Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28214 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. lav., 10/12/2020, (ud. 25/06/2020, dep. 10/12/2020), n.28214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 52-2020 proposto da:

T.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA BASSAN;

– ricorrente –

contro

– MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE

INTERNAZIONALE DI VERONA – SEZIONE DI PADOVA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA

DEI PORTOGHESI 12, ope legis;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 2315/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 04/06/2019 r.g.n. 3458/2017;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– T.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia emessa in data 11 febbraio 2019 e pubblicata il 4 giugno 2019, di reiezione dell’impugnazione avverso la decisione del locale Tribunale di rigetto del ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale che aveva respinto la sua domanda per il riconoscimento della protezione internazionale e della protezione umanitaria;

– dall’esame della sentenza impugnata, conforme alla decisione del Tribunale, emerge che a sostegno della domanda il richiedente aveva allegato che era originario di (OMISSIS), villaggio del (OMISSIS), e di essere addetto nel Paese d’origine all’attività di sorveglianza, come agente di sicurezza, presso un magazzino di deposito di armi e munizioni;

– aveva aggiunto che verso la fine del 2014 erano state prelevate armi e munizioni dal magazzino in questione e che qualche giorno dopo si era verificato il colpo di stato per destituire l’allora dittatore Y.J. e che erano stati arrestati suoi colleghi, talchè si era nascosto e, dopo l’arresto della propria madre, accusata di proteggerlo, era fuggito;

– la Corte d’Appello ha disatteso l’impugnazione condividendo il giudizio del Tribunale secondo cui non sussistevano le condizioni per il riconoscimento delle protezioni internazionale e umanitaria richieste;

– il ricorso è affidato a tre motivi;

– il Ministero dell’Interno non ha spiegato alcuna attività difensiva;

– il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con il primo motivo parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 per carenza di motivazione in merito alla valutazione di credibilità del ricorrente;

– con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, 14 lett. B) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis per mancato riconoscimento della protezione sussidiaria;

– con il terzo motivo, si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per mancata valutazione della situazione del Paese d’origine del richiedente ai fini del riconoscimento dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

– il primo motivo è inammissibile;

– per costante giurisprudenza di legittimità (Cfr., fra le più recenti, Cass. n. 3819 del 14/02/2020), il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, nè alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito;

– nel caso di specie, la Corte d’Appello ha approfonditamente argomentato circa la propria condivisione delle conclusioni della Commissione e del Tribunale, escludendo la sussistenza, in fatto, di elementi, addotti dal richiedente, da cui potesse evincersi la ricorrenza dei presupposti della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 in ordine al fondato timore di essere perseguitato per l’appartenenza a un’etnia, associazione, credo politico o religioso o per le proprie tendenze e stile di vita nonchè dei presupposti per la protezione sussidiaria e umanitaria;

– il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per l’intima connessione, sono infondati;

– afferma la Corte d’appello di reputare condivisibili le considerazioni del giudice di primo grado che ha ritenuto correttamente la scarsa verosimiglianza delle allegazioni del tutto generiche ed incoerenti, escludendo che la vicenda potesse ricondursi ad una persecuzione proveniente dallo Stato o comunque da forze governative e quindi i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato atteso che la vicenda era semmai riconducibile ad un fatto di rilevanza penale rispetto al quale tuttavia il richiedente ha riferito di non essere a conoscenza di qualsivoglia procedimento a suo carico;

– con particolare riguardo all’attendibilità, anzi, la Corte precisato che il ricorrente si era contraddetto innanzi alla Commissione anche relazione al fatto di non essere mai arrestato avendo poi riferito invece di essere stato arrestato e trattenuto con l’accusa di furto per sei giorni, affermazioni queste incidenti ulteriormente sulla valutazione della sua credibilità;

– con riguardo alla protezione sussidiaria poi, la Corte rileva come il ricorrente, nelle audizioni innanzi alla Commissione territoriale e al giudice di primo grado non avesse mai fatto alcun cenno alla situazione generale del suo Paese quale fonte di effettivo pericolo per la propria incolumità in caso di rimpatrio;

– sul punto, secondo la Corte, difettava altresì qualsivoglia elemento idoneo a far anche solo presumere che ove rientrato in Patria, il ricorrente potesse essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti da parte dell’autorità, dovendo quindi escludersi l’ipotesi di cui alla lettera a alla b della previsione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007;

