Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28204 del 17/12/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 28204 Anno 2013
Presidente: BUCCIANTE ETTORE
Relatore: MATERA LINA

SENTENZA

sul ricorso 2051-2008 proposto da:
LUGLI

MARCO

LGLMRC56R27H501Y,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIROLAMO BOCCARDO 26/A,
presso lo studio dell’avvocato FREDELLA GENNARO, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
MARCHEGIANI MARCO;
– ricorrente –

2013
cmitra

2410

MARINA TREMILA SRL IN LIQUIDAZIONE

01594460592,

elettivamente domiciliatou in ROMA, VIA CRESCENZIO 2,
presso

lo

studio

dell’avvocato

BONANNI

EZIO,

Data pubblicazione: 17/12/2013

rappresentato

e

difeso

dall’avvocato

COLANTONI

DOMENICO;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5274/2006 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 30/11/2006;

udienza del 15/11/2013 dal Consigliere Dott. LINA
MATERA;
udito l’Avvocato MARCHEGIANI Marco, difensore del
ricorrente che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il

19-7-1995 la s.r.l.

Immobiliare Marina House conveniva dinanzi al Tribunale di Latina
Lugli Marco, deducendo che quest’ultimo si era reso inadempiente

trasferire all’attrice la proprietà di un terreno in località Marina di
Latina, edificabile in base ad un progetto di costruzione “esecutivo”.
L’attrice chiedeva, conseguentemente, che venisse ridotto il prezzo
di acquisto o, in subordine, venisse dichiarato risolto il contratto
preliminare, con condanna del convenuto al risarcimento del danno
arrecato.
Nel costituirsi, il Lugli contestava la fondatezza della domanda
e chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per
inadempimento dell’attrice, la quale, dopo aver versato la somma di
lire 300.000.000 (su un totale di lire 1.050.000.000), aveva emesso
due assegni per ulteriori 300.000.000, messi all’incasso e ritornati
insoluti e protestati.
Con sentenza n. 329\1999 il Tribunale respingeva le domande
dell’attrice e, in accoglimento della riconvenzionale del Lugli,
qualificata come intesa a far valere la facoltà di recesso ex art. 1385
c.c., dichiarava il diritto del convenuto a trattenere quanto ricevuto a
titolo di caparra.

all’obbligo, assunto con contratto preliminare del 24-5-1994, di

Avverso la predetta decisione proponeva appello la s.r.l.
Marina 3000 in Liquidazione (già s.r.l. Immobiliare Marina House).
Con sentenza in data 30-11-2006 la Corte di Appello di Roma,
qualificata la domanda riconvenzionale come volta ad ottenere la

parte in cui riconosceva il diritto del Lugli a ritenere la caparra come
conseguenza del diritto di recesso, e condannava il convenuto a
restituire il relativo importo, maggiorato degli interessi legali, alla
s.r.l. Marina 3000 in Liquidazione.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Lugli
Marco, sulla base di due motivi.
La s.r.l. Marina 3000 in Liquidazione ha resistito con
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 112, 183, 184 e 345 c.p.c., deducendo
che la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio
l’inammissibilità della domanda di restituzione della caparra,
formulata dall’attrice solo all’udienza di precisazione delle
conclusioni di primo grado del 27-10-1998, e dalla stessa società
reiterata in appello.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito
di diritto, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: Dica la Corte se, nel

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risoluzione contrattuale, riformava la sentenza di primo grado, nella

vigore delle preclusioni di cui al nuovo testo degli artt. 183, 184 e
345 c.p.c., introdotto dalla 1. n. 553 del 1990, la domanda di
restituzione delle somme ricevute a titolo di caparra confrirmatoria
dal Lugli, domanda formulata solo in sede di precisazione delle

in appello, si debba considerare “nuova” e come tale debba essere
dichiarata inammissibile d’ufficio.
2) Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1385 e 1453 c.c., nonché il vizio di
motivazione, in relazione alla qualificazione della domanda
riconvenzionale proposta dal Lugli come di risoluzione del contratto
preliminare per inadempimento. Deduce che, come era stato
esattamente rilevato dal Tribunale, la predetta domanda, al di là
della terminologia usata, era chiaramente intesa all’esercizio del
diritto di recesso con conseguente ritenzione della caparra versata, ai
sensi dell’art. 1385 comma 2 c.c. Rileva, in particolare, che nessuna
domanda di risarcimento danni, quale conseguenza del grave
inadempimento posto in essere dall’attrice in occasione dei fatti per
cui è causa, era stata formulata dal Lugli, non potendosi considerare
tale la richiesta risarcitoria avanzata dal convenuto nella comparsa di
costituzione, avente ad oggetto solo ed esclusivamente le
conseguenze dannose che sarebbero potute derivare al predetto dalla
trascrizione della domanda proposta dall’attrice.

conclusioni di primo grado dall’attrice, e poi da quest’ultima ribadita

11 quesito di diritto posto è il seguente: Dica la Corte se la
mancata proposizione di una formale domanda di recesso ex art.
1385 comma 2 c.c., escluda o meno che la stessa possa ritenersi
ugualmente, anche se implicitamente, avanzata in causa dalla parte

controparte, la cui inadempienza sia stata dedotta come ragione
legittimante la pronunzia di risoluzione del contratto, alla
restituzione, quale unica ed esaustiva sanzione risarcitoria di siffatta
inadempienza, della caparra a suo tempo corrisposta. In particolare,
dica la Corte se la domanda di risoluzione del contratto preliminare
per inadempimento con richiesta di incameramento della caparra
confirmatoria avanzata dal Lugli nei confronti della Marina House
sr.!. possa essere qualificata dal giudice come atto di recesso
unilaterale ex art. 1385 comma 2 c.c., tenuto conto che lo stesso
Lugli non ha formulato richiesta di risarcimento danni, quale
conseguenza del grave inadempimento posto in essere dalla predetta
società.
2) Il secondo motivo, da esaminarsi in via prioritaria per
ragioni di ordine logico e giuridico, è fondato.
Deve premettersi che il ricorrente, a pag 4 del ricorso, ha
riportato in modo specifico ed esaustivo le conclusioni contenute
nella comparsa di costituzione di primo grado, con cui era stata
chiesta, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto

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adempiente, quando la stessa abbia richiesto la condanna della

preliminare per grave inadempimento della promittente acquirente,
con conseguente riconoscimento del diritto del Lugli a trattenere la
somma di lire 300.000.000 percepita a titolo di caparra
confOmatoria, nonché la condanna dell’attrice al risarcimento dei

conseguente ordine alla competente Conservatoria di procedere alla
relativa cancellazione.
Contrariamente a quanto dedotto dalla resistente, pertanto, il
motivo in esame soddisfa il requisito di autosufficienza del ricorso
per cassazione, consentendo di individuare in modo completo e
preciso il contenuto della domanda riconvenzionale, di cui si assume
l’erronea interpretazione da parte del giudice di appello.
Ciò posto, si rammenta che, in tema di contratti cui acceda la
consegna di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la
parte non inadempiente che abbia esercitato il potere di recesso
riconosciutole dalla legge è legittimata, ai sensi dell’art. 1385
comma 2 c.c., a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di
quella versata: in tal caso, la caparra confirmatoria assolve la
funzione di liquidazione convenzionale e anticipata del danno da
inadempimento. Qualora, invece, detta parte abbia preferito, ai sensi
del dell’art. 1385 comma 3 c.c., domandare la risoluzione (o
l’esecuzione del contratto), il diritto al risarcimento del danno
rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito

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danni subiti a causa della trascrizione della citazione, con

dovrà, in tal caso, essere provato nell’an e nel quantum, giacché la
caparra conserva solo la funzione di garanzia dell’obbligazione
risarcitoria (Cass. 22-2-2011 n. 4278; Cass. 23-8-2007 n. 17923).
I due rimedi rispettivamente disciplinati dai commi 2 e 3

di inadempimento della controparte, pertanto, hanno carattere
distinto e non cumulabile, fermo restando che, in entrambe le ipotesi,
l’inadempimento si identifica con quello che dà luogo alla
risoluzione, di cui il giudice è tenuto comunque a sindacare gravità e
imputabilità (v. Cass. 19-2-1993 n. 2032; Cass. 23-1-1989 n. 398;
Cass. 21-8-1985 n. 4451).
Tali principi sono stati di recente ribaditi dalle Sezioni Unite
di questa Corte, la quale ha affermato che l’azione di risoluzione e di
risarcimento integrale del danno e l’azione di recesso e di ritenzione
della caparra si pongono in termini di assoluta incompatibilità
strutturale e funzionale, venendo la finalità di liquidazione
anticipata, forfetaria e stragiudiziale, tipica della richiesta di
ritenzione della caparra, irrimediabilmente esclusa dalla pretesa
giudiziale di un maggior danno da risarcire, conseguibile secondo le
normali regole probatorie (v. Cass. Sez. Un. 14-1-2009 n. 553). Nella
stessa pronuncia, è stato puntualizzato che la domanda di ritenzione
della caparra è legittimamente proponibile, nell’incipit del processo,
a prescindere dal nomen iuris utilizzato dalla parte nell’introdurre

