Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28200 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. II, 10/12/2020, (ud. 27/10/2020, dep. 10/12/2020), n.28200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 10964/16) proposto da:

AVV. M.N., (C.F.: (OMISSIS)), AVV. M.F., (C.F.:

(OMISSIS)), e AVV. M.L., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e

difesi, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso,

dall’Avv. Nicola Marino, e domiciliati “ex lege” presso la

Cancelleria civile della Corte di cassazione, in Roma, Piazza

Cavour;

– ricorrenti –

contro

D.S.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Annino Tornassi, e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria

civile della Corte di Cassazione, in Roma, piazza Cavour;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 1331/2015

(depositata il 18 marzo 2015);

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27 ottobre 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato il 31 ottobre 2014, gli avv.ti M.N., M.L. e M.F. proponevano appello avverso la sentenza n. 1515/2013 del Tribunale di Benevento che, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da D.S.G. avverso il decreto ingiuntivo n. 534/2007 (per l’importo di Euro 7.499,71), aveva condannato la D.S. al pagamento, in loro favore, della somma di Euro 1.500,00, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo a titolo di saldo delle competenze professionali maturate.

La Corte di appello di Napoli, nella contumacia dell’appellata, rigettava il gravame e, per l’effetto, confermava l’impugnata sentenza.

A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte partenopea, premesso che la D.S. aveva contestato anche il “quantum” richiesto dai tre legali, rilevava che alcuna prova avevano fornito gli appellanti in ordine alla circostanza che la richiesta inoltrata con la missiva del 26 agosto 2006 non fosse effettivamente avvenuta, come in contrario in essa indicato, “a saldo” delle loro competenze professionali. Inoltre la stessa Corte condivideva l’affermazione del primo giudice circa la ritenuta congruità della somma (di Euro 2.700,00 in acconti e di Euro 1.500,00 a saldo, per complessivi Euro 4.200,00) complessivamente riconosciuta agli appellanti in ragione dell’attività svolta, tenuto conto che i professionisti avevano richiesto il loro compenso invocando ingiustificatamente l’applicazione della tariffa di riferimento nel valore massimo, laddove il minimo sarebbe risultato ammontante ad Euro 3.094,00, donde l’adeguatezza della misura del compenso come determinata dal Tribunale beneventano, anche in considerazione della non particolare complessità della controversia.

2. Avverso la citata sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, gli avvocati M.N., M.F. e M.L., al quale ha resistito controricorso l’intimata D.S.G..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti (circa la giustificazione della richiesta “a saldo” delle competenze legali nell’ottica di un bonario componimento della lite che stava per instaurarsi) in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2233 c.c., nonchè alla regolamentazione delle tariffe forensi (tabella A-B).

2. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione o falsa applicazione nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti (con riguardo alla circostanza che alcun tipo di accordo era intervenuto tra le parti sul compenso), anche in relazione all’art. 2232 c.c., artt. 112,115,116 e 345 c.p.c., ed alle tariffe forensi contenute nel D.M. 24 aprile 2004, tabelle A e B.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti hanno prospettato – ancora in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione o falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 345 c.p.c., oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’asserita mancata contestazione, da parte della D.S., dell’attività professionale dagli stessi espletata ed alla corrispondenza delle voci della tariffa applicata dal Consiglio forense nella liquidazione della medesima attività svolta).

4. Con la quarta doglianza i ricorrenti hanno dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 (con riferimento alla mancata motivazione sulla sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione della stessa impugnazione).

5. Rileva il collegio che il primo motivo è inammissibile perchè, a seguito della sostituzione del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), come convertito, con modif., nella L. n. 134 del 2012), “ratione temporis” applicabile nella fattispecie), non è più denunciabile in cassazione il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, alla stregua dei principi enunciati da questa Corte nelle sentenze rese a Sezioni unite nn. 8053 e 8054 del 2014.

Con queste ultime è stato, per l’appunto, affermato il principio per cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Alcuna delle ipotesi riconducibili al difetto assoluto di motivazione della sentenza qui impugnata si è venuta configurare nel caso di specie.

6. Il secondo e terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente perchè tra loro connessi.

Essi sono infondati e devono, perciò, essere respinti.

Osserva, infatti, il collegio che la Corte di appello ha esaminato la circostanza relativa alla missiva del 26 agosto 2006 ed ha accertato – contrariamente all’assunto dei ricorrenti – che questi ultimi non avevano offerto alcuna prova sul fatto che l’importo in essa indicato fosse stato richiesto “a saldo” delle competenze professionali, avendo, peraltro, la suddetta Corte verificato che la D.S. aveva versato già la somma di Euro 2.700,00.

Sulla base di tale accertamento, la Corte di appello ha anche dato conto – sulla scorta delle tabelle professionali in concreto applicabili e rapportate all’effettiva prestazione professionale svolta dai ricorrenti (i quali, peraltro, non hanno specificamente indicato quali fossero le singole attività espletate, quando fossero state esperite e quali tariffe tabellari si sarebbero dovute in concreto applicare in relazione alle prestazioni effettivamente svolte) – che la liquidazione fatta dal Consiglio dell’Ordine forense (per Euro 7.499,71) era eccedente rispetto all’attività esercitata siccome riferita ad una materia “non particolarmente complessa” e, quindi, ha rideterminato il compenso da ritenersi congruo (potere ad essa devoluto per effetto del “decisum” della sentenza di primo grado e delle doglianze proposte in appello) nella già erogata somma di Euro 4.200,00, tenendo conto che il minimo riconoscibile sarebbe stato di Euro 3.094,00 (ragion per cui l’importo ricevuto era da considerarsi adeguato e rispettoso delle tabelle professionali).

Il reso (necessario) apprezzamento di congruità degli onorari richiesti sulla base ed in funzione dei parametri previsti dalla tariffa professionale, essendo stato adeguatamente motivato, non è sindacabile in sede di legittimità (v. Cass. n. 6454/2008 e Cass. n. 2575/2018).

7. Il quarto motivo è chiaramente infondato perchè la Corte di appello ha legittimamente dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la proposizione della stessa impugnazione essendo pervenuta al rigetto del gravame, che costituisce una delle ipotesi per la quale bisogna attestare l’esistenza di detti presupposti.

A tal proposito le Sezioni unite (con la sentenza n. 4315/2020) hanno, infatti, statuito che il giudice dell’impugnazione è tenuto a rendere l’attestazione della sussistenza del presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, risultando sufficiente a tale scopo (e, quindi, senza dover adottare una specifica motivazione in proposito) che la pronuncia adottata sia inquadrabile nei tipi previsti dalla norma (integrale rigetto, inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione), mentre non è tenuto a dare atto dell’insussistenza di tale presupposto quando la pronuncia non rientra in alcuna di suddette fattispecie.

8. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna delle ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza per il versamento, da parte degli stessi ricorrenti, sempre con vincolo solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza per il versamento, da parte dei ricorrenti, in via solidale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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