Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28193 del 31/10/2019

Cassazione civile sez. I, 31/10/2019, (ud. 10/07/2019, dep. 31/10/2019), n.28193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6586/2018 proposto da:

P.S., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Antonino Ciafardini, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1557/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 25/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/07/2019 dal cons. Dott. LUCIA TRIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’appello dell’Aquila con sentenza n. 1557 del 25 agosto 2017 respinge l’impugnazione proposta dal cittadino del Bangladesh P.S. avverso l’ordinanza del locale Tribunale di rigetto della domanda del ricorrente volta ad ottenere la protezione internazionale o, in subordine, la protezione complementare (umanitaria);

2. la Corte d’appello, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha riferito di aver lasciato il proprio Paese per sfuggire alla violenza di un gruppo di persone non meglio identificate che, dopo essere state invitate ad uscire dal negozio dove il richiedente lavorava insieme con il padre, nel corso di una lite lo avevano minacciato e poi erano tornate e lo avevano picchiato, danneggiando anche il negozio;

b) le dichiarazioni dell’appellante sono generiche e contraddittorie, in misura tale da farne escludere la veridicità;

c) il richiedente è da considerare un migrante economico e, come tale, non ha diritto alla protezione internazionale;

d) conseguentemente non solo non può essere riconosciuto lo status di rifugiato ma neppure sussistono gli estremi per il riconoscimento della protezione sussidiaria perchè non è stata dedotta alcuna delle situazioni previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

e) in particolare, con riferimento all’ipotesi indicata nella lettera c) del medesimo art. 14, va rilevato che i Rapporti di Amnesty International, Bangladesh, degli anni 2015-2016 e 2016-2017 evidenziano il persistere in Bangladesh di tensioni politiche e sociali nonchè di violazioni delle libertà democratiche, ma non l’esistenza di un “conflitto armato interno” – pur nell’ampia accezione indicata dalla giurisprudenza – che crei una situazione di indiscriminata violenza che possa coinvolgere il ricorrente;

f) infine, non sono state neppure allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali che consentano di accordare la protezione umanitaria, tali non potendo considerarsi la giovane età, il generico riferimento alla privazione delle libertà personali nel Paese di origine, le condizioni economiche precarie;

3. il ricorso di P.S. domanda la cassazione della suddetta sentenza per quattro motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha soltanto depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, non seguito da attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in quattro motivi;

2. con il primo motivo si denuncia nullità della sentenza per motivazione contraddittoria e/o apparente non essendo percepibile il fondamento della decisione perchè recante argomentazioni inidonee, contraddittorie ed illogiche per giustificare il rigetto del gravame, sostenendosi che vi sia contraddizione tra il riconoscimento della persistenza in Bangladesh di tensioni politiche e sociali nonchè di violazioni delle libertà democratiche e la mancata attribuzione almeno della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), e che tutta la motivazione sia composta da generiche e ripetitive argomentazioni “a ciclostile” utilizzate dalla Corte d’appello per tutti i procedimenti analoghi al presente;

3. con il secondo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non avere la Corte d’appello applicato il principio dell’onere probatorio attenuato (secondo quanto affermato da Cass. SU n. 27310 del 2008) e per non aver valutato la credibilità del ricorrente alla luce dei parametri stabiliti dal D.Lgs. n. 251 del 2007 cit., art. 3, comma 5, sostenendosi che la domanda di protezione sussidiaria avrebbe dovuto essere accolta data la situazione esistente in Bangladesh;

4. con il terzo motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per il mancato riconoscimento della sussistenza di una minaccia grave alla vita del ricorrente derivante da una situazione di violenza indiscriminata, come definita dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza C-465/07, sulla sola base della situazione del Paese di origine del richiedente che è tale da non necessitare, al riguardo, la dimostrazione del rischio individualizzato;

5. con il quarto motivo si denuncia violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per la mancata concessione della protezione umanitaria, sostenendosi che il richiedente – ormai radicato in Italia – ha pieno diritto ad ottenere almeno la protezione umanitaria perchè sia garantito a lui e alla sua famiglia un livello di vita adeguato anche dal punto di vista sanitario, che il suo Paese d’origine non può offrire;

Esame dei motivi.

6. il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte;

7. il primo motivo non è fondato;

7.1. per consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:

a) la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendì”, cioè, in particolare, ove non siano indicati gli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento ovvero tali elementi siano indicati senza un’adeguata disamina logica-giuridica, mentre tale evenienza resta esclusa con riguardo alla valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. SU 21 dicembre 2009, n. 26825);

b) la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. SU 3 novembre 2016; n. 22232);

c) sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass. SU 3 novembre 2016; n. 22232; Cass. SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009);

7.2. nella specie, con evidenza, il vizio di motivazione apparente è insussistente, perchè la sentenza contiene la concisa esposizione delle ragioni di fatto (in particolare, del racconto del richiedente) e di diritto poste a base della decisione, in modo da rendere chiara la ratio decidendi e possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento effettuato per giungere alla decisione adottata, con riguardo a tutte le forme di protezione richieste (vedi, per tutte: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105);

8. anche il secondo motivo non è fondato;

8.1. questa Corte è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia, nell’ambito della domanda di protezione sussidiaria, il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere inteso il “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda che (l’autorità amministrativa e) il giudice del merito sono chiamati a svolgere in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in particolare comma 5;

8.2 al riguardo è stato precisato che tale “ruolo attivo” comporta in favore del richiedente l’attenuazione del principio dispositivo proprio del giudizio civile (senza preclusioni o impedimenti processuali) e si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, visto che l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, essendo il richiedente tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio;

