Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 28193 del 10/12/2020

Cassazione civile sez. I, 10/12/2020, (ud. 24/09/2020, dep. 10/12/2020), n.28193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18504/2017 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in Liquidazione, in persona del liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Trionfale n. 5637,

presso lo studio dell’avvocato Battista Domenico, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Ravizza Maria Flavia, Sparano

Marcello, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona del curatore

fallimentare Dott.ssa T.S., elettivamente domiciliato in

Roma, Via Parigi n. 11, presso lo studio dell’avvocato Alesse

Claudio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Benazzo Paolo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Microstar S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2934/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/09/2020 dal Cons. Dott. TERRUSI FRANCESCO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 3-2-2017 il Tribunale di Pavia dichiarava il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione;

la corte d’appello di Milano, con sentenza in data 27-6-2017, ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18;

ha premesso che ai fini dello stato di insolvenza, trattandosi di società in liquidazione, dovevasi attribuire rilevanza all’elemento differenziale corrente tra le attività e le passività, e che tuttavia l’insolvenza non era esclusa dal dato puro e semplice della superiorità dell’attivo sul passivo, dovendosi considerare anche la composizione dell’uno e dell’altro onde potersi da ciò desumere non solo la sufficienza in astratto degli elementi dell’attivo a consentire il soddisfacimento dei diritti dei creditori ma anche il prevedibile contenimento del periodo di tempo destinato alla liquidazione, in limiti idonei a rendere concretamente apprezzabile il soddisfacimento stesso;

in tale prospettiva la corte d’appello ha osservato:

– che la (OMISSIS) era stata messa in liquidazione in seguito a deliberazione assunta dall’assemblea straordinaria dei soci il 13-1-2017, dopo la proposizione dell’istanza di fallimento nei suoi confronti da parte della s.r.l. Micro Star;

– che le risultanze dei bilanci avevano evidenziato rimanenze di valore costituite da beni immobili, dei quali tuttavia non era stata realizzata l’alienazione nel corso di tre anni nonostante la presenza di debiti di consistente entità (in tutti gli esercizi superiori a 8.000.000,00 Euro);

– che ciò induceva a concludere che la mancata alienazione era stata frutto di una scelta, per essersi quanto meno presentata non agevole l’alienazione dei beni;

– che dunque la società si era infine dimostrata non in grado di adempiere le sue obbligazioni e neppure in grado di liquidare gli elementi attivi in tempi certi, onde realizzare con il ricavato l’eguale e integrale soddisfacimento dei diritti dei creditori;

per la cassazione della sentenza la società (OMISSIS) ha proposto ricorso sorretto da due motivi;

la curatela ha replicato con controricorso;

il creditore istante non ha svolto difese;

la ricorrente ha depositato una memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

I. – col primo motivo la ricorrente denunzia l’omesso esame di fatti decisivi e la conseguente violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 6, per avere la corte territoriale ritenuto esistente la legittimazione del creditore istante Micro Star s.r.l. nonostante il credito fosse contestato giudizialmente, e senza effettuare il necessario vaglio della ripetuta contestazione;

II. – il motivo è manifestamente infondato;

in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento la L. Fall., art. 6, laddove stabilisce che il fallimento è dichiarato, tra l’altro, su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante (v. Cass. Sez. U. n. 1521-13 cui adde, ex aliis, Cass. n. 30827-18);

nel caso concreto la corte territoriale non ha mancato di svolgere la delibazione all’uopo richiesta, avendo sottolineato che l’istante aveva già ottenuto il titolo esecutivo giudiziale costituito dalla sentenza di condanna al pagamento di 660.000,00 Euro; in tal modo la delibazione è stata fatta per relationem alla sentenza di condanna, avverso la quale, del resto, non risulta che la ricorrente abbia mosso specifici rilievi in sede di reclamo, essendosi limitata a protestare di aver semplicemente interposto appello;

III. – col secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 5, per avere la corte d’appello mancato di conformare la decisione al consolidato principio per cui, ove la società sia in liquidazione, l’accertamento deve essere basato sulla nozione di insolvenza cd. patrimoniale, vale a dire sulla mera circostanza che, alla data della sentenza di fallimento, la situazione patrimoniale esistente sia tale da far ritenere che gli elementi attivi del patrimonio non siano sufficienti ad assicurare l’eguale e integrale soddisfacimento dei creditori; e ciò in quanto l’impresa in liquidazione non si propone di restare sul mercato, ma possiede l’unico obiettivo di provvedere al soddisfacimento dei creditori mediante la realizzazione delle proprie attività, così da rendere irrilevante la circostanza che essa disponga di liquidità necessaria a soddisfare le obbligazioni contratte;

IV. – il motivo è fondato nel senso che segue;

la liquidazione della società ha l’obiettivo di estinguere le passività dell’ente trasformando in denaro il patrimonio aziendale, così da ripartire poi, tra i soci, l’eventuale residuo attivo;

tanto suole dirsi sottolineando che durante la liquidazione la società continua a esistere come centro di imputazione di rapporti giuridici, ma con sostituzione dello scopo liquidatorio a quello lucrativo;

questa Corte ha da tempo chiarito che quando la società è in liquidazione, la valutazione del giudice, ai fini dell’applicazione della L. Fall., art. 5, deve essere diretta unicamente ad accertare se gli elementi attivi del patrimonio sociale consentano di assicurare l’eguale ed integrale soddisfacimento dei creditori sociali, e ciò proprio perchè – non proponendosi l’impresa in liquidazione di restare sul mercato, ma avendo come esclusivo obiettivo quello di provvedere al soddisfacimento dei creditori previa realizzazione delle attività, e alla distribuzione dell’eventuale residuo tra i soci – non è più richiesto che essa disponga, come invece la società in piena attività, di credito e di risorse, e quindi di liquidità, necessari per soddisfare le obbligazioni contratte (tra le tante, Cass. n. 13644-13, Cass. n. 25167-16, Cass. n. 19414-17);

V. – a fronte di tali principi il rilievo della corte d’appello, per cui, ai fini specifici, oltre all’entità dell’attivo e del passivo sarebbe necessario tener conto anche della composizione dell’uno e dell’altro, può esser condiviso solo in parte: il rilievo può esser condiviso ove diretto a sostenere che l’attivo – più che il passivo, per il quale esso (rilievo) a niente serve – deve essere valutato secondo concretezza, al di là cioè dei valori astratti delle rimanenze risultanti nelle scritture contabili dell’imprenditore;

ciò tuttavia non vuol dire affatto che sia legittimo richiedere, ai fini della valutazione dello stato di insolvenza, anche qualcosa di ulteriore e diverso dalla connotazione patrimoniale; e in questo si annida l’errore della corte territoriale: essa ha falsamente applicato la L. Fall., art. 5, praticamente operando in modo sincretico tra gli orientamenti giurisprudenziali rispettivamente attinenti alla società operativa e alla società in liquidazione; orientamenti che invece debbono essere mantenuti ben distinti giustappunto in considerazione del diverso scopo che caratterizza la società nelle diverse fasi;

VI. – il problema ulteriore che pone la curatela, e che in qualche modo risulta considerato anche dall’impugnata sentenza, è quello dei tempi della liquidazione;

certamente il fattore temporale assume rilevanza, ma non nel senso che traspare dalla sentenza;

ove la società sia in liquidazione, la non immediata liquidabilità dei beni che compongono l’attivo rende comunque indebita la mescolanza dei criteri, nel senso che non consente di richiedere (onde evitare il fallimento) che, nella difficoltà della liquidazione, la società sia in grado di adempiere con regolarità le proprie obbligazioni mediante altra liquidità;

semmai la difficoltà di pronta liquidazione può esser sintomo di un valore di ragionevole realizzo (ovverossia di un valore di liquidazione dei beni che compongono l’attivo) inferiore a quello che risulta dalle scritture contabili dell’imprenditore; e in tal caso il giudice del merito deve valutare il profilo patrimoniale mettendo in comparazione l’effettivo valore dei beni costituenti l’attivo (e dunque quel valore sul quale necessariamente incide l’andamento del mercato di riferimento) con l’ammontare dei debiti;

in altre parole, ove la società sia in liquidazione non è richiesto che essa disponga di liquidità (necessaria a soddisfare le obbligazioni) diversa da quella ottenibile dalla realizzazione dell’attivo; quel che è richiesto è che il patrimonio esprima un valore oggettivamente idoneo a soddisfare i debiti, così da risultare ragionevolmente liquidabile in tempi compatibili col fine della liquidazione;

VII. – l’impugnata sentenza va cassata in relazione al secondo motivo;

segue il rinvio alla medesima corte d’appello di Milano la quale, in diversa composizione, rinnoverà l’esame attenendosi al principio appena esposto;

la medesima corte provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA