Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2819 del 05/02/2021

Cassazione civile sez. II, 05/02/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 05/02/2021), n.2819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24048/2019 proposto da:

T.E.B.R., rappresentato e difeso dall’Avvocato PAOLO

SASSI, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Teresa Macrì, in ROMA, VIA ANTONIO MORDINI 14;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAMPOBASSO (n. 1669/2018 R.G.)

depositato il 17/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

6/10/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 22.8.2018 T.E.B.R. proponeva opposizione avverso il provvedimento di diniego della protezione internazionale emesso dalla competente Commissione Territoriale, chiedendo il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, ovvero di quella umanitaria.

Sentito dalla Commissione Territoriale, il ricorrente dichiarava di essere egiziano e che il (OMISSIS), un amico di fede musulmana gli aveva chiesto di poterlo accompagnare presso la chiesa cristiana dove il ricorrente lavorava. Egli acconsentiva e informava del fatto anche il prete della chiesa. Alcuni giorni dopo, il padre dell’amico lo aveva raggiunto a casa perchè il figlio era scomparso, così il ricorrente, pensando che l’amico fosse tornato alla chiesa, vi si recava e lo trovava lì. Nel fare rientro a casa era contattato da suo padre che gli diceva di lasciare che l’amico tornasse a casa da solo e, a lui, di ritornare in chiesa e di restarvi fino a nuove istruzioni. Tornato in chiesa, aveva raccontato la storia al prete, che gli aveva chiesto di andare via. Così si era recato al (OMISSIS) dove viveva il fratello e poi, avendo appreso che la famiglia dell’amico ancora lo cercava, era andato ad (OMISSIS) e, infine, in Italia.

Con decreto, depositato in data 17.6.2019, il Tribunale confermava quanto rilevato dalla Commissione in merito alla scarsa credibilità del racconto, che, tra l’altro, presentava profili di natura esclusivamente personale, nonostante sullo sfondo vi fossero motivazioni di natura religiosa; con conseguente rigetto della domanda di riconoscimento della protezione internazionale.

Parimenti, rigettava la domanda di protezione sussidiaria in quanto l’Egitto, dopo i rivolgimenti politico-sociali del 2011 e i numerosi episodi di matrice terroristica degli anni seguenti, presentava condizioni complessive di sicurezza che andavano migliorando. Nè, del resto, il ricorrente aveva ventilato il timore di essere rimpatriato per la situazione generale del Paese d’origine.

Infine, affermava che le ragioni spiegate dal ricorrente non consentivano il riconoscimento della protezione umanitaria, non evidenziando particolari legami familiari con l’Italia, nè patologie che dovessero essere necessariamente curate in Italia.

Avverso il decreto propone ricorso per cassazione T.E.B.R. sulla base di tre motivi. Resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in particolare del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9 e 11 e successive modifiche, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e successive modifiche, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 1, lett. e) e g) e artt. 3, 14 e art. 16, comma 1, lett. b) e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della vicenda personale del richiedente e della situazione esistente nel Paese d’origine sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria”.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in particolare del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata valutazione della situazione esistente nel Paese d’origine sulla base della documentazione allegata e dell’omessa attività istruttoria”.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – Essi sono inammissibili.

2.2. – Va anzitutto premesso che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento (così come nel primo motivo) alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro (Cass. n. 8368 del 2020).

2.3. – Costituisce, inoltre, principio pacifico quello secondo cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 6259 del 2020; cfr., ex multis, Cass. n. 22717 del 2019 e Cass. n. 393 del 2020, rese in controversie analoghe a quella odierna).

2.4. – Dal canto suo, l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella novellata formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis) consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017). Ma, nei motivi in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è specifica adeguata indicazione.

Laddove, poi, si presenta altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, con riferimento non già ad un “fatto storico”, come sopra inteso, bensì a questioni o argomentazioni giuridiche (Cass. n. 22507 del 2015; cfr. Cass. n. 21152 del 2014); ciò in quanto nel paradigma ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è inquadrabile il vizio di omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018).

2.5. – Si tratta, come appare evidente, di accertamenti in fatto, che non possono essere in questa sede messi in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti (qui, invece, insussistenti), il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (applicabile ratione temporis) come delimitato, quanto al suo concreto perimetro applicativo, da Cass., sez. un. 8053 del 2014. Laddove, il ricorrente neppure deduce circostanze fattuali che non sarebbero state valutate dal giudice di merito e che risulterebbero decisive nel senso voluto, prospettandosi, al più, con giudizio meramente contrappositivo, l’idoneità del racconto a configurare i presupposti per l’accoglimento della domanda.

2.6. – Resta dunque da porre in evidenza come le censure, nel loro complesso, si risolvano nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando il ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 3638 del 2019; Cass. n. 5939 del 2018).

Invero, compito della Cassazione non è quello di condividere o meno la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 9275 del 2018); ciò che nel caso di specie è ampiamente dato riscontrare.

3. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la “Violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 74, comma 2 e art. 136, comma 2 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28 bis, comma 2, lett. a)”, là dove il Tribunale di Campobasso, ritenendo le ragioni del ricorso manifestamente infondate, revocava l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

3.2. – Come anche ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 4315 del 2020; Cass. n. 20928 del 2020), nel quadro di una ricostruzione del sistema che ha superato il vaglio di costituzionalità (Corte Cost. n. 80 del 2020), in mancanza di espressa previsione normativa (come quella esistente per il processo penale), il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato è impugnabile mediante l’opposizione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170, avendo tale opposizione, nell’ambito del testo unico sulle spese di giustizia, natura di rimedio di carattere generale, esperibile contro tutti i decreti in materia di liquidazione e, quindi, anche contro il decreto del magistrato che la rifiuti. Tale regime giuridico non muta qualora la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato sia stata irritualmente adottata dal giudice con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, in quanto l’irrituale collocazione del provvedimento di revoca in seno al provvedimento che decide la causa (che tuttavia non ne determina la nullità) non ne muta la natura.

Pertanto, anche avverso la revoca dell’ammissione al patrocinio che sia stata disposta con la sentenza che ha deciso la causa va proposta separatamente l’opposizione ex art. 170 cit.; dovendosi invece escludere che la parte che voglia dolersi dell’ingiustizia del provvedimento di revoca possa impugnare la sentenza con i mezzi di impugnazione previsti per la stessa, con ciò coinvolgendo nel giudizio di impugnazione le altre parti della causa, estranee al rapporto giuridico instauratosi tra chi ha chiesto l’ammissione al patrocinio e il Ministero della Giustizia.

In sostanza, il provvedimento di revoca, comunque sia pronunciato (con separato decreto o con la sentenza che definisce il giudizio), deve sempre considerarsi autonomo rispetto alla sentenza che definisce la causa ed è soggetto ad un autonomo regime di impugnazione.

4. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2021

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