8.3. infatti, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

8.4. pertanto, come ribadito anche di recente, soltanto se il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, può sorgere il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (quale, come nella specie, quella di cui al D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c: Cass. 28 giugno 2018, n. 17069; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016). Questo è l’unico ambito nel quale, una volta assolto l’onere di allegazione da parte dell’interessato, il giudice può esercitare il suddetto “ruolo attivo” istruttorio, che può tradursi nell’acquisizione officiosa degli elementi ritenuti necessari in tale ambito;

8.5. mentre la suddetta cooperazione istruttoria del giudice non può riguardare le individuali condizioni del soggetto richiedente;

8.6. d’altra parte, laddove taluni elementi o aspetti delle dichiarazioni del richiedente la protezione internazionale non siano suffragati da prove, il giudice – nell’ambito apprezzamento dei fatto riservatogli – può considerarli “veritieri” soltanto se ritiene che il richiedente abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, le sue dichiarazioni siano coerenti e plausibili e, quindi, sulla base dei riscontri effettuati, il richiedente sia, in linea generale, attendibile (D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5);

8.7. ciò è, all’evidenza, da escludere laddove le dichiarazioni siano state considerate non sufficientemente specifiche e circostanziate (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) o addirittura generiche e contraddittorie, in misura tale da farne escludere la veridicità, come si verifica nella specie;

9. il terzo motivo è inammissibile;

9.1. secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, in particolare, alla disposizione di cui alla lett. c) di esso – su cui si appuntano sembrano appuntarsi le censure del ricorrente – deve essere interpretato in conformità con la fonte UE di cui è attuazione (artt. 9 e 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia UE (vedi, per tutte, di recente: Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284);

9.2. secondo tali indicazioni: “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (vedi, in questo senso, CGUE: (sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30);

9.3. è stato, al riguardo, specificato che, come precisato dalla Corte di Giustizia UE (nelle citate sentenze e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE);

9.4. infatti, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), postula, in realtà, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” – quale è il richiedente derivante da quella violenza;

9.5. nella sentenza attualmente impugnata la Corte d’appello con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede se sorretto da congrua motivazione, come accade nella specie (vedi, fra le tante: Cass. n. 14006/18; n. 32064/18; Cass. 2 maggio 2019, n. 11561) – ha escluso la ricorrenza di tutte le ipotesi di cui al citato art. 14, ivi compresa quella prevista nella lett. c) di tale articolo;

9.6. a tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta sul rilevo secondo cui, dalle fonti attendibili consultate, la situazione di violenza generalizzata del Bangladesh non è da considerare così critica da determinare l’applicazione dell’art. 14, lett. c, cit., nè dal racconto del ricorrente è emersa una situazione di pericolo individuale;

9.7. quel che più conta è che la Corte d’appello ha motivatamente reputato non credibile tale racconto, pervenendo alla conclusione che il ricorrente sia da considerare un migrante economico;

9.8. tali ultime affermazioni – che costituiscono anch’esse apprezzamenti di fatto rimessi al giudice del merito, censurabili in cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 (vedi, per tutte: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340) – sono sufficienti a dimostrare l’insussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’invocata cooperazione istruttoria officiosa e quindi per la stessa applicazione delle norme richiamate, visto che escludono in radice la concedibilità della protezione internazionale, in quanto i migranti economici possono avere ingresso nel nostro Paese attraverso l’applicazione della diversa disciplina basata sulla periodica regolamentazione dei flussi migratori (vedi, per tutte: Cass. 17 maggio 2019, n. 13444);

9.9. nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e sulla base del citato art. 360 c.p.c., n. 5, mentre ci si limita a sostenere che le attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine sarebbero sufficienti per la concessione della protezione sussidiaria, così esprimendosi un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

9.10. di qui l’inammissibilità del terzo motivo, in quanto la deduzione del vizio di violazione di legge, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

10. anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile;

10.1. infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, perchè nel ricorso si fa esclusivo riferimento all’inadeguatezza delle condizioni di vita di P.S. in Bangladesh;

10.2. questo risulta in modo emblematico dall’assoluta mancanza di alcuna dimostrazione in ordine al dichiarato radicamento in Italia del ricorrente nonchè dalla conferma del fatto che l’interessato ha lasciato il proprio Paese alla ricerca di condizioni di vita adeguate ai parametri del benessere e della dignità umana (come ritenuto dalla Corte d’appello);

10.3. tuttavia, come evidenziato anche dalla Corte territoriale, la riferita esistenza, nello Stato verso cui il soggetto si troverà ad essere rimpatriato, di “violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani” e il rischio di trovarsi in una situazione di grave povertà a causa della generale situazione del Paese di destinazione sono ininfluenti ai fini della protezione umanitaria;

10.4. infatti, in questo ambito, non è ipotizzabile nè l’obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3681) e che emerga da idonee allegazioni da parte del richiedente, dirette a dimostrane il necessario collegamento con la propria vicenda personale, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto col parametro normativo di cui all’art. 5, comma 6, cit.;

Conclusioni.

11. in sintesi, il ricorso deve essere respinto;

12. nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione in quanto il Ministero intimato, dopo il deposito dell’atto di costituzione non ha svolto attività difensiva;

13. l’ammissione della parte ricorrente al patrocinio a spese dello Stato determina l’insussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, stante la prenotazione a debito in ragione dell’ammissione al predetto beneficio (Cass. 22 marzo 2017, n. 7368; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284; Cass. 28 febbraio 2019, n. 5973; Cass. 13 marzo 2019, n. 7204; Cass. 24 maggio 2019, n. 14292).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

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