Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28206 del 22/12/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/12/2011, (ud. 20/10/2011, dep. 22/12/2011), n.28206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28803/2007 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CIPRO 77,

presso lo studio dell’avvocato RUSSILLO Gerardo, che la rappresenta e

difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO Luigi, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1598/2006 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 22/12/2006 R.G.N. 1633/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/10/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per accoglimento del terzo motivo,

inammissibilità dei primi due motivi del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 22.11.-22.12.2006 la Corte d’Appello di Salerno rigettava il gravame interposto da C.F. contro la sentenza del Tribunale di Sala Consilina che ne aveva respinto la domanda intesa ad ottenere l’accertamento d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze di Poste Italiane S.p.A., previa declaratoria di nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato in relazione al periodo 29.7.02 – 30.9.02 ai sensi dell’art. 25 CCNL 11.1.2001 per espletare servizio di sportello in concomitanza di assenze per ferie del personale, oltre che per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione e riposizionamento sul territorio delle risorse.

Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorre la C. affidandosi a tre motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste con controricorso Poste Italiane S.p.A..

Il Collegio ha deliberato la motivazione in forma semplificata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1- Preliminarmente va evidenziata l’inammissibilità di tutte le censure per vizio di motivazione sollevate in ricorso (in tutti e tre i motivi) con riferimento – in realtà – non a vizi della motivazione in fatto, ma a pretesi vizi di quella in diritto e, quindi, al di fuori dell’area dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò premesso, con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23, per avere l’impugnata sentenza ritenuto valida l’apposizione del termine al contratto di lavoro in assenza di menzione della causa di sostituzione e/o delle ragioni oggettive e soggettive di lavoro poste a giustificazione del termine medesimo, nonchè per non aver considerato che Poste Italiane S.p.A. non aveva provato il rispetto del limite percentuale di assunzioni a tempo determinato a livello nazionale e regionale (quest’ultima censura viene reiterata – fra l’altro – anche nel secondo motivo).

Il motivo è infondato.

Come questa Corte Suprema ha già avuto modo di osservare (cfr., da ultimo, Cass. n. 15936/2011) la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre a quelle tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis, convertito con modificazioni in L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2.3.2006 n. 4588).

In forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25 comma 2 CCNL 11.1.2001; in particolare, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, alla luce di molteplici decisioni di questa S.C. (cfr., ad esempio, Cass. 20.4.2004 n. 9245), i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità di mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Ora, premesso che l’art. 25 comma 2 CCNL 11.1.2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa S.C. ha già ritenuto viziata l’interpretazione che, sull’assunto della genericità della disposizione in esame, sostiene che la stessa non conterrebbe autorizzazione alcuna ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

A siffatta interpretazione – suggerita dall’odierna ricorrente – osta in primo luogo la formulazione letterale della disposizione contrattuale, che non contiene elementi idonei ad esprimere un significato riduttivo; inoltre il presupposto che ne è alla base è che soltanto così intesa la clausola collettiva sarebbe conforme a legge (art. 1367 c.c.), ma ciò si muove pur sempre nella – erronea – prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo alla loro autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962.

L’assunto della ricorrente risulta, perciò, condizionato dal “pregiudizio” che le parti stipulanti non avrebbero potuto esprimersi considerando le specificità di un settore produttivo (quale deve considerarsi il servizio postale, nella situazione attuale di affidamento ad un unico soggetto) e autorizzando Poste Italiane s.p.a. a ricorrere (nei limiti della percentuale fissata) allo strumento del contratto a termine, senza altre limitazioni, con giustificazione presunta del lavoro temporaneo; questo “pregiudizio”, erroneo alla stregua del principio di diritto sopra enunciato, determina l’infondatezza della proposta interpretazione, secondo cui l’accordo sindacale avrebbe autorizzato la stipulazione dei contratti di lavoro a termine solo nella sussistenza concreta di un collegamento tra l’assunzione del singolo lavoratore e le esigenze di carattere straordinario richiamate per giustificare l’autorizzazione, con riferimento alla specificità di uffici e di mansioni.

2- Quanto alla censura circa l’onere di dimostrare il rispetto del limite percentuale di assunzioni a tempo determinato a livello nazionale e regionale (che, come s’è detto, viene riproposta anche all’interno del secondo motivo di ricorso), si tenga presente che l’impugnata sentenza ha adottato una doppia ratio decidendi, nel senso che ha disatteso la analoga doglianza già formulata nell’atto d’appello dell’odierna ricorrente vuoi perchè generica, vuoi per l’assorbente considerazione in ordine all’applicabilità della nuova normativa dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001 all’epoca della stipula del contratto a termine per cui è processo.

Pertanto, la censura – che non affronta minimamente il profilo della genericità – risulta inammissibile per aspecificità, che si verifica allorquando manchi l’indicazione della correlazione fra tutte le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere in violazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1.

3- La sopra chiarita ricostruzione della portata del cit. art. 25 CCNL 11.1.01 importa il rigetto anche del secondo motivo nella parte in cui si deduce violazione e falsa applicazione di tale clausola nonchè vizio di motivazione per non avere l’impugnata sentenza dichiarato l’illegittimità del termine nonostante la mancata specificazione, nel contratto stipulato con la ricorrente, della causale idonea a consentire di ricollegare eziologicamente l’assunzione alle esigenze enunciate nel suddetto art. 25, a tanto non bastando l’indicazione nel contratto individuale di ipotesi legittimanti diverse e disparate.

4- Il terzo motivo – ove si sostiene l’illegittimità del termine apposto nel contratto che non ne specifichi per iscritto le ragioni giustificatrici in ossequio al principio di ricollegabilità fra la singola assunzione e la motivazione addotta e l’onere del datore di lavoro di provare la sussistenza della causa legittimante l’assunzione a termine effettuata con riferimento al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 – è inconferente a fronte della motivazione addotta dalla Corte territoriale, che ha invece riconosciuto la correttezza della ragione legittimante il termine formulata per iscritto nel contratto de quo.

Del pari inconferente è l’ulteriore censura – sempre contenuta nel terzo motivo del ricorso – laddove si afferma che è onere del datore di lavoro provare le circostanze atte a dimostrare l’effettiva adibizione del lavoratore, nel periodo di lavoro espletato, alle strutture produttive dell’azienda, il luogo di lavoro, il tempo, il settore e le mansioni, nonchè l’effettivo collegamento tra l’assunzione e le motivazioni addotte: in realtà, in nessuna parte della motivazione della sentenza impugnata si fa questione di diverso riparto dell’onere probatorio.

5- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 40,00 oltre a Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per onorari e oltre rimborso spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 20 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2011

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