Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28207 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 22/12/2011), n.28207

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STILE Paolo – rel. Presidente –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 29907/2008 proposto da:

H.P. HAMBURGER & PATATINE S.R.L., in persona del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMARANCIO 1, presso lo studio dell’avvocato RIITANO Gianluca, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.A.;

– intimata –

avverso la sentenza non definitiva n. 3006/2007 della CORTE D’APPELLO

di ROMA, depositata il 03/12/2007 R.G.N. 5773/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato RIITANO GIANLUCA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ROMANO Giulio, che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 19 giugno 2001 la sig.ra M.A. si rivolgeva al Tribunale di Roma in funzione di giudice del lavoro, chiedendo il riconoscimento dell’illegittimità de comportamento della società H.P. Hamburger e Patatine s.r.l., propria datrice di lavoro, che aveva agito in violazione dell’art. 2103 c.c., e per l’effetto chiedeva la revoca del subito trasferimento da un’unità produttiva ad altra con le conseguenze di legge e la declaratoria del diritto a lavorare nel precedente posto di lavoro occupato e ne profilo professionale acquisito; richiedeva, altresì, quale riparazione specifica, la condanna della società al risarcimento del danno alla professionalità, oltre accessori.

Si costituiva la H.P. già S.p.A., poi s.r.l., contestando la domanda.

Con sentenza del 23 maggio-12 giugno 2003, l’adito Tribunale respingeva il ricorso.

Avverso tale decisione proponeva appello la M., insistendo nelle richieste già avanzate in primo grado.

Si costituiva innanzi la Corte territoriale la H.P. Hamburger e Patatine s.r.l. contestando quanto dedotto in appello ed insistendo per il rigetto del gravame.

Con sentenza non definitiva n. 3006 del 12 aprile 3 dicembre 2007, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento dell’impugnazione, dichiarava illegittimo il contestato trasferimento, in mancanza della dimostrazione delle comprovate ragioni organizzative, ordinando alla H.P. resistente di riassegnare l’appellante al posto di lavoro presso l’unità produttiva di provenienza, disponendo con separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la H.P. Hamburger e Patatine s.r.l., con due motivi.

La M. non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo d’impugnazione la società ricorrente sostiene che la sentenza non definitiva della Corte d’Appello di Roma sarebbe viziata essendosi la Corte pronunciata in aperta violazione di quanto espressamente indicato all’art. 112 c.p.c., che impone al Giudice di pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti della stessa.

In particolare, la Corte territoriale avrebbe riformato parzialmente la sentenza di primo grado, pronunciandosi sull’illegittimità del trasferimento disposto per la M., ritenendo sussistente un’impugnativa di trasferimento sotto un profilo mai dedotto in giudizio; ciò in quanto la M. non avrebbe mai prospettato una mancata motivazione circa le ragioni organizzative del lamentato trasferimento, essendosi limitato a dedurre che il trasferimento, di per sè legittimo, aveva comportato un demansionamento; e solo sotto questo profilo ne aveva lamentato l’illegittimità.

Il motivo è infondato.

Il motivo è palesemente privo di fondamento, piche la sentenza impugnata, nella esposizione in fatto, ha chiarito che il trasferimento di cui si doleva la ricorrente, disposto agli inizi del mese di dicembre 1999, era avvenuto – secondo quanto dalla stessa esposto – “senza alcuna plausibile motivazione nella sede della (OMISSIS), presso gli uffici amministrativi della società … in un angusto locale privo di condizionamento …”. Sicchè appare evidente che la doglianza riguardava anche l’assenza di ogni giustificazione a base del trasferimento.

Pertanto, la contestazione di quanto descritto nella impugnata sentenza, per potere conseguire un effetto utile per la parte ricorrente, avrebbe richiesto la riproduzione del contenuto del ricorso introduttivo, o quanto meno della parte rilevante, nel rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione;

ciò che non è avvenuto.

Ed invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, cui va prestata adesione, ove, con il ricorso per cassazione, venga dedotta l’incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione di risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva e non valutata o insufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa (ex plurimis, Cass. 13 gennaio 1997 n. 265; v.

anche Cass. 12 settembre 2000 n. 12025; Cass. 11 gennaio 2002 n. 317).

Con il secondo motivo la ricorrente denunciando “violazione e falsa applicazione art. 360 c.p.c., n. 5, omessa insufficiente e contraddittoria motivazione”, lamenta che la Corte d’Appello nel riformare parzialmente la sentenza del Tribunale abbia omesso totalmente la valutazione delle prove raccolte in primo grado e comunque non abbia fornito alcuna motivazione sulle ragioni per cui è pervenuta ad un decisione radicalmente opposta a quella del giudice di prime cure.

Anche questo motivo non può trovare accoglimento, non avendo la ricorrente riprodotto il contenuto delle prove raccolte in primo grado, impedendo al Collegio di legittimità di delibare in ordine alla rilevanza di dette prove, violando ancora una volta il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

Per quanto precede il ricorso va respinto.

Nulla per le spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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