Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28194 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. I, 10/12/2020, (ud. 23/10/2020, dep. 10/12/2020), n.28194

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13311/2019 proposto da:

J.H., elettivamente domiciliato in Milano, via Lorenteggio

n. 24, presso lo studio degli avv.ti T. Aresi, e M. C. Seregni, che

lo rappresentano e difendono, come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 531/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 25/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/10/2020 dal Cons. Dott. SOLAINI LUCA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Brescia ha respinto il gravame proposto da J.H., cittadino (OMISSIS), avverso l’ordinanza del Tribunale di Brescia che confermando il provvedimento della competente Commissione territoriale aveva negato al richiedente asilo il riconoscimento della protezione internazionale anche nella forma sussidiaria e di quella umanitaria.

Il ricorrente ha riferito di essere ricercato dai militari della Guardia del palazzo del governo perchè aveva partecipato a un assembramento volto a denunciare l’assoluta mancanza di interventi da parte delle autorità volti alla ricostruzione di quanto distrutto dalle inondazioni che avevano flagellato la sua zona. Prima si era rifugiato a (OMISSIS) da uno zio ma temendo di essere rintracciato aveva lasciato la Nigeria.

A sostegno della propria decisione di rigetto, la Corte distrettuale ha ritenuto il ricorrente non credibile per incongruenze e contraddittorietà della narrazione, ed in ogni caso mancava la prova del pericolo di veri atti persecutori in caso di rimpatrio: non sussistevano, pertanto, i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, neppure nella forma gradata della protezione sussidiaria, avendo la medesima Corte accertato che in Edo State (Benin City) non sussiste una situazione di conflitto armato che ponga a rischio qualsiasi cittadino, per il solo fatto di trovarsi sul territorio. Neppure erano state allegate e dimostrate, secondo la Corte d’appello, la ricorrenza di specifiche situazioni di vulnerabilità. Contro la sentenza della medesima Corte d’Appello è ora proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Il ricorrente censura la decisione della Corte d’appello: (i) sotto un primo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, perchè il tribunale non aveva tenuto conto delle violenze subite nel paese di transito e per il pericolo di persecuzione in caso di rientro in Nigeria, come risulta dalle fonti informative; (ii) sotto un secondo profilo, per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, perchè a differenza di quanto ritenuto dal tribunale, le dichiarazioni del ricorrente erano rispettose dei parametri legali di credibilità; (iii) sotto un terzo profilo, per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per la mancata valutazione delle prove esibite in giudizio dal richiedente (in particolare, le denunce delle autorità di polizia contro il richiedente ed una testimonianza scritta di una sua amica residente nel territorio italiano).

Il primo motivo è infondato in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte, “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione” (Cass. n. 29875/18). Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto quale rilevanza abbia avuto, sulle sue condizioni personali, il periodo trascorso in Libia prima d’imbarcarsi. Il medesimo motivo è inammissibile quanto al profilo di contestazione dell’accertamento di fatto sulla situazione generale del paese di provenienza, condotto dalla Corte d’appello sulla base di fonti aggiornate.

Il secondo motivo è inammissibile, perchè propone censure di merito in termini di mero dissenso in riferimento alla valutazione della credibilità del richiedente, che è una valutazione discrezionale da parte del giudice del merito, anche se non arbitraria ma, nella specie, il tribunale appare aver rispettato i parametri di “genuinità soggettiva” di cui alla normativa di riferimento (v. Cass. n. 3340/19).

Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto, nel ricorso per cassazione non può porsi la questione dell’erronea valutazione del materiale istruttorio da parte del giudice del merito deducendo la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., se non in ristretti limiti non ricorrenti nella fattispecie (Cass. n. 27000/16, 11892/16)

La mancata costituzione dell’amministrazione statale esonera il collegio dal provvedere sulle spese.

PQM

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

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