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dell’art. 1385 c.c. a favore della parte non inadempiente per il caso

l’azione “caducatoria” degli effetti del contratto: se quest’azione
dovesse essere definita “di risoluzione contrattuale” in sede di
domanda introduttiva, sarà compito del giudice, nell’esercizio dei
suoi poteri officiosi di interpretazione e qualificazione in iure della

la domanda di risoluzione proposta in citazione, senza l’ulteriore
corredo di qualsivoglia domanda “risarcitoria”, non potrà essere
legittimamente integrata, nell’ulteriore sviluppo del processo, con
domande “complementari”, ne’ di risarcimento vero e proprio ne’ di
ritenzione della caparra, entrambe inammissibili perché nuove (Cass.
Sez. Un. 14-1-2009 n. 553).
Nella specie, la Corte di Appello, nell’escludere che il Lugli,
nel chiedere in via riconvenzionale l’incameramento della caparra,
abbia inteso esercitare la facoltà di recesso ex art. 385 comma 2 c.c.,
e nell’affermare che, al contrario, il medesimo ha proposto una
ordinaria domanda di risoluzione contrattuale per inadempimento, ha
da un lato considerato prevalente il

nomen iuris attribuito dal

convenuto all’azione proposta (risoluzione per inadempimento)
rispetto al petitum

(incameramento della caparra), e dall’altro

rilevato che con la comparsa di costituzione il Lugli, oltre
all’incameramento della caparra confirmatoria, aveva altresì
domandato il risarcimento del danno per le ulteriori conseguenze
sofferte: la contemporanea esistenza della domanda risolutoria e di

domanda stessa, convertirla formalmente in azione di recesso, mentre

quella risarcitoria, ad avviso del giudice del gravame, costituiva
elemento univoco, idoneo a far ritenere esercitata una domanda di
risoluzione.
La seconda argomentazione svolta dalla Corte territoriale

secondo cui il convenuto, nella comparsa di costituzione, abbia
chiesto, oltre alla ritenzione della caparra, anche il risarcimento dei
danni subiti a causa dell’inadempimento della controparte. E’
evidente, al contrario, che il danno invocato dal Lugli non
discendeva dall’inadempimento contrattuale in cui era incorsa la
promittente acquirente, bensì da un fatto distinto, costituito dalla
successiva trascrizione, da parte dell’attrice, della domanda
giudiziale di risoluzione del contratto preliminare.
Sotto il profilo considerato, pertanto, la decisione impugnata
rimane priva di un adeguato supporto motivazionale, non potendosi
ritenere ostativa alla proposizione dell’azione di recesso ex art. 385
comma 2 c.c. la richiesta del promittente venditore intesa ad
ottenere, oltre alla ritenzione della caparra confirmatoria, anche il
risarcimento dei danni subiti in conseguenza di un comportamento
del promittente acquirente autonomo e distinto rispetto al dedotto
inadempimento contrattuale.
Né, alla luce dei principi innanzi richiamati, appare legittimo
qualificare, sulla base del mero nomen iuris utilizzato dal convenuto,

risulta affetta da un palese vizio logico, muovendo dal presupposto

come di risoluzione una domanda riconvenzionale con la quale, in
conseguenza dell’inadempimento della promittente acquirente, sia
stato fatto valere il solo diritto all’incameramento della caparra
confirmatoria da questa versata.

impone la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio ad altra
Sezione della Corte di Appello di Roma, la quale, nell’interpretare la
domanda riconvenzionale, dovrà attenersi agli enunciati principi di
diritto.
Il primo motivo di ricorso rimane assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il
primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e
rinvia anche per le spese del presente grado ad altra Sezione della
Corte di Appello di Roma.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15-11-2013
11 Consigliere estensore

11 Presidente

Per le ragioni esposte, in accoglimento del motivo in esame, si

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