello di Bologna abbia riconosciuto il diritto della R. alla “cristallizzazione”, dal 1 ottobre 1983, dell’importo della integrazione dalla stessa Corte riconosciuto spettante per il periodo precedente. Tutta la motivazione (dalle ultime righe di pag. 8 a tutta pag. 9) è in questi termini (e significativo è il richiamo di Cass. 15644/2005 che tale diritto aveva escluso), mentre non risulta contestata in modo espresso l’affermazione che anche la sentenza di primo grado aveva adottato analoga decisione.

4. Del pari, il ricorso non investe l’affermazione che la pensione spettante al contitolare superstite, calcolata con riguardo alla sua spettanza teorica, avrebbe dovuto essere integrata al minimo, nonchè la considerazione della Corte di merito secondo cui tale affermazione “non era stato contestata dallo stesso Istituto previdenziale”.

5. Quanto alle decisioni di questa Corte che l’INPS cita a conforto della propria tesi difensiva (Sez. unite n. 17888/2002 e Cass. n. 18493/2005), la prima affronta – per risolverla in senso negativo- soltanto la questione relativa alla riconoscibilità, all’unico titolare di pensione di reversibilità, divenuto tale in epoca successiva al 30 settembre 1983, del diritto alla “cristallizzazione” dell’importo della integrazione, e non pure quella concernente la spettanza o meno dei miglioramenti di cui alla L. n. 140 del 1985.

6. A sua volta, la seconda delle indicate decisioni (Cass. n. 18493/2005) si limita a trarre dal principio affermato dalle Sezioni unite appena citate, il corollario della non spettanza degli aumenti previsti dalla L. n. 140 del 1985, senza esplicitare, tuttavia, le ragioni di una simile conclusione, che necessitava, viceversa, di un adeguato supporto giuridico, stante l’opposto orientamento nel frattempo espresso dalla giurisprudenza della Corte (vedi Cass. n. 11457/2004; n. 22743/2004 e n. 15644/2005 già citata).

7. Ritiene, in ogni caso, il Collegio di seguire quest’ultimo – del tutto prevalente – orientamento (da ultimo ribadito nella recente sentenza n. 20104/2011), condividendo la tesi che la regolamentazione della pensione di reversibilità del titolare residuo pone problematiche completamente diverse a seconda che si tratti del diritto agli aumenti di cui alla L. n. 140 del 1985, oppure del diritto alla c.d. “cristallizzazione”, di talchè i criteri applicabili al secondo non sono applicabili sic et sempliciter al primo; conseguendone che la non operatività, per l’unico titolare rimasto tale dopo la data (30 settembre 1983) prevista dal D.L. n. 463 del 1983, art. 6 (convertito nella L. n. 638 del 1983), del principio della conservazione “cristallizzata” dell’importo del trattamento pensionistico (integrato) in atto (principio dettato dal comma 7 dello stesso art. 6) non osta a che gli siano riconosciuti gli aumenti pensionistici previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4, nell’operazione di ricalcolo della pensione, allorquando si accerti che, secondo il regime precedente l’entrata in vigore del D.L. n. 463 del 1983 citato, la sua quota teorica – e non già quella concretamente erogata in regime di contitolarità – sarebbe stata integrabile al minimo.

8. In conclusione, al quesito posto dall’INPS deve rispondersi nei sensi di cui al seguente principio di diritto “Alla cessazione del regime di contitolarità tra più, beneficiari di un trattamento di reversibilità, intervenuta dopo l’entrata in vigore del D.L. n. 463 del 1983 (convertito nella L. n. 638 del 1983), la pensione del titolare residuo deve essere determinata tenendo conto non già di quanto di fatto percepito durante il periodo di contitolarità, ma operando un conteggio virtuale, fin dalla morte del dante causa, al fine di ricostruire la prestazione come se vi fosse stato sempre un unico titolare; ne consegue, per il caso in cui si accerti che la quota di pensione spettante a tale unico titolare era, nel regime precedente a quello introdotto dal decreto legge citato, passibile di integrazione al minimo, che la riliquidazione di tale quota va operata applicandosi ad essa gli aumenti mensili previsti dalla L. n. 140 del 1985, art. 4, a prescindere dal fatto che, durante il regime di contitolarità, la pensione in godimento non beneficiasse della integrazione al minimo”.

9. Poichè è di questo principio che la sentenza impugnata ha fatto applicazione, il motivo di ricorso non può trovare accoglimento.

10. Nel secondo motivo, con deduzione di insufficiente motivazione, l’INPS censura la sentenza impugnata per aver ritenuto pacifica la circostanza – invece smentita dal contenuto del documento prodotto dall’Istituto proprio su invito della Corte di merito – secondo cui la pensione del dante causa era stata acquisita con un numero di settimane superiore a 781.

11. Questo motivo va dichiarato inammissibile perchè si risolve nella denuncia di un errore di fatto – qual è quello consistente nella inesatta percezione, da parte del giudice d’appello, di una circostanza (il trattarsi di una pensione acquisita con un numero di contributi superiore a 781) presupposta come sicura base del suo ragionamento in quanto ritenuta pacifica e, viceversa, contrastante con le risultanze di causa – che doveva essere oggetto non di motivo di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell’art. 395 cod. proc. civ., n. 4 (vedi Cass. n. 24166/2006; n. 10066/2006; va affermato il seguente n. 11276/2005).

12. In conclusione il ricorso va rigettato.

13. L’INPS è condannato al pagamento, in favore della odierna resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo e distratte a favore del procuratore antistatario.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi e in Euro 2.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A., da distrarsi a favore dell’avv. Giuseppe Sante Assennato, antistatario.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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