– quanto all’ipotesi di cui alla lett. c), invece, la Corte ha reputato condivisibile la decisione di primo grado, dovendosi escludere che in tutto il territorio del (OMISSIS) vi fosse una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato o infine di anarchia senza alcun controllo da parte dell’autorità;

– premesso che la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine che è condizione dell’azione e non presupposto processuale, deve essere operata in relazione ad informazioni attuali (cfr. Cass. n. 28990/2018), va rilevato che la Corte, sulla base dell’esame delle fonti, richiama il regime dittatoriale repressivo del Presidente J., al potere dal 1994 fino al 2016 e delle plurime violazioni di diritti fondamentali ma esclude che la situazione politica del (OMISSIS) fosse connotata da uno stato di conflitto armato o guerriglia generalizzata, tale da integrare la fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C);

– sul punto, il giudice di secondo grado, citando le fonti internazionali rilevanti, come quelle provenienti da EASO e Amnesty International, ha ritenuto di condividere le opinioni della Commissione e del Tribunale, entrambe orientate ad escludere la sussistenza nel (OMISSIS) di una condizione di violenza indiscriminata contro la popolazione civile soprattutto in seguito alla deposizione di J. e alla salita al potere di A.B.;

– orbene, in tema di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, (cfr. Cass., ord., 12 giugno 2019, n. 15794);

– tale impostazione, riferita alla protezione internazionale nel suo complesso, si attaglia come tale tanto alla domanda volta al conseguimento dello status di rifugiato, quanto a quella diretta ad ottenere la protezione sussidiaria in ciascuna delle tre ipotesi contemplate dall’art. 14 stesso D.Lgs.;

– ne consegue che, anche in relazione alla protezione sussidiaria, ritenuti non credibili i fatti allegati a sostegno della domanda, non è necessario far luogo a un approfondimento istruttorio ulteriore, attivando il dovere di cooperazione istruttoria officiosa incombente sul giudice, dal momento che tale dovere non scatta laddove sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quantomeno in relazione all’allegazione affidabile degli stessi (così, Cass., ord., 20 dicembre 2018, n. 33096);

– va richiamato al riguardo l’orientamento di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 8020 del 21/04/20209) secondo cui il giudizio di scarsa credibilità della narrazione del richiedente, relativo alla specifica situazione dedotta a sostegno di una domanda di protezione internazionale, non preclude al giudice di valutare altre circostanze che integrino una situazione di “vulnerabilità” ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, poichè la statuizione su questa domanda è frutto di una valutazione autonoma e non può conseguire automaticamente al rigetto di quella concernente la protezione internazionale;

– nondimeno, nel caso di specie, il giudice di merito ha evidenziato come nulla avesse addotto il richiedente con riferimento alla propria condizione, alla necessità di effettuare cure mediche ovvero in ordine al percorso di integrazione e come non sussistessero elementi anche minimi atti a suggerire l’integrazione istruttoria rimessa alla discrezionalità del giudicante;

– il giudice di merito, muovendo dal dato preliminare della non credibilità del ricorrente, ha, infatti, ritenuto altresì l’insussistenza di circostanze fondate tali da ritenere che lo stesso potesse essere sottoposto a trattamenti inumani o degradanti nel Paese d’origine, escludendo che le temute ripercussioni in caso di rientro potessero integrare i presupposti del c.d. danno grave in relazione alle possibili conseguenze, tenuto anche conto che nello stato di provenienza sono presenti istituzioni che, in caso di effettivo e concreto pericolo, sarebbero in grado comunque di proteggerlo;

– sul punto, va rilevato che, se è vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr., sul punto, Cass. n. 13088/2019) nell’ottica atipica e residuale della protezione umanitaria, rilevano tutte quelle situazioni di vulnerabilità dello straniero da proteggere, nondimeno, nel caso di specie, con valutazione di fatto, sottratta al sindacato di legittimità, il Collegio ha escluso che fossero stati addirittura allegati minimi elementi a sostegno della peculiare vulnerabilità del richiedente ed ha ritenuto, quindi, di escludere il riconoscimento della protezione umanitaria;

– alla luce delle suesposte argomentazioni, il ricorso, pertanto, non può essere accolto;

– nulla va disposto in ordine al governo delle spese del giudizio, in assenza di attività difensiva della parte vittoriosa;

– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 25 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA