Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28195 del 21/12/2011

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2011, (ud. 08/11/2011, dep. 21/12/2011), n.28195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 21063-2010 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), AGENZIA DELLE

ENTRATE (OMISSIS), in persona dei rispettivi legali

rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO DELLA SOC. CITREA SRL (OMISSIS), in

persona del curatore fallimentare, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA TAGLIAMENTO 76, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

NACCARATO, rappresentata e difesa dall’avvocato TRENTO SERAFINO

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 314/06/2009 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di CATANZARO del 26/11/09, depositata il 09/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’08/11/2011 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO.

Fatto

LA CORTE

ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

Il relatore cons. dott. Giuseppe Caracciolo, letti gli atti depositati, Osserva:

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e L’Agenzia delle Entrate propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Catanzaro n. 314-06-2009, depositata il 09.12.2009, con la quale – in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento per ILOR-IVA-IRPEG-IRAP per l’anno 1998 adottato a seguito di verbale di accertamento della GdF di data 21.12.1999 – è stato dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto integralmente il ricorso della parte contribuente.

La sentenza impugnata ha ritenuto che con l’atto di appello non era stato censurato l’unico argomento posto dal giudice di primo grado a base delle proprie determinazioni, nel mentre invece era stato introdotta una “nuova eccezione”, e cioè che l’istanza di condono proposta dal contribuente (che in un primo momento l’Agenzia aveva considerato mai proposta) avrebbe dovuto essere “prodotta in maniera più corretta con consequenziale potenziale capacità di raggiungere l’obiettivo”.

Le parti ricorrenti hanno proposto ricorso affidandolo a due motivi.

La società contribuente “Citrea srl”, in fallimento, si è costituita con controricorso.

Il ricorso – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. assegnato allo scrivente relatore – può essere definito ai sensi dell’art. 375 c.p.c..

Il primo motivo di ricorso (rubricato come “Violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) appare inammissibile perchè il lamentato vizio è connotato dal difetto del requisito di autosufficienza.

Nel censurare a decisione del giudice di appello relativa alla novità della eccezione introdotta dalla parte appellante, gli odierni ricorrenti assumono – invero – che non ebbe a trattarsi di “motivi nuovi” ma di migliore chiarimento delle motivazioni indicate nella costituzione presentata nonchè nell’avviso di accertamento stesso. Ma, ai fini della necessaria autosufficienza del ricorso la parte ricorrente avrebbe dovuto adeguatamente riprodurre le parti dell’atto di costituzione in primo grado e del ricorso introduttivo in appello per mezzo dei quali soltanto questa Corte può attendere alla delibazione della questione concernente l’errore asseritamente commesso (sul punto) dal giudice di appello.

Quanto al secondo motivo di ricorso (rubricato come “Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 7 in relazione alla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”) esso appare inammissibile perchè il lamentato vizio non è correlato con la ratio che sorregge la decisione.

Nel prospettare la violazione delle menzionate norme (sotto il profilo della tempestiva notificazione alla data del 31.10.2005 dell’avviso di accertamento, alla luce delle proroghe concesse con le norme sul “condono”) le parti ricorrenti non correlano dette censure con l’argomento valorizzato dal giudice di appello, e cioè il fatto che – in realtà – i giudici di prime cure avevano accertato esclusivamente che “l’istanza di condono era stata praticata ma non esaminata dall’Ufficio, con conseguente intervenuta decadenza. In ogni caso non poteva essere prodotta istanza di condono perchè era stato notificato in verbale della G. di F.. Non poteva essere invocato dall’Ufficio il differimento dei termini”, argomento che non era stato fatto oggetto di appello da parte della Agenzia.

Non avendo gli odierni ricorrenti censurato in alcun modo la predetta ratio (il difetto di appello in ordine all’argomento unico su cui è fondata la sentenza di primo grado), la censura afferente al merito dell’anzidetta questione appare frustranea e, appunto, non correlata alla ratio che sostiene la decisione qui impugnata.

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per inammissibilità.

Roma, 7 luglio 2011.

Il relatore (Giuseppe Caracciolo).

che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte, nè memorie;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato.

che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in Euro 5.000,00 oltre accessori di legge ed oltre Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2